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15/07/2016

Il sindacato come bersaglio. Incontro di solidarietà con Guido Lutrario e gli attivisti colpiti

“Rivendico la legalità di un picchetto o del blocco dei licenziati della Meridiana o degli Lsu davanti Palazzo Chigi”. Le conclusioni del coordinatore nazionale della Usb Pierpaolo Leonardi all’assemblea di solidarietà con Guido Lutrario, dirigente della Usb raggiunto da una misura di avviso orale dalla Questura per la sua attività sindacale, non lasciano adito a dubbi. Una perversa e dogmatica concezione della legalità che stride con la giustizia sociale, non può perimetrare le ragioni e le modalità con cui lavoratori e settori popolari ricorrono al conflitto per far pesare le proprie esigenze contro l’arroganza delle élite dominanti.

E’ stato un po’ questo il filo conduttore dell’affollato incontro pubblico promosso dalla Usb a Roma per denunciare come la democrazia sia a rischio e un sindacato che fa conflitto e punta alla ricomposizione dei lavoratori dentro e fuori i luoghi di lavoro venga percepito come una minaccia dai padroni e dai governi. Ossia, secondo quanto “avvisato” dalla polizia a Guido Lutrario, “mette a rischio la sicurezza e la tranquillità del paese”. Nell’assemblea si alternati molti interventi, denunciando come quello di Lutrario non sia affatto un caso isolato. E’ avvenuto a Bologna, in Val di Susa e a Roma dove gli attivisti o gli occupanti di case raggiunti da misure restrittive sono ormai una trentina. Grazie al Decreto 159 del 2011, le fattispecie consentite dal codice antimafia che in qualche modo affianca e supera il Codice fascista Rocco, sono tante e tali che ne consentono un uso estremamente estensivo da parte delle autorità di polizia senza che queste debbano esser validate da un giudice. In pratica anche in assenza di reato, viene emesso un “avvertimento” che sei sotto tiro e che sei troppo attivo. Come sostenuto dall’avvocato Guglielmi, questo sembra più un codice da mafiosi che un codice antimafia. Queste misure esistono dal 1956 spiega l’avvocato Salerni, e colpiscono comportamenti che non configurano un reato per cui non è possibile difendersi davanti ad un tribunale o a un giudice. Contro di esse spesso sono state sollevate questioni di costituzionalità già da Pietro Calamandrei.

All’assemblea in difesa di Guido Lutrario sono arrivati molti messaggi di solidarietà: da Nicoletta Dosio attivista storica del movimento No Tav raggiunta a sua volta da misure restrittive a Giorgio Cremaschi, dal sindaco di Napoli De Magistris a Russo Spena fino a numerosi sindacati a livello internazionale. Sul caso è stata presentata una interrogazione parlamentare dalla deputata del M5S Lombardi (che però all’assemblea non si è vista).

Sono intervenuti Sergio Cararo, Abu Bakr Somahouro, Paolo Di Vetta (anche lui oggetto di misure restrittive), Nunzio D’Erme, Franco Russo, Sergio Bellavita, Stefano De Angelis ed infine lo stesso Guido Lutrario. E’ un intero spaccato dei movimenti sociali e del sindacato conflittuale a prendere la parola, non solo per solidarietà ma anche per cercare di capire il segno di queste misure repressive e il loro obiettivo. Si comprende bene come il timore delle classi dominanti e dei loro apparati coercitivi, sia l’emergere di una sindacalismo capace di ricomporre settori sociali diversi sia dentro che fuori i luoghi di lavoro e di dargli in qualche modo una sponda organizzata. Era stata la paura ammessa dalla stessa relazione annuale dei servizi segreti per le manifestazioni del 18 e 19 ottobre del 2013, quella di una saldatura di un blocco sociale capace di fare vertenza, conflitto ma anche “politica” nel senso migliore della parola. Nel mirino non c’è solo Guido Lutrario ma l’Usb come modello e potenzialità di sindacato di massa, aggregante e combattivo in un mondo del lavoro dove si respira aria da caserma, ma soprattutto dentro un disagio sociale crescente che se trovasse un punto di sintesi potrebbe diventare istanza di cambiamento e non guerra tra poveri.

Questa preoccupazione è evidente nella relazione che ogni anno i servizi segreti presentano al Parlamento ed in cui i movimenti e i conflitti sociali sono analizzati e monitorati con capillarità a attenzione (una attenzione inversamente proporzionale a quella che viene invece riservata ai gruppi neofascisti). L’attività dei militanti sociali e sindacali dentro i settori popolari che più pesantemente stanno subendo gli effetti della crisi, vengono totalmente delegittimati dalle autorità come “strumentalizzazione del disagio sociale”. Quando questa logica viene portata a colpire anche l’attività sindacale vuol dire che il clima si sta facendo pesante e che la preoccupazione delle classi dominanti sta raggiungendo la soglia di allarme. Il tira e molla e il terrorismo politico/mediatico sul referendum controcostituzionale di ottobre è lì a dimostrarlo.

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