L’ipotesi lanciata da diversi media sulla faida interna agli apparati del Cairo per ostacolare l’opra del generale Sisi (un Egitto modernizzato da “doppi Canali”, favorevole agli interessati investimenti dell’Occidente, fedele alleato capace d’ogni repressione) vorrebbe qualche riscontro in quegli uomini che il presidente ha collocato nei posti del controllo e della sicurezza. Invece proprio il ministero dell’Interno e l’Egyptian Homeland Security spargono la fuffa dei depistaggi con le goffe motivazioni accumulatesi da oltre un mese sull’omicidio Regeni (incidente, sequestro di microcriminali, spionaggio, tradimento dei tutor universitari, questioni private riguardanti droga, frequentazioni sessuali). Sono dunque personalità come Magdy Abdel Ghaffar, che è pur sempre un ministro, per giunta degli Interni, a far la guerra al presidente e sparger fango su di lui? Ed è questo il mistero che i nostri vertici investigativi e politici devono dipanare o più concretamente serve additare la palude melmosa che è diventata la grande nazione araba nella controrivoluzione marchiata Sisi? Certo i cronisti di nera sono attentissimi ai particolari che fanno dire a qualche voce dissenziente, che ovviamente detesta il regime, o alla coscienza professionale del direttore di Medicina forense del Cairo, che le torture subìte dal nostro studioso sono state ripetute a cadenza periodica, come accade negli interrogatori di tanti ‘Garage Olimpo’.
Se tali trattamenti fossero stati perpetrati da mani diverse dalle Agenzie di Stato, o da sadici infangatori del buon nome (sic) dell’Egitto del generale perché quest’ultimo subirebbe? Abdel Ghaffar, e altri con lui, puntano a disarcionare Sisi per dare vita a uno Stato più sanguinario di quello conosciuto da tre anni a questa parte? La vita dell’oggi sessantaquattrene Ghaffar è un tutt’uno con gli apparati della Sicurezza egiziana. Figlio d’arte (parecchi familiari lavoravano per l’Intelligence) iniziò a operare per il Servizio d’Investigazioni Statali nel 1977, dopo essersi diplomato all’Accademia di polizia del Cairo. Quella struttura era grande, potente e ampiamente finanziata tanto da potersi permettere uffici, luoghi di detenzione illegale, spie professionali e una copiosa rete d’informatori, tutt’oggi lavoro lucroso per cittadini di pochi scrupoli. Fece una rapida carriera, salendo di rango e diventando il Direttore d’un settore che s’occupava di estremismo politico, una polizia politica con poteri speciali. L’epoca era quella che, fra le presidenze di Sadat e Mubarak, poneva il Paese nella sfera d’influenza statunitense con contributi e consiglieri speciali per questo genere d’occupazioni. Negli anni Ottanta la sezione diresse le sue attenzioni sui fermenti socio-sindacali nelle aree industrializzate del Delta del Nilo, negli anni Novanta rapporti e interventi riguardarono maggiormente il pericolo fondamentalista contro gruppi come Gamaa Islamiya. Come altri suoi colleghi, Ghaffar ha vissuto i giorni della “Rivoluzione del 25 gennaio” vedendo la folla di Tahrir incendiare il quartier generale dell’Intelligence. Accadde a vari palazzi del potere oscuro (la sede del partito Ndp).
Visse anche la trasformazione degli apparati della Sicurezza, in gergo mukhabarat, che cambiava sigla diventando Egyptian Homeland Security, tutto sotto la regia del Consiglio Supremo delle Forze Armate, all’epoca guidato dal feldmaresciallo Tantawi. In alcune dichiarazioni Ghaffar ha sostenuto che il nuovo apparato non è un clone della precedente struttura; ricordava sue considerazioni sui metodi totalmente fuori legge utilizzati dall’Intelligence nella quale ricopriva incarichi di rilievo, pur giustificando i mezzi con la finalità di combattere il “terrorismo”. Dell’EHS Ghaffar divenne Direttore nel dicembre 2011, mentre nel mese successivo all’elezione alla presidenza di Mursi (giugno 2012) al Sisi assurse a capo delle Forze Armate. Fra i due sembra esserci collaborazione per il comune disegno securitario, tanto ché nei mesi scorsi Sisi gli ha offerto il ministero dell’Interno mettendo da parte Ibrahim. Ghaffar ha rimpiazzato una ventina di assistenti ministeriali e alcuni ufficiali utilizzando personale fidato dell’Intelligence. Tutto sotto gli occhi di Sisi. Se fra i due uomini forti e cinici ci sia compenetrazione o sia sorto un conflitto interno è tutto da verificare. Il volto assassino mostrato finora dal modello Sisi non è parso tollerante né democratico agli attivisti egiziani finiti alla maniera di Regeni. La faida potrebbe anche essere una maschera per giustificare una realtà che scotta agli alleati prima che ai protagonisti.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento