di Michele Giorgio - il Manifesto
Dopo aver ricevuto
l’approvazione di Donald Trump alla sua ondata di arresti fra principi,
ministri e tycoon presunti corrotti, il principe ereditario
saudita Mohammed bin Salman ha ottenuto dagli Usa pieno appoggio
all’accusa rivolta all’Iran di aver fornito il missile balistico sparato
dallo Yemen che il 4 novembre ha sorvolato Riyadh. Secondo
l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley, il missile sparato
era un Qiam, di fabbricazione iraniana, «un tipo di arma non presente in
Yemen, prima della guerra civile».
Parole che danno una spinta ulteriore all’offensiva di Riyadh contro il movimento sciita Hezbollah, culminata nell’imposizione delle dimissioni al premier libanese Saad Hariri e nell’attacco frontale a Tehran
lanciato ancora da Mohammed bin Salman durante una conversazione
telefonica con il ministro degli esteri britannico Boris Johnson. «Il
ruolo del regime iraniano nel rifornire i ribelli (yemeniti) Houthi di
missili rappresenta un attacco armato da parte di Teheran e può essere
considerato come un atto di guerra», ha sentenziato il potente rampollo
reale ricevendo la solidarietà di Johnson.
Immediata la replica di Tehran che, attraverso il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, ha descritto «false e pericolose» le affermazioni saudite.
A Damasco, dove era in visita ufficiale, Ali Akbar Velayati, consulente
dell’ayatollah e guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, ha ribadito che
il suo Paese è pronto a difendersi. Velayati e il presidente siriano
Bashar Assad si sono detti convinti che l’escalation di tensione nella
regione è causata dalla sconfitta dei gruppi terroristici in Siria.
Gruppi terroristici che ieri sono tornati a colpire a Damasco. Una
pioggia di razzi e colpi di mortaio sparati da miliziani jihadisti hanno
colpito un quartiere di Damasco ed edifici non lontani dall’ambasciata
russa facendo almeno cinque morti.
Israele non resta a guardare. Nonostante stampa e
analisti mettano in guardia dal farsi trascinare dalla frenesia saudita
di andare in guerra subito contro l’Iran, il governo Netanyahu si avvicina a Riyadh con cui Tel Aviv non ha ufficialmente relazioni.
Lo prova un telegramma inviato dal ministero degli esteri israeliano a
tutte le ambasciate, rivelato lunedì sera alla tv Canale 10 da Barak
Ravid, uno dei giornalisti israeliani meglio informati. Gli
ambasciatori, ha spiegato Ravid, sono stati invitati a diffondere tra i
dirigenti dei Paesi in cui operano un messaggio di aperto sostegno
all’Arabia Saudita e contro la presenza di Hezbollah nell’attuale e nei
futuri governi libanesi.
Intanto la purga gigantesca messa in moto da Mohammed bin Salman che ha già visto decine di arresti, si
colora di nuovo di giallo. Il principe Abdul Aziz bin Fahad, figlio del
penultimo sovrano del regno, Fahd bin Abd al Aziz al Saud, sarebbe
stato ucciso dalle forze di sicurezza in uno scontro a fuoco dopo
essersi opposto all’arresto. A riferirlo è stato il Daily Mail e
la notizia, non confermata ufficialmente, arriva 24 ore dopo che un
altro membro della famiglia reale, Mansour bin Muqrin, è morto in un
incidente aereo al quale però ben pochi credono.
Media arabi e anche israeliani sostengono che il velivolo che
trasportava il principe e altri sette funzionari sarebbe stato abbattuto
da un jet militare per evitare la loro fuga. Le autorità giudiziarie inoltre hanno bloccato più di 1.200 conti bancari “eccellenti”.
Di fatto prigioniero sarebbe anche il presidente yemenita in esilio a
Riyadh, Abd Rabbu Mansour Hadi, assieme ai figli e ad alcuni capi
militari, ai quali i sauditi impedirebbero di ritornare in Yemen.
Motivo: i rapporti tesi che Hadi ha con gli Emirati, alleati di ferro
dell’Arabia Saudita.
In altre parti della regione si guarda con preoccupazione al futuro. Il Libano teme di precipitare in una nuova guerra civile sotto l’urto della pressione saudita contro Hezbollah
che ha già costretto il primo ministro Hariri a dimettersi. Gli
abitanti di Gaza attendono con timore il rientro del presidente
palestinese Abu Mazen “invitato” d’urgenza dal re saudita Salman. Riyadh
infatti ha accolto con disappunto la riconciliazione tra Abu Mazen e il
movimento islamico Hamas sponsorizzato da Qatar e Turchia, rivali dei
sauditi, e che di recente si è riavvicinato all’Iran.
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