In “1984” Orwell ci raccontava di un mondo in cui la guerra era percepita dalla popolazione attraverso tre modalità:
1) le immagini sugli schermi cinematografici in cui si mostravano i combattimenti su fronti lontani;
2) le colonne di “prigionieri” che giungevano da quei fronti lontani:
3) le “bombe” che periodicamente esplodevano in città, ammazzando civili ignari.
Al posto degli schermi cinematografici, abbiamo i quotidiani TG.
Al posto delle colonne di “prigionieri”, abbiamo i profughi che giungono da quei fronti lontani.
Insieme alle bombe, abbiamo attentati suicidi, che uccidono civili ignari.
La guerra del mondo globalizzato, non passa più solo per le trincee di una volta, ma colpisce dove vuole, come vuole.
A combatterla non sono più solo gli eserciti, ma mercenari, fanatici e ognuno che abbia un po’ di odio e frustrazione da esprimere.
La guerra è un fatto costituente della società globalizzata, dove merci, capitali e esseri umani, si muovono sulla base di interessi, sollecitazioni e condizionamenti, privi di una relazione con un contesto sociale definito, e si scontrano sulla base di interessi apparentemente ignoti, lontani e incomprensibili.
La guerra è sempre, nelle società capitalistiche, la conseguenza di una necessità economica di distruzione di forze e potenzialità produttive.
Nessuna guerra si è mai conclusa grazie agli appelli alla pace.
L’unica volta in cui un popolo abbandonò le trincee e si rifiutò di combattere fu nel 1917 in Russia.
Ma il suo desiderio di pace, espressosi con una rivoluzione, fu fatto pagare con due anni di guerra civile.
La guerra quando inizia, non può che finire quando il processo distruttivo si è realizzato.
Quando si è in una guerra, non ci si può fare da parte... l’unica cosa che si può fare è cercare di cambiarne il corso... decidendo con coscienza, dove operare la necessaria distruzione.
Lo fecero i contadini e gli operai russi nel ’17, lo fecero i partigiani nel ’43.
Abbiamo anche noi qualcosa da distruggere, e non è la vita delle persone...
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