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06/11/2017

Saud, lo tsunami Mohammed bin strapazza la dinastia

E’ un bel mix fra politica interna, estera, economia e finanza, religione e tradizioni a determinate il colpo di mano più scenografico attuato dalla monarchia Saud. Correlato alle faide di famiglia, già avviate da mesi, e palesate con le epurazioni di sabato notte. Dal 1932, anno dell’autoproclamazione a sovrano di Abdal-Aziz, la dinastia che raccoglie i principi figli, fratelli, fratellastri, nipoti – tutti rigorosamente di sesso maschile – aveva cercato di passarsi la corona in accordo coi rispettivi gruppi parentali (tutti ricchissimi grazie al petrolio e agli accordi con le occidentali ‘Sette Sorelle’ in Medio Oriente) anche se non tutti abili nella conduzione delle dinamiche nazionali. Eppure le oscillazioni e le gravi crisi politico-militari ed economiche di fine anni Quaranta e Sessanta erano state gestite conservando il criterio dell’unità statale e familiare. Dal 2015, con la scomparsa di re Abdullah e la salita al trono del fratellastro Salman, la situazione sembra essersi complicata. Non solo per la polveriera mediorientale tornata a incendiarsi, soprattutto con la crisi siriana, ma in tutti gli addentellati proprio della linea interna ed estera saudita. Certe voci sostengono che alla base del caos ci siano anche problemi di salute. Sia quelli che riguardano re Salman, sulla via della demenza pur con i non avanzatissimi 81 anni, sia il cinquantottenne nipote bin Nayef da lui incaricato alla successione e nel giugno scorso esautorato dal ruolo. Si dice perché malato e piegato da farmaci d’ogni tipo. Sarà.

Di fatto a guadagnarci dalle doppie malattie, vere o presunte, è il figlio di Salman, Mohammed bin, già investito dell’incarico di ministro della Difesa con cui aveva iniziato a strabordare in politica estera decidendo l’intervento saudita a fianco dell’esercito dello Yemen che reprime l’etnìa interna ribelle Houti. L’ambizioso e, alcuni sostengono lunatico, Mohammed bin s’è, dunque, ritrovato ancor più potente in virtù di quella decisione, letta da altri rami della famiglia e da diversi principi come un colpo di mano molto più che paternalista. A darsi da fare nella notte di sabato scorso è stato direttamente il rampollo ministro e delfino di re Salaman che con l’arresto di alcuni principi e potentissimi del regno, tuttora motivato solo genericamente “per corruzione”, ha colpito in maniera mirata e generica. Diretto il colpo interno alla famiglia, con cui ha disarcionato e messo agli arresti il figlio di re Abdullah, Mutain bin, responsabile della Guardia Nazionale. In tal modo Mohammed si garantisce il controllo totale di tutte le strutture militari interne. Sia le Forze Armate: 300.000 uomini, comprensive di oltre 60.000 avieri (l’Arabia Saudita è la 10° nazione al mondo per spese militari e dopo Israele è dotata della maggiore struttura aerea d’attacco del Medio Oriente). Sia l’apparato dell’Intelligence, denominato Al-Mukhabarat al-Amma, e per l’appunto la Guardia Nazionale che conta 225.000 unità, fra cui i reparti speciali reclutati fra le tribù fedelissime alla dinastia, come i beduini Ikhwan. La struttura negli ultimi quarant’anni ha ricevuto l’attenzione primaria dell’alleato statunitense, che ha inviato oltre un migliaio di reduci dal Viet-nam (ovviamente quelli somiglianti al colonnello Bill Kilgore di Apocalypse now, quello ‘dell’odore del napalm al mattino’) in qualità di addestratori.

A organizzare la ‘collaborazione’ la “Vinnell Corporation”, che guarda caso ha sede a Fairfax, Virginia, la terra della Cia. Insomma Mohammed bin ha preparato adeguatamente il controllo muscolare del Paese, blindando la sua persona e la linea che va sostenendo. Che ha un’impronta spregiudicata e modernista, sia quando accentra cariche scontentando appunto altri rami della famiglia reale, sia quando colpisce la visione più retriva del clero wahhabita con le aperture verso i costumi femminili. La notizia della concessione della guida alle donne ha fatto il giro del mondo, e c’è già chi si attende ulteriori passi come l’annunciata mescolanza col genere maschile in certi luoghi, fra cui le manifestazioni sportive. Alcuni sheikh fermati e accusati di corruzione ribattono che si finirà col togliere il velo alle donne, a farle mostrare le gambe, questi sì passi di corruzione della tradizione religiosa. Ma il principino sembra voler limitare il potere della componente conservatrice, sostenendo che occorre aprirsi al mondo e pure alle altre fedi mostrando tolleranza. Gli stessi osservatori della società saudita cercano di comprendere se le mosse di Salman junior siano animate da vera convinzione o diventino manovre tattiche per combattere chi fra i suoi simili s’appoggia all’interpretazione reazionaria dell’Islam per continuare solo a curare i propri interessi. Il rapporto fra businessmen e clero, seppure quest’ultimo manchi di gerarchia, si è consolidato nei decenni della monarchia, lo scambio risultava reciproco: la fedeltà alla corona era contraccambiata con l’adesione alla tradizione.

Questo patto sembra subire alcune incrinature se addirittura i vertici della famiglia reale entrano in conflitto così aperto. Le scelte messe in atto dal principe Salman avevano allontanato dal Paese, ben prima dello scorso week end, alcuni affaristi locali. Evidentemente se legati alla tradizione, al di là di petrodollari e affari, essi leggevano fra le righe e avevano compreso l’andamento di talune scelte dinastiche. Lo dimostrano le vicende di questi giorni e alcuni protagonisti, anche involontari. Due nomi: il principe Alwaleed bin Talal e il principe Mansur bin Muqrin. Il primo è il più noto fra gli epurati. Un potentato del capitale collocato da Forbes al 41° posto fra i ricconi della terra con 17 miliardi di dollari di patrimonio, ma altre riviste parlano di 20 miliardi di dollari collocandolo ancora più in alto nella graduatoria. La sua “Kingdom Holding Company” ha quote azionarie in Apple, Amazon, Boeing, Citigroup, Coca Cola e Pepsi Cola, McDonald’s, Ford, Kodak, Walt Disney e in altre decine di aziende fra cui Fininvest. Forse ha pagato la posizione presa assieme ai congiunti di opporsi alla nomina di Mohammed bin quale successore di Salman; altri sostengono che invece paghi le critiche a un progetto del principino: mettere sul mercato “Aramco”, la storica compagnia petrolifera nazionale. La smania di innovazione può produrre anche idee balzane, bisogna vedere come la prende un elemento come lui pieno del suo ego e stizzoso. Perché nelle scosse telluriche in corso s’inseriscono anche episodi misteriosi e qui veniamo a Mansur bin Muqrin. Proprio ieri, sorvolando la provincia di cui è governatore, Asir sul confine yemenita, l’elicottero su cui viaggiava è caduto. Con lui sono morti alcuni ufficiali. Sull’incidente indagano Intelligence e Guardia Nazionale, verrà fuori qualcosa?

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