Il 1 ottobre, alla riunione del “Gruppo di contatto” per gli accordi di Minsk, le parti (DNR e LNR, Ucraina, Russia, OSCE) si sono accordate sulla “formula Steinmeier”, come primo passo obbligato per il proseguimento del “formato Normandia” sul Donbass. Il piano, presentato nel 2015 dall’allora Ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, e accolto dal “quartetto normanno” (i Presidenti di Francia, Germania, Ucraina, Russia) prevede la concessione di uno “status speciale temporaneo” ad “alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk” – come noto, i territori di DNR e LNR non coincidono con l’intera area delle omonime regioni – per le elezioni locali, da tenersi secondo la legge ucraina; dopo la pubblicazione del rapporto OSCE sul voto, il Donbass godrà di definitivo status speciale.
Status approvato dalla Rada ucraina già dopo gli accordi di Minsk del febbraio 2015, ma mai entrato in vigore e mai rispettato da Kiev. Tra l’altro, a Donetsk fanno notare come i primi articoli del documento coincidano con le principali rivendicazioni delle Repubbliche popolari, tra cui: status della lingua russa, particolari regimi economici e di cooperazione con la Russia, rapporti con Kiev.
Nell’incontro di martedì a Minsk, si è concordata anche la separazione di mezzi e forze militari nelle aree di Petrovskoe e Zolotoe della LNR per il 7 ottobre. Il rappresentante russo al gruppo di contatto, Boris Gryzlov, ha sottolineato come l’accordo sia stato raggiunto solo grazie alle pressioni esercitate da Parigi e Berlino su Kiev che, alla precedente riunione, non aveva voluto firmare. Ma, a parere del politologo Pavel Rudjakov, il ruolo decisivo l’ha senz’altro giocato Washington: il rifiuto di Kučma, tre settimane fa e il suo assenso, oggi, indicano che “Kiev attendeva il segnale USA”.
Prevedibile, l’isteria dei neonazisti ucraini, che già martedì sera e poi di nuovo ieri avevano circondato il palazzo presidenziale, con fiaccole e insegne di “Svoboda”, “Natsionalnyj korpus”, “C14”; così come dell’ex primo golpista Petro Porošenko, della “martire” del gas Julija Timošenko. Già alla vigilia dell’accordo, l’ex rappresentante ucraino al sottogruppo sulle questioni politiche, Roman Bezsmertnyj aveva definito il progetto di documento “una trappola del Cremlino”. Resta a vedere quanto sincero sia l’entusiasmo per la firma manifestato dall’attore Vladimir Zelenskij. Alla Rada si è arrivati a dire che, formalmente, la parte ucraina non ha firmato il documento, ma ne ha solo approvato il testo.
Ma, come sempre, i più accaniti si rivelano essere gli ex. L’ex consigliere di Putin e ora senior advisor presso il Center for Global Liberty and Prosperity del Cato Institute americano, Andrej Illarionov dichiara all’ucraina Gordonua.com che “le parole di Zelenskij, secondo cui la formula Steinmeier è uno “spauracchio” insignificante, testimoniano o della sua incompetenza, o dell’intenzione di nascondere alla società la resa a Putin. Status speciale per il Donbass” dice Illarionov, significa che verrà liquidato “il carattere unitario dello stato, con il passaggio alla federazione, spinto da Putin.
Lo status speciale concesso dopo il rapporto OSCE, significa poi il trasferimento della sovranità statale a un soggetto straniero, l’OSCE, infarcito di agenti speciali russi”. Quanto la missione OSCE in Donbass sia “infarcita di agenti russi”, lo possono testimoniare gli abitanti di LNR e DNR, che vedono quegli “agenti russi” ben sistemati nelle loro sedi, al riparo dei bombardamenti ucraini, per impedire i quali non fanno praticamente nulla.
“Non è trascorsa nemmeno una settimana dalle dimissioni di Volker, che già sono cominciati i cambiamenti”, ha dichiarato il direttore del portale ucraino Strana.ua, Igor Gužva, notando però come la firma apposta dal rappresentante di Kiev, l’ex Presidente Leonid Kučma, rappresenti solo “l’inizio del viaggio. Ora la Rada deve adottare la legge sulle elezioni e anche fissarne la data. Senza questo, la “formula Steinmeier” è ancora un pezzo di carta”. Ed è difficile dargli torto, avendo alle spalle cinque anni di aggressione militare e di farse parlamentari ucraine sugli accordi di Minsk.
Tant’è che il politologo russo-ucraino Vladimir Kornilov ricorda per Ukraina.ru come lo stesso Kučma avesse firmato gli accordi di Minsk del 2015, ma poi, “in tutti questi anni, i capi ucraini non hanno fatto altro che spiegare perché l’Ucraina non li avrebbe rispettati, ma che per l’inadempimento avrebbe dovuto essere punita la Russia. Lo stesso ritornello comincerà ora di nuovo”.
Così che anche il politologo Aleksej Česnakov dichiara alla Tass che “preoccupa la dichiarazione di Zelenskij, secondo cui verrà adottata una nuova legge sullo status speciale del Donbass. Ciò ricorda il modo di Porošenko di sconfessare subito le proprie azioni. Con una mano sottoscrive la formula Steinmeier, e con l’altra dichiara che non è quello status speciale, che ce ne sarà uno diverso. La stessa voglia di Porošenko di castrare il processo di Minsk”.
Nella conferenza stampa convocata a Kiev subito la firma di martedì, Zelenskij ha infatti detto che le elezioni in Donbass non si terranno finché l’Ucraina non otterrà il controllo su tutte le frontiere con la Russia e aveva specificato sibillinamente che la formula Steinmeier dovrà essere “implementata in una nuova legge sullo status speciale”. Quella attuale, infatti, ancorché mai applicata, “è valida fino al 31 dicembre. Ci sarà una nuova legge che sarà messa a punto dal Parlamento dopo una discussione nella società”, ha detto; vale a dire: coi battaglioni neonazisti all’esterno della Rada e i deputati alla Parubij al suo interno.
Per quanto riguarda i diretti interessati, DNR e LNR, Denis Pušilin e Leonid Pasečnik hanno detto congiuntamente che le Repubbliche popolari proseguiranno i colloqui di Minsk con l’obiettivo finale della completa autodeterminazione. In una corposa dichiarazione ripresa dalla Tass, i leader delle due Repubbliche popolari hanno detto che “saremo noi stessi a decidere in che lingua parlare, quale sarà la nostra economia, come sarà formato il nostro sistema giudiziario, in che modo la milizia popolare difenderà i nostri cittadini, come ci integreremo con la Russia”.
E hanno aggiunto: “esortiamo il signor Zelenskij a non dettarci condizioni. Quando dice che le elezioni nel Donbass si terranno solo quando l’Ucraina conseguirà il controllo delle frontiere, non comprende che non spetta a lui, ma a noi, decidere quando terremo le elezioni. Kiev non otterrà alcun controllo sui confini”. Inoltre, il “signor Zelenskij ha parlato di una nuova legge sullo status speciale. Molte cose non ci piacciono nella redazione attuale, in cui Porošenko ha voluto inserire clausole inaccettabili. Ma in essa ci sono anche punti importanti, che non possono esser cambiati. Eventuali modifiche dovranno essere concordate con noi. In caso contrario, le considereremo una volgare violazione degli accordi di Minsk, che per noi diverranno giuridicamente nulli”.
Con lucido sguardo, Julija Vitjazeva, su news-front.info scrive che “se il desiderio degli ucraini di fermare la guerra fosse sincero, essi si sarebbero appigliati a ogni chance. Avrebbero obbligato Porošenko a rispettare gli accordi di Minsk. Applaudirebbero ora Zelenskij per la firma della formula Steinmeier. Soprattutto, avrebbero da tempo manifestato il desiderio di lasciar andare il Donbass e salvare così la vita dei propri soldati. Se i patrioti ucraini volessero davvero la pace per il proprio paese, ora, sulla loro ottusa majdan, canterebbero di gioia e lancerebbero petardi. Ma loro non hanno bisogno della pace. Sono pronti a mandare al macello i propri e uccidere senza pietà chi si trova dall’altra parte del fronte”.
È così che, mentre a Minsk stava per esser sottoscritto il piano di Steinmeier, Zajtsevo, Luganskoe, Dokučaevsk, Leninskoe, Kominternovo, Sakhanka, il villaggio minerario di Trudovskaja erano ancora sotto il tiro di mortai, lanciagranate, mezzi blindati, mitragliatrici pesanti della 53° Brigata ucraina. E ieri reparti della 72° Brigata hanno martellato con mortai e lanciagranate Pervomajsk, nella LNR. “Formula Zelenskij”.
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