di Michele Paris
Con la consueta
amichevole stretta di mano tra i delegati del sindacato automobilistico
americano UAW (United Auto Workers) e i vertici di General Motors (GM),
lunedì a Detroit si sono aperte ufficialmente le trattative per il
rinnovo di un contratto di lavoro che interessa circa 140 mila persone.
Nei prossimi giorni sarà dato il via ufficiale anche ai negoziati con
Ford e Fiat-Chrysler e la questione principale al centro delle
discussioni sarà legata ai livelli di retribuzione, in netta discesa
negli ultimi anni nonostante l’impennata dei profitti delle tre
compagnie.
In cima alla lista delle richieste dei lavoratori c’è
appunto il desiderio più che legittimo di recuperare i mancati
adeguamenti dei loro stipendi a partire dalla stipula dell’ultimo
contratto, avvenuta nel 2011, e di mettere fine all’odiato sistema dei
“due livelli” retributivi.
Quest’ultimo era stato introdotto nel
2007 grazie alla connivenza del sindacato per abbassare drasticamente il
costo del personale delle compagnie automobilistiche. In base a esso,
gli stipendi di circa 40 mila lavoratori assunti dopo il 2007 sono stati
di 15,8 dollari l’ora, poi saliti a 19,3 dollari nel 2011, contro
livelli che vanno dai 28,5 ai 33 dollari per quelli entrati in Ford, GM o
Fiat-Chrysler prima di questa data.
Ai dipendenti più anziani,
non viene poi riconosciuto un aumento dello stipendio base da ben otto
anni, anche se tutti hanno beneficiato in questi anni di premi una
tantum grazie ai ritrovati profitti dei tre colossi dell’auto.
Il
sistema dei “due livelli” ha portato enormi benefici alle compagnie,
consentendo loro di ridurre al 6,7% nel 2014 la quota del costo del
personale in relazione al totale di un singolo veicolo prodotto, contro
il 15% nel 2008. Questa dinamica ha sostanzialmente equiparato il costo
del lavoro di Ford, GM e Fiat-Chrysler a quello sostenuto dalle case
automobilistiche asiatiche e tedesche che operano in vari impianti
soprattutto negli stati americani del sud, pressoché privi di sindacati e
governati da politici particolarmente ben disposti verso il business.
La
posizione della UAW alla vigilia delle trattative per il rinnovo del
contratto che scadrà a settembre appare a dir poco ambigua.
Ufficialmente i suoi vertici vogliono cancellare il sistema dei “due
livelli” retributivi o, quanto meno, ridurre la distanza tra gli importi
erogati ai dipendenti più anziani e a quelli assunti recentemente.
D’altro canto, però, ci sono voci che il sindacato possa addirittura
accettare un “terzo livello”, secondo il quale i futuri dipendenti
potrebbero guadagnare appena 10 dollari l’ora.
Questa iniziativa
favorirebbe altre nuove assunzioni in Ford, GM e Fiat-Chrysler,
assicurando nuovi potenziali iscritti alla UAW in vista dell’entrata in
vigore in Michigan e in Indiana di nuove leggi, approvate negli scorsi
anni da legislature statali repubblicane, che rendono volontario e non
più obbligatorio il pagamento delle quote sindacali da parte dei
lavoratori.
Visti dunque i rapporti più che amichevoli tra i
vertici della UAW e la dirigenza delle tre compagnie, la sfida
principale del sindacato sarà quella di tenere sotto controllo le
pressioni dei propri iscritti per ottenere una parte dei profitti
generati in questi anni dal loro stesso lavoro.
I negoziati
appaiono particolarmente complicati con Fiat-Chrysler, non solo per le
ben note aspirazioni di Sergio Marchionne a perseguire una nuova fusione
che avrebbe ulteriori probabili conseguenze negative sulla forza
lavoro, ma anche per la situazione attuale all’interno dell’azienda,
parzialmente diversa da quella di Ford e GM.
Circa
il 45% dei dipendenti di Fiat-Chrysler fa parte del secondo livello
retributivo, ovvero quello più basso, a differenza di Ford e GM che sono
attestate rispettivamente al 28% e al 19%. In concreto, Fiat-Chrysler
ha un costo orario del lavoro – inclusa la copertura sanitaria e altri
benefit – attorno ai 47 dollari per dipendente, contro i 55 di GM e i 57
di Ford.
Fiat-Chrysler potrebbe dunque opporre la maggiore
resistenza al tentativo di ridurre le differenze retributive tra i
propri dipendenti, visto il possibile impatto. Secondo uno studio
indipendente, infatti, un aumento di 5 dollari l’ora per ogni lavoratore
significherebbe un aumento dei costi pari a 400 milioni l’anno.
In
ogni caso, sia i vertici aziendali sia quelli sindacali continuano a
manifestare l’intenzione di mantenere alto il livello di competitività
delle tre compagnie, senza perciò “danneggiarlo” con “eccessive”
richieste di aumenti degli stipendi. Le compagnie automobilistiche hanno
tuttavia fatto registrare più di 70 miliardi di dollari di utili dal
2011 a oggi e buona parte di questo denaro è stato impiegato per il
riacquisto di proprie azioni (“buyback”) o per pagare dividendi agli
azionisti.
Pochi giorni prima dell’inaugurazione delle
discussioni per il rinnovo del contratto, inoltre, una manovra di Ford è
apparsa particolarmente inquietante. La compagnia, con un annuncio
intimidatorio nei confronti dei proprio dipendenti, ha fatto sapere di
voler chiudere un impianto nei sobborghi di Detroit, dove vengono
realizzati i modelli Focus e C-Max, per trasferire la produzione in
Messico.
In questo impianto lavorano più di 4 mila persone e la
minaccia di chiusura è un modo nemmeno troppo velato per minare la
resistenza dei lavoratori ed estrarre nuove concessioni durante le
imminenti trattative con la UAW.
Le tre compagnie, così, hanno
tutta l’intenzione di tenere bassi i costi del personale, congelando
ancora gli aumenti delle retribuzioni per sostituirli con premi legati
alla produttività e ai profitti. Questo concetto lo ha riassunto alla
perfezione lo stesso Marchionne, il quale, dopo avere incassato più di
70 milioni di dollari in compensi nel 2014, ha respinto l’idea che ai
lavoratori siano riconosciuti “diritti acquisiti” relativi all’aumento
della paga oraria.
Per i dipendenti di Ford, GM e Fiat-Chrysler
si prospetta oltretutto un ridimensionamento dell’assistenza sanitaria
che ricevono tramite il loro contratto di lavoro. I costi sanitari sono
infatti nel mirino del management, tanto più che dal 2018 entrerà in
vigore una tassa del 40%, stabilita dalla riforma di Obama del 2010, sui
piani di assicurazione più generosi offerti dalle aziende private, cioè
i cosiddetti “Cadillac plans”.
In questo caso, è stata la stessa
UAW a proporre una via d’uscita vantaggiosa solo per le tre compagnie.
Il presidente del sindacato, Dennis Williams, ha cioè prospettato la
creazione di un’assicurazione sanitaria collettiva per i 140 mila
dipendenti di Ford, GM e Fiat-Chrysler, gestita da un fondo simile a
quello già operato dalla UAW per garantire la copertura dei lavoratori
in pensione (VEBA).
Un simile progetto rappresenterebbe una nuova
lucrosa opportunità per i vertici della UAW, i quali si ritroverebbero
svariati altri miliardi di dollari da gestire in investimenti, anche se
l’assistenza sanitaria per i lavoratori diventerebbe più onerosa e, con
ogni probabilità, di qualità inferiore.
Attualmente,
negli Stati Uniti i lavoratori dell’industria automobilistica pagano di
tasca propria circa il 6% delle prestazioni sanitarie di cui
usufruiscono, attraverso contributi e franchigie, a fronte dell’11%
pagato dai pensionati coperti dal fondo VEBA e del 15% dalla media degli
americani assicurati.
In definitiva, i round di negoziati che
prenderanno il via nei prossimi giorni tra la UAW e i giganti dell’auto
segneranno una nuova tappa nel tentativo della classe dirigente
americana di trasformare gli Stati Uniti in un paese dove il costo della
manodopera risulti sostanzialmente allineato a quello dei paesi meno
avanzati. Con la minaccia della perdita del posto di lavoro e con la
complicità del loro stesso sindacato, i lavoratori USA saranno esposti a
pressioni enormi per accettare condizioni sempre più difficili e
svantaggiose, così da garantire la “competività” e i profitti miliardari
delle loro aziende.
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