“Dovunque regni lo spettacolo, le uniche forze organizzate sono quelle che vogliono lo spettacolo”.
Questa frase dei
Commentari di
Guy Debord va interpretata in modi
differenti, diversi anche dalle intenzioni dell’autore. Debord metteva
l’accento su come differenti forze dello spettacolo si contendessero il
dominio, per operare politiche del tutto simili, nella società dello
spettacolare integrato. Società che altro non era che un dispositivo di
potere coordinato tra concentrazione di potere nella produzione di
significati spettacolari e diffusione microfisica dei suoi effetti. Qui
Debord, interpretato meno alla lettera e in toni meno apocalittici,
faceva capire come nelle società contemporanee la coesione politica, e
anche quella sociale di qualunque segno, non possa essere separata da
quella spettacolare. Il possesso di una evoluta logistica dello
spettacolo è quindi garanzia di potere politico ma anche della riuscita di
quello spettacolo che rappresenta il campo di forza della coesione
sociale. Fa politica chi è in grado di mettere assieme spettacolo e
logistica intesi come tecnologie della creazione e del mantenimento del
campo di forza della coesione sociale. Un quarto di secolo dopo i
Commentari, con l’esplosione di diverse generazioni di tecnologie della
comunicazione, vanno rivisti sia i concetti di spettacolo che di
logistica in rapporto alla politica istituzionale.
Le
primarie di centrosinistra rappresentano quindi un buon punto di
osservazione dei cambiamenti di questi concetti. E questi cambiamenti
sono il vero dato politico delle primarie visto che il grosso
delle politiche su lavoro, fisco, bilancio in Italia (quello che sarebbe
il nucleo di un programma elettorale) passa tra Ecofin, eurogruppo e
Bce e le esigenze di un sistema bancario europeo in preda a tossicità
di ogni genere. Tutti temi solo minimamente sfiorati alle
primarie, cosa che ha contribuito a renderle uno spettacolare integrato,
di una nuova generazione, ma del genere “strapaese inconsapevole della
politica”. Genere che, nato per contrastare la cosiddetta antipolitica,
alimenta così i processi di regressione cognitiva dell’elettorato che ha
partecipato all’evento. Siamo quindi di fronte a mutazioni tali, nella
rappresentazione della coesione sociale tramite una matura logistica
della cosiddetta partecipazione democratica, da farci pensare che
all’elettorato di centrosinistra sia stata data una iniezione letale di
realtà aumentata da renderlo politicamente e socialmente morto.
Guardiamo di capirle queste mutazioni. Partiamo dal concetto di realtà aumentata.
La augmented reality non è la realtà virtuale, non è un ambiente di
immissione in un reale del tutto diverso da quello convenzionale. E’
piuttosto un corpo di tecnologie, già in atto da tempo ed in permanente
evoluzione, che sovrappone la realtà digitale a quella convenzionale. Lo
smartphone, ancora più del tablet a causa della sua maggiore praticità,
è il terreno sul quale si sviluppa la realtà aumentata. Il modello è
quello dello smartphone inteso come occhio attraverso il quale la realtà
convenzionale può essere, nel momento in cui è percepita, aumentata di
segni, indicazioni, strumenti di lettura, di relazione e di
orientamento. L’archetipo di questo modello è Google Maps montato a suo
tempo sull’iPhone 3. Gli sviluppi possibili di questo archetipo sono
ovviamente infiniti. Eventi come le primarie ci mostrano la produzione
di una realtà aumentata in politica che è un fenomeno differente,
un’evoluzione dello spettacolare integrato di Debord. In quest’ultimo lo
spettacolo era un fenomeno, di rappresentazione del mondo annullata
nelle immagini tradizionali del cinema e della tv, concentrato nei
poteri che lo governavano e diffuso nell’eco della narrazione sociale.
Oggi, la produzione di segni, indicazioni, strumenti di lettura,
relazione ed orientamento della realtà aumentata, che ha lo smartphone
come paradigma, diviene strategico nella produzione di contenuti nella
politica istituzionale. Non è un dato alla moda ma un preciso tratto
antropologico: alla personalizzazione dell’offerta politica, il
candidato che mette in ombra i contenuti (che comunque politicamente,
come abbiamo visto, non ci sono), corrisponde la possibilità di
personalizzare dati e indicazioni dei candidati sui propri oggetti
privati di comunicazione. Che, in questo modo, permettono di vedere la
realtà in modo diverso, aumentata in contenuti. L’uso non solo massiccio
ma ostentato di twitter nelle primarie di centrosinistra mostra
l’adeguamento di questo genere di politica istituzionale a questo
paradigma. Gli stessi successi di Renzi, che ha usato in modo più
evoluto strategie di penetrazione digitale nelle zone del paese dove il
digital divide è minore rappresentano un segnale in questa direzione.
Le primarie: una regressione antropologica che nega la democrazia
Il
genere di spettacolare integrato prodotto dal centrosinistra è quindi
un tipo di spettacolo dove la coesione sociale ed elettorale è operata
attraverso l’estetica, assieme alle tecnologie, della realtà aumentata.
Lo stesso spettacolo originario, la serata su Sky, che serve anche per
alimentare le altre forme di coesione spettacolare, le più tradizionali,
ha assunto tratti significativi di questa estetica. Segnatempo marcati
ovunque come in un tablet o in uno smartphome, candidati rappresentati
entro un format personalizzabile.
Le primarie rappresentano quindi una revisione del concetto di spettacolo ma anche di logistica,
che diviene logistica della percezione piuttosto che dell’immaginario.
Una logistica dove il candidato più che immaginato deve essere percepito
ovunque, in tv e sui propri dispositivi personali. Logistica e
spettacolo, in questo modo, tendono naturalmente verso un tipo di
rapporto sociale che è una forma democratica di negazione della
democrazia. Guardiamo infatti alle modalità organizzative delle
primarie. A quelle tradizionali, organizzazione dei volontari e dei
seggi, si sono infatti fermamente sovrapposte, sovrastando la dimensione
del volontariato, tutte le forme logistiche flessibili del
project-financing, dello sponsoring, dello spin-doctoring, dell’uso
degli influencer in rete, della programmazione televisiva pay e
generalista. Come sappiamo è dalla forma organizzativa non dai
contenuti, che comunque qui non c’erano, che si comprende se c’è
democrazia reale. Bene, tutte queste forme di logistica flessibile
egemoni nell’evento primarie presuppongono un rigido controllo verticale
dei contenuti da diffondere,da far circolare e da finanziare. Basta
immaginare il contrario per capire cosa sono le primarie del
centrosinistra: si pensi che razza di casino sarebbe accaduto se solo la
logistica delle primarie avesse esaltato, dandogli la scena, i
contenuti prodotti dagli utenti supporter di uno dei candidati. Se in
prima serata tv fosse finita la dichiarazione di un follower di Bersani
“ripristiniamo l’articolo 18, basta con il governo delle banche” (e ce
ne sono non pochi), o di Vendola “Renzi è uno di destra e non dobbiamo
allearci con lui” (anche qui ce ne sono non pochi). Sarebbe stata
un’operazione di realismo non di realtà aumentata ma l’intero mosaico
dei contenuti da vendere attraverso questa complessa logistica della
percezione sarebbe rimasto sinistrato. Più difficile sarebbe stata la
dinamica fluida del project-financing (chi finanzia contenuti non
controllabili nè dallo sponsor nè dallo sponsorizzato), dello
spin-doctoring (chi si mette a governare contenuti che non controlla) e
di tutti i dispositivi della logistica che sono la vera anima di questo
genere di scenografia elettorale.
Per
questo si deve parlare di primarie come iniezione fatale di realtà
aumentata perchè rappresentano una complessa, implicitamente
autoritaria, immissione di contenuti non negoziabili nel proprio corpo
elettorale. Il fatto che si parli dell’elettorato, secolarizzando l’uso
del concetto, in termini di partecipazione aiuta proprio a comprendere
questa dinamica. In termini più squisitamente mutuati dall’antropologia
religiosa la partecipazione è quel processo, formalizzato in rito, di
assunzione, e di successiva personalizzazione, della parola tramite una
funzione. Le persone partecipano tramite le emozioni esperite nella
funzione, o il commento entro logica e regole religiose, mentre il
governo dei significati e della parola appartiene a chi detiene i
dispositivi di funzionamento della funzione (qui l’assonanza tra questi
due ultimi concetti dovrebbe aiutare a comprendere il problema). Non
è affatto un caso che diversi candidati alle primarie abbiano
utilizzato, in differenti coniugazioni, l’esortazione alla “speranza”.
Nella subcultura cattolica, alla quale tutti i candidati hanno fatto
esplicitamente riferimento nel cosiddetto Pantheon dei valori, la
speranza serve per un governo positivo dell’emozione suscitata nei
partecipanti. In un dispositivo rituale dove c’è chi ha il
potere reale, del governo della parola e della scenografia, e chi può
soltanto partecipare. E la costruzione della parola e l’organizzazione
della scenografia non sono controllati dai partecipanti.
Quindi non
si sbaglia affatto quando si parla di primarie come fenomeno di
regressione antropologica, che finisce per rappresentare il rovescio di
una democrazia che invece è un processo di relazione tra uguali, di una
parte della società italiana. Una regressione nella trasformazione dei
processi di elaborazione collettiva dei contenuti politici che finiscono
oltretutto per svanire verso la riproposizione, in forma logisticamente
complessa, di una elementare antropologia religiosa dove è netta la
separazione tra chi ha potere e contenuti e chi “partecipa”. Dove
svanisce ogni reale contenuto politico, che è oggi è l’Europa non la
chiacchiera sulla politica nazionale, per lasciare il posto ad un fluire
continuo di commenti di piccoli, inutili fatti banali attorno alle
primarie. In un sistema definito di controllo dei contenuti immessi
dall’alto verso il basso entro una complessa logistica della percezione.
Logistica che permette l’uso dei social network in modo opposto
rispetto alla concezione del primato dei contenuti prodotti dagli utenti
e all’attivazione di forme complesse di intelligenza collettiva. Qui la
complessità della logistica lavora per negare l’intelligenza
collettiva.
Come si vede lo
spettacolare integrato di Debord ha subito una evoluzione e una
differenziazione di modello (sulla differenza tra primarie americane,
francesi, italiane ed inglesi è davvero tema a parte). In un paese,
l’Italia che, come scriveva Debord è a “scarsa tradizione democratica”.
Il trasferimento di potere, nelle primarie del centrosinistra, dagli
elettori agli eletti si configura quindi come un trasferimento di potere
non democratico. Operato con le forme spettacolari della democrazia.
Gli italiani sono avvertiti: il modo con il quale si governa un partito è
lo stesso con il quale, quando si va al potere, si governa un paese.
Nonostante la realtà aumentata, sono sempre di meno. Il cupio dissolvi del popolo di sinistra.
La
letteratura americana sulle primarie, che si dispone su quattro decenni
di case studies, ci insegna che si tratta più di fenomeni di
radicalizzazione di una parte del proprio elettorato che di vera e
propria costruzione di un consenso largo. Quello avviene, semmai,
successivamente in fase elettorale. In questo senso i dati definitivi sull’affluenza alle primarie sono impietosi.
Nonostante la più grossa campagna di mobilitazione al voto su più
piattaforme (dalle piazze, ai social network, ai giornali, alla tv pay e
generalista) anche queste primarie confermano un dato oggettivo di
declino dell’affluenza per questo tipo di elezioni. Su dati ufficiali,
queste primarie di coalizione hanno raggiunto lo stesso numero di partecipanti di quelle, con il solo Pd, del 2009 (3.100.000).
E’ evidente che nello stesso Pd, pur al centro di tutte le dinamiche
spettacolari, c’è stato un calo di affluenza. E le primarie del 2009
rappresentavano il punto più basso di affluenza, in questo genere di
elezione, raggiunto da quel partito. Rispetto alle ultime
primarie di coalizione, quelle del 2005, il calo è spettacolare. Una
perdita di più di un quarto dei votanti, circa un milione e duecentomila
voti di meno, quando nel 2005 il dispositivo di propaganda per questo
genere di elezioni non era sofisticato come oggi. Una perdita
ma con anche anche una infiltrazione di elettorato di centrodestra, come
da numerose testimonianze, come mai era accaduto nelle precedenti
primarie. Eppure non è mancato l’effetto Orwell con i media che, durante
la giornata elettorale, hanno parlato continuamente di boom votanti,
riprendendo le indicazioni degli spin-doctor dei candidati, cercando di
creare un’ onda che trascina verso il voto. Le file, frutto di una
organizzazione approssimativa sul terreno (a logistica sofisticata
corrisponde qui organizzazione deficitaria sul territorio) hanno fatto
quindi parte della scenografia non della realtà. Vedremo quale effetto
farà la scenografia sull’elettorato al momento delle elezioni politiche.
Del resto siamo di fronte ad uno spettacolo politico che, come
negli Usa, gonfia i palinsesti e attrae audience e quindi pubblicità. Le
primarie si mostrano così, sul piano della mobilitazione reale, un
istituto già usurato, nell’intenzione originaria di raccogliere
consensi allargati, nel momento in cui sembra raggiungere il suo acme
spettacolare. Eppure, questione da non trascurare, i follower di ogni
genere sono stati valorizzati in maniera maggiore rispetto al passato.
I
numeri che ci danno una partecipazione sostanzialmente in calo
radicalizzano così l’esperienza di chi ha partecipato creando la
distanza con gli altri. Che può essere o non essere colmata nel momento
elettorale. Nel 2006, dopo le primarie boom del 2005, ad esempio il
centrosinistra sostanzialmente riuscì a far eleggere un governo debole
che durò poche decine di mesi. Dal punto di vista dei numeri siamo
quindi di fronte a modalità di mobilitazione politica minore nella
società degli user generated contents. Magari di una minoranza non
democratica, strategica per vincere le elezioni in una società
politicamente frammentata ma neanche da scambiare per una maggioranza. Dal
punto di vista dei risultati arrivano al ballotaggio due candidati di
destra. Entrambi assolutamente compatibili con procedure e dettati
politici Ue, Bce, Ecofin che hanno portato l’Italia in una contrazione
economica permanente che rischia di produrre disastri sociali
impensabili per questo paese. Che dalle primarie esca un pd
più bersaniano o renziano, onestamente, è solo un problema di
organigramma interno a quel (si fa per dire) partito.
Sugli
altri candidati che hanno avuto funzione decorativa merita spendere due
parole su Nichi Vendola. Che due anni fa era un possibile, candidato
vincente alle primarie del centrosinistra. Ed oggi è rimbalzato, dopo
una serie di errori e travisamenti, alla condizione del Bertinotti di 15
anni fa. Quello costretto a stare in una coalizione, erodendo il
proprio elettorato, maledicendo e votando leggi come la Treu sugli
interinali. E a differenza del Bertinotti del ‘97, Vendola oggi è senza
un partito strutturato, con la capacità di mobilitazione ormai
completamente subordinata alla copertura del suo personaggio nei talk
show. Come si capisce non solo dalla dismissione degli user generated
contents delle fabbriche di Nichi, fondamentali per l’ascesa del
personaggio, ma anche dalla spiegazione che Vendola dà del suo flop
elettorale. Ovvero quella di non essere stato coperto a sufficienza dai
grandi media. Nel complesso siamo di fronte al cupio dissolvi del
popolo di sinistra. Con questa espressione, a partire dagli anni ’80, si
è sempre indicato l’elettorato di sinistra in grado di fare massa ben
oltre l’adesione militante ai partiti progressisti. Questo genere di
tipologia di popolazione, comunque numericamente in regressione, è
invece oggi servito, come materia grezza per un processo di costruzione
autoritaria del consenso, in forma democratica, grazie a nuovi
dispositivi spettacolari, stranianti e cognitivamente regressivi.
Viste le politiche che ha in previsione il Pd una volta al potere, e che sono quasi sconosciute ai suoi follower,
non scherziamo affatto quindi quando diciamo che, chi vota le
primarie, consapevole o no, è socialmente pericoloso. Perchè
trasferisce potere, secondo un complesso dispositivo non democratico, ai
candidati di un partito che non ha prospettive di futuro. Bersani ha
parlato di primarie come di una festa. Bene, chi vuol fare politica deve
uscire dall’autoreferenzialità e, politicamente parlando, si deve
organizzare per fare la festa a questa gente. Disgregando una subcultura
di centrosinistra che è uno dei fattori chiave del grave declino,
dell’impoverimento materiale e cognitivo di questo paese.
Per Senza Soste nique la police
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