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09/11/2017

Il “voto per vendetta” dei lavoratori

La lista ormai sta diventando lunga: Marcegaglia, Lucchini, Sanofi, Gester, U-Shin e poi la GD storica roccaforte della Fiom nell’Emilia “rossa”, ed infine le aziende dell’igiene ambientale come Amiu, Geofor, Ama ed altre. Dalle fabbriche come dalle aziende municipalizzate, è venuto crescendo in queste settimane uno tusnami sindacale e “politico” nelle elezioni Rsu che, in questo caso, ha premiato un sindacato conflittuale come l’Usb.

E’ un fenomeno che va analizzato con attenzione perché appare fortemente speculare a quanto avvenuto da un paio d’anni a questa parte sul piano politico/elettorale.

Gli abitanti nelle periferie o i lavoratori nelle aziende, hanno utilizzato lo strumento del voto, al momento uno dei pochi che hanno a disposizione, per mandare un segnale di rabbia e rottura, un “voto per vendetta” contro coloro che percepiscono come parte dell’establishment che gli sta rovinando l’esistenza.

Sindacati come Cgil Cisl Uil vengono ormai vissuti nelle aziende come parte del problema e non più come soluzione o alternativa. Sul piano politico invece i partiti di governo o che hanno governato (di destra o di sinistra) hanno subito lo stesso trattamento. Sul piano sindacale il voto per vendetta è stato intercettato in questa fase da un sindacato di base e conflittuale (l’Usb), sul piano politico a fare rubamazzo è stato fin qui il M5S.

Si presentano così sulla scena politica e sociale alcuni elementi che meritano di essere visualizzati, discussi e, se possibile, convertiti in azione utile al cambiamento.

1) La divaricazione tra i settori sociali e le organizzazioni politiche e sindacali tradizionali è cresciuta fino a diventare rottura, ostilità, disincanto. La demolizione dei corpi intermedi perseguita con determinazione dalle oligarchie finanziarie a livello nazionale ed europeo, ha smantellato la funzione di mediazione da questi esercitata fino a dieci anni fa (do you remember la concertazione?). In secondo luogo la scomparsa dei margini e delle risorse per la mediazione in nome della competitività assoluta e del pareggio di bilancio, hanno privato i partiti, i sindacati, l’associazionismo collaterale di quegli strumenti di raccolta di consenso (un po’ clientelari un po’ negoziali) su cui si erano retti fino ad oggi. In un regime di aumentate disuguaglianze ed enorme concentrazione delle ricchezze e delle risorse, non ce n’è più per nessuno se non per pochi e quindi i corpi intermedi hanno perso la loro funzione;

2) I lavoratori nelle aziende (private o privatizzate soprattutto) come la gente delle periferie, stentano a individuare il nemico, la causa del problema. Le organizzazioni tradizionali hanno cessato da tempo di indicarglielo con chiarezza, pensando che strappare qualcosa sui margini e gli interstizi sarebbe stato sufficiente a mantenere una rendita di posizione. I fatti però si sono incaricati di smentirli con ripetute docce fredde di cui le ultime elezioni delle Rsu nelle fabbriche o nelle aziende minacciate dalle privatizzazioni sono la dimostrazione;

3) Lavoratori e abitanti hanno dimostrato in più occasioni (elezioni politiche e comunali recenti, referendum del 4 dicembre sulla controriforma costituzionale ed ora le elezioni delle Rsu sindacali) che appena hanno a disposizione una possibilità di esprimersi lo fanno regalando severi dispiaceri a chi è “parte del sistema”, e Pd, sinistra, Cgil, Cisl, Uil vengono ormai percepiti come tali. E’ evidente come questo “voto per vendetta” penalizzi soprattutto questi ultimi, perché nasce dalla rabbia e dal disincanto del blocco sociale “popolare” e operaio che prima ne era la base sociale ed elettorale. La destra ne subisce meno gli effetti perché, al di là di tutto, rimane sempre espressione di ceti medi e alti (e delle loro sordide relazioni con il “mondo di mezzo”) che non hanno mai modificato la loro visione reazionaria dei rapporti sociali;

4) I lavoratori delle fabbriche e delle aziende, nelle elezioni per le Rsu, votano per vendetta contro Cgil Cisl Uil (ed anche contro la Fiom) e votano sempre di più per l’Usb. E’ importante però sapere che questa rottura ancora non si traduce in adesione o in maggiore disposizione al conflitto. Lo sciopero generale del 10 novembre ad esempio è sentito di più in alcuni settori “di trincea” del mondo del lavoro oggi (logistica, agricoltura, trasporti, aziende in crisi) ma meno in altri.

Esattamente come il “voto per vendetta” sul piano politico o nel referendum, non ha prodotto un movimento di contestazione frontale coerente e conseguente contro il nemico reale (dall’Unione Europea allo Stato complice delle banche e delle imprese), lo stesso M5S ha fatto di tutto per depotenziare questo possibile effetto. C’è stato invece un gesto – ripetuto – di dissonanza contro quello che si ha davanti, ma non c’è ancora una coscienza dei propri interessi in conflitto con altri e diversi interessi antagonisti.

Una prima conclusione, decisamente parziale e tutta da sviluppare, è che si è consumata nella società una rottura culturale e politica verso i corpi intermedi (partiti e sindacati tradizionali) e si manifestano in più direzioni e in più settori sociali le conferme di questa rottura ogni volta che essa è possibile. Per ora solo attraverso un voto diretto (più nei referendum o nelle Rsu aziendali che nelle elezioni) o con un astensionismo consistente ma non ingenuo. Al referendum del 4 dicembre, quando ogni voto poteva e doveva contare, la gente a votare ci è andata in massa sconfiggendo il progetto reazionario di Renzi. Comincia a esserci materia prima interessante su cui ragionare, ma con un radicale cambio di passo e di mentalità. E su questo, obiettivamente, l’unica novità su piazza viene dal percorso che sta costruendo la Piattaforma Eurostop, soprattutto per i prossimi mesi.

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