Una notizia diffusa senza grande evidenza dai media prima che l’ennesimo ‘lupo solitario’ spargesse il sangue dei cittadini europei a Nizza, dovrebbe far riflettere, e molto, coloro che si ostinano a catalogare il terrorismo jihadista come fenomeno religioso o culturale.
Nei giorni scorsi il ‘ministro della guerra’ dello Stato Islamico, Omar al Shishani detto ‘il Ceceno’, è rimasto ucciso in un raid statunitense a Mosul. Stavolta la conferma della sua morte è arrivata dalla stessa organizzazione fondamentalista. Ma non è questa la notizia.
La cosa interessante è invece che Omar ‘il Ceceno’ – al secolo Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili – era stato addestrato dai servizi di sicurezza statunitensi quando faceva parte di un’unità delle forze speciali dell’esercito della Georgia (l’ex repubblica sovietica). Era il 2008, e all’epoca Washington cominciò ad utilizzare i georgiani per provocare e colpire militarmente i russi. Gli Usa non si facevano certo problemi ad addestrare e armare anche dei fanatici jihadisti come al Shishani, come d’altronde avevano fatto decenni prima in Afghanistan e come avrebbero fatto di lì a poco in Siria sostenendo a pioggia gruppi di ribelli i quali, per la maggior parte, sono andati a ingrossare le fila di al Nusra e Daesh.
La sanguinosa ma rapida guerra tra Mosca e Tbilisi del 2008 sappiamo come andò a finire – molto male per i georgiani – e da allora il morbo seminato da Washington e dalle petromonarchie nel paese caucasico ha sparso il proprio veleno molto al di là dei confini della Georgia.
L’ex presidente Saakashvili, nel frattempo caduto in disgrazia in patria e cacciato dalla Georgia dove è ricercato, è stato accolto dai golpisti ucraini; e i comandanti delle unità addestrate e foraggiate da vari attori internazionali contro la Russia hanno costruito reti del terrore in mezzo mondo, dal Nord Africa al Medio Oriente ai Balcani al Caucaso all’Asia centrale. Si veda, ad esempio, il ruolo che alcuni di quei mercenari (religione, ideologia e politica in questi casi c’entrano davvero poco) addestrati in Georgia stanno avendo in Turchia, in Ucraina e in altri quadranti.
Tra questi personaggi anche ‘Il Ceceno’, dall’inconfondibile barba rossa, arrivato in Siria nel 2012, e capace in pochissimo tempo, grazie anche alla formazione ricevuta dalla Cia, di scalare l’organigramma di quello che stava per diventare lo ‘Stato Islamico’ in Iraq, diventando il braccio destro del Califfo Al Baghdadi.
E’ demagogia ricordare, dopo i fatti di Nizza, che molti di coloro che spargono sangue innocente utilizzando degli esaltati sono mostri creati dai troppi Dottor Frankeinstein che popolano i nostri ministeri, i nostri eserciti, i nostri think tank? Crediamo proprio di no.
Più volta abbiamo scritto, su questo giornale, che le maggiori responsabilità per quanto sta avvenendo nelle metropoli europee e occidentali in genere – perché, diciamoci la verità, delle migliaia di arabi falciati mensilmente dalle autobombe dell’Isis in Iraq, Siria, Libano e Yemen interessa poco e niente dalle nostre parti – vanno addebitate agli apprendisti stregoni dell’imperialismo.
Ad alcuni potrà sembrare un refrain banale, superficiale, ma non lo è affatto. Si tratta di una truce verità che va sbattuta in faccia ai nostri media e alla nostra classe politica ogni qual volta del sangue innocente viene versato ad opera di terroristi jihadisti. Insieme ad un altro slogan, altrettanto efficace: le guerre – e i profitti – sono vostri, i morti sono nostri. Perché non troverete un solo esponente politico, un solo magistrato, un solo notabile o imprenditore di grido nei sempre più lunghi elenchi delle vittime europee o statunitensi del terrore jihadista. Solo gente comune, cittadini inermi, sconosciuti signor nessuno che non avrebbero mai pensato di rimanere uccisi a causa di una guerra che altri hanno dichiarato a loro insaputa, senza chiedergli il permesso.
Senza decenni di guerre, invasioni, occupazioni e operazioni di destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, esisterebbero ancora degli stati in grado di assicurare un certo grado di benessere alle proprie popolazioni, oltre che di combattere l’estremismo religioso; senza il criminale utilizzo delle fazioni più estremiste del panorama fondamentalista sunnita da parte dei nostri governi allo scopo di togliere di mezzo regimi non graditi in Medio Oriente e Nord Africa, forse al Qaeda prima e lo Stato Islamico non sarebbero nati affatto o comunque sarebbero rimasti dei fenomeni di carattere locale; senza l’ampio sostegno diplomatico, militare ed economico garantitogli dalle petromonarchie e dalla Turchia i gruppi che hanno trasformato in enormi cimiteri i paesi in cui operano e che ora proiettano la loro tetra scia di sangue nelle nostre metropoli sarebbero infinitamente più deboli.
In sintesi, se l’imperialismo occidentale non avesse sparso per decenni il terrore in mezzo mondo, generando una micidiale ondata di disperazione e di risentimento dentro e fuori i nostri confini, il terrore ora non busserebbe alle nostre porte.
E se la vicenda di ‘Omar il Ceceno’ riguarda specificamente gli Stati Uniti – che ora cercano il sostegno della Russia e dell’Iran per bloccare il cancro che hanno contribuito a creare e a far proliferare – ragionamenti altrettanto lineari possono essere realizzati nel caso delle varie potenze europee e dell’Unione Europea in quanto tale. Le responsabilità europee nella genesi del fenomeno jihadista possono apparire minori rispetto a quelle statunitensi ma sono altrettanto gravi.
La pericolosa relazione tra Francia e Arabia Saudita, Qatar ed Emirati vari in termini di esportazioni di armi e di contratti miliardari è così oscena che anche in patria, dopo il 13 novembre, in molti hanno alzato la voce, pur senza successo. Per non parlare del protagonismo francese nell’aggressione alla Libia prima e alla Siria poi, mentre pochi giorni fa il pur ambiguo ‘rapporto Chilcot’ ci ha ricordato il ruolo della Gran Bretagna – e della Spagna di Aznar – nel disastro iracheno.
Si tratta quasi di banalità, di dati così oggettivi che anche la stampa mainstream, tra un pezzo di propaganda ed uno di folklore, non possono non citare. Eppure pochi giorni fa i manager di Finmeccanica, azienda di stato italiana, hanno annunciato la vendita di nuove armi a quei paesi che foraggiano l’estremismo jihadista allo scopo di utilizzarlo contro i propri nemici e competitori. I nostri governi, le nostre imprese armano le petromonarchie, le petromonarchie foraggiano il jihadismo, il terrorismo jihadista sparge la morte nelle nostre città, i nostri governi rafforzano la militarizzazione, il controllo e sospendono le libertà democratiche in nome di una sicurezza che non può essere garantita e che comunque mettono a rischio attraverso le loro intollerabili strategie di destabilizzazione e le oscene alleanze internazionali.
Si tratta di una catena di cause ed effetti infernale, che occorre spezzare, che occorre denunciare per non farsi intruppare in “una guerra di civiltà” che sotto la sottile superficie della contrapposizione tra culture e religioni nasconde una assai più materiale competizione tra stati, tra poli geopolitici, tra interessi economici, politici e di potere.
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