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15/07/2015

USA, scene di lotta di classe nell’auto

di Michele Paris

Con la consueta amichevole stretta di mano tra i delegati del sindacato automobilistico americano UAW (United Auto Workers) e i vertici di General Motors (GM), lunedì a Detroit si sono aperte ufficialmente le trattative per il rinnovo di un contratto di lavoro che interessa circa 140 mila persone. Nei prossimi giorni sarà dato il via ufficiale anche ai negoziati con Ford e Fiat-Chrysler e la questione principale al centro delle discussioni sarà legata ai livelli di retribuzione, in netta discesa negli ultimi anni nonostante l’impennata dei profitti delle tre compagnie.

In cima alla lista delle richieste dei lavoratori c’è appunto il desiderio più che legittimo di recuperare i mancati adeguamenti dei loro stipendi a partire dalla stipula dell’ultimo contratto, avvenuta nel 2011, e di mettere fine all’odiato sistema dei “due livelli” retributivi.

Quest’ultimo era stato introdotto nel 2007 grazie alla connivenza del sindacato per abbassare drasticamente il costo del personale delle compagnie automobilistiche. In base a esso, gli stipendi di circa 40 mila lavoratori assunti dopo il 2007 sono stati di 15,8 dollari l’ora, poi saliti a 19,3 dollari nel 2011, contro livelli che vanno dai 28,5 ai 33 dollari per quelli entrati in Ford, GM o Fiat-Chrysler prima di questa data.

Ai dipendenti più anziani, non viene poi riconosciuto un aumento dello stipendio base da ben otto anni, anche se tutti hanno beneficiato in questi anni di premi una tantum grazie ai ritrovati profitti dei tre colossi dell’auto.

Il sistema dei “due livelli” ha portato enormi benefici alle compagnie, consentendo loro di ridurre al 6,7% nel 2014 la quota del costo del personale in relazione al totale di un singolo veicolo prodotto, contro il 15% nel 2008. Questa dinamica ha sostanzialmente equiparato il costo del lavoro di Ford, GM e Fiat-Chrysler a quello sostenuto dalle case automobilistiche asiatiche e tedesche che operano in vari impianti soprattutto negli stati americani del sud, pressoché privi di sindacati e governati da politici particolarmente ben disposti verso il business.

La posizione della UAW alla vigilia delle trattative per il rinnovo del contratto che scadrà a settembre appare a dir poco ambigua. Ufficialmente i suoi vertici vogliono cancellare il sistema dei “due livelli” retributivi o, quanto meno, ridurre la distanza tra gli importi erogati ai dipendenti più anziani e a quelli assunti recentemente. D’altro canto, però, ci sono voci che il sindacato possa addirittura accettare un “terzo livello”, secondo il quale i futuri dipendenti potrebbero guadagnare appena 10 dollari l’ora.

Questa iniziativa favorirebbe altre nuove assunzioni in Ford, GM e Fiat-Chrysler, assicurando nuovi potenziali iscritti alla UAW in vista dell’entrata in vigore in Michigan e in Indiana di nuove leggi, approvate negli scorsi anni da legislature statali repubblicane, che rendono volontario e non più obbligatorio il pagamento delle quote sindacali da parte dei lavoratori.

Visti dunque i rapporti più che amichevoli tra i vertici della UAW e la dirigenza delle tre compagnie, la sfida principale del sindacato sarà quella di tenere sotto controllo le pressioni dei propri iscritti per ottenere una parte dei profitti generati in questi anni dal loro stesso lavoro.
I negoziati appaiono particolarmente complicati con Fiat-Chrysler, non solo per le ben note aspirazioni di Sergio Marchionne a perseguire una nuova fusione che avrebbe ulteriori probabili conseguenze negative sulla forza lavoro, ma anche per la situazione attuale all’interno dell’azienda, parzialmente diversa da quella di Ford e GM.

Circa il 45% dei dipendenti di Fiat-Chrysler fa parte del secondo livello retributivo, ovvero quello più basso, a differenza di Ford e GM che sono attestate rispettivamente al 28% e al 19%. In concreto, Fiat-Chrysler ha un costo orario del lavoro – inclusa la copertura sanitaria e altri benefit – attorno ai 47 dollari per dipendente, contro i 55 di GM e i 57 di Ford.

Fiat-Chrysler potrebbe dunque opporre la maggiore resistenza al tentativo di ridurre le differenze retributive tra i propri dipendenti, visto il possibile impatto. Secondo uno studio indipendente, infatti, un aumento di 5 dollari l’ora per ogni lavoratore significherebbe un aumento dei costi pari a 400 milioni l’anno.

In ogni caso, sia i vertici aziendali sia quelli sindacali continuano a manifestare l’intenzione di mantenere alto il livello di competitività delle tre compagnie, senza perciò “danneggiarlo” con “eccessive” richieste di aumenti degli stipendi. Le compagnie automobilistiche hanno tuttavia fatto registrare più di 70 miliardi di dollari di utili dal 2011 a oggi e buona parte di questo denaro è stato impiegato per il riacquisto di proprie azioni (“buyback”) o per pagare dividendi agli azionisti.

Pochi giorni prima dell’inaugurazione delle discussioni per il rinnovo del contratto, inoltre, una manovra di Ford è apparsa particolarmente inquietante. La compagnia, con un annuncio intimidatorio nei confronti dei proprio dipendenti, ha fatto sapere di voler chiudere un impianto nei sobborghi di Detroit, dove vengono realizzati i modelli Focus e C-Max, per trasferire la produzione in Messico.

In questo impianto lavorano più di 4 mila persone e la minaccia di chiusura è un modo nemmeno troppo velato per minare la resistenza dei lavoratori ed estrarre nuove concessioni durante le imminenti trattative con la UAW.

Le tre compagnie, così, hanno tutta l’intenzione di tenere bassi i costi del personale, congelando ancora gli aumenti delle retribuzioni per sostituirli con premi legati alla produttività e ai profitti. Questo concetto lo ha riassunto alla perfezione lo stesso Marchionne, il quale, dopo avere incassato più di 70 milioni di dollari in compensi nel 2014, ha respinto l’idea che ai lavoratori siano riconosciuti “diritti acquisiti” relativi all’aumento della paga oraria.

Per i dipendenti di Ford, GM e Fiat-Chrysler si prospetta oltretutto un ridimensionamento dell’assistenza sanitaria che ricevono tramite il loro contratto di lavoro. I costi sanitari sono infatti nel mirino del management, tanto più che dal 2018 entrerà in vigore una tassa del 40%, stabilita dalla riforma di Obama del 2010, sui piani di assicurazione più generosi offerti dalle aziende private, cioè i cosiddetti “Cadillac plans”.

In questo caso, è stata la stessa UAW a proporre una via d’uscita vantaggiosa solo per le tre compagnie. Il presidente del sindacato, Dennis Williams, ha cioè prospettato la creazione di un’assicurazione sanitaria collettiva per i 140 mila dipendenti di Ford, GM e Fiat-Chrysler, gestita da un fondo simile a quello già operato dalla UAW per garantire la copertura dei lavoratori in pensione (VEBA).

Un simile progetto rappresenterebbe una nuova lucrosa opportunità per i vertici della UAW, i quali si ritroverebbero svariati altri miliardi di dollari da gestire in investimenti, anche se l’assistenza sanitaria per i lavoratori diventerebbe più onerosa e, con ogni probabilità, di qualità inferiore.

Attualmente, negli Stati Uniti i lavoratori dell’industria automobilistica pagano di tasca propria circa il 6% delle prestazioni sanitarie di cui usufruiscono, attraverso contributi e franchigie, a fronte dell’11% pagato dai pensionati coperti dal fondo VEBA e del 15% dalla media degli americani assicurati.

In definitiva, i round di negoziati che prenderanno il via nei prossimi giorni tra la UAW e i giganti dell’auto segneranno una nuova tappa nel tentativo della classe dirigente americana di trasformare gli Stati Uniti in un paese dove il costo della manodopera risulti sostanzialmente allineato a quello dei paesi meno avanzati. Con la minaccia della perdita del posto di lavoro e con la complicità del loro stesso sindacato, i lavoratori USA saranno esposti a pressioni enormi per accettare condizioni sempre più difficili e svantaggiose, così da garantire la “competività” e i profitti miliardari delle loro aziende.

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