di Andrea Catone
Caratteri della rivoluzione cinese
Il
1° ottobre 1949 Mao Zedong proclama a Pechino la nascita della
Repubblica Popolare Cinese. È l’annuncio della prima grande vittoria
nella lunga lotta di emancipazione del popolo cinese, sorta dal “secolo
delle umiliazioni”, quando le potenze imperialiste lo avevano ridotto
allo status di paese semicoloniale.
La nascita della RPC
segna una svolta nella storia mondiale. Dopo la Rivoluzione francese
del 1789 e la Rivoluzione russa del 1917, la Rivoluzione cinese è la
terza grande rivoluzione della storia contemporanea.
La Rivoluzione cinese è importante
non solo perché si è svolta nel paese più popoloso del mondo, ma anche
perché, come la Rivoluzione vietnamita, è la rivoluzione dei popoli
oppressi dal colonialismo e dall’imperialismo, che apre la strada
all’emancipazione e al superamento dell’arretratezza e del divario con i
paesi capitalistici avanzati.
La nascita della RPC nel 1949 è il
culmine della grande intuizione di Lenin e della Terza Internazionale
(di cui celebriamo quest’anno il centenario) che, ampliando lo slogan di
Marx ed Engels nel Manifesto del 1848, unifica la lotta dei lavoratori del mondo capitalista con quella dei popoli oppressi e sfruttati dall’imperialismo: Proletari e popoli oppressi del mondo intero, unitevi!
Nella
lotta vittoriosa condotta dal PCC si fondono due rivoluzioni: quella
anticoloniale e antimperialista e quella socialista. Sono rivoluzioni
che, da un lato, hanno tempi e tappe distinte, ma che, dall’altro lato,
si intrecciano e sono intimamente connesse.
La rivoluzione cinese
anticoloniale e antimperialista di liberazione nazionale è stata
possibile in Cina solo grazie al fatto che è stata guidata dal Partito
Comunista, come esplicitamente affermato e ribadito in molti scritti di
Mao e dei principali leader cinesi. Le altre forze politiche e culturali
presenti in Cina non avevano la forza politica o l’apparato teorico
adeguato per analizzare correttamente la situazione e indicare la via
della salvezza della Cina dal secolo delle umiliazioni. Solo i comunisti
e il marxismo-leninismo sono in grado di indicare la via della
salvezza, della liberazione. Perché il marxismo-leninismo e il Partito
comunista hanno rappresentato il risultato più avanzato della cultura e
della politica di emancipazione dell’umanità a livello mondiale, perché
il marxismo, come ha chiarito Lenin in un famoso testo (Tre fonti e tre parti integrali del marxismo,
1913), è stato l’erede della cultura più avanzata - economica,
politica, filosofica - del tempo, sviluppatasi nei Paesi europei, dove
le forze produttive erano le più sviluppate. Possiamo dire con una
metafora che la RPC, nata nel 1949, ha come madre la grande lotta eroica
del popolo cinese sfruttato e oppresso dalle “tre grandi montagne”
dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, e come
padre il marxismo internazionale e il comunismo, che, con la vittoriosa
rivoluzione russa, che rompe l’anello più debole della catena
imperialista, e la creazione della Terza Internazionale, si pongono come
il partito mondiale dell’emancipazione dei popoli.
La
rivoluzione cinese, che ha superato la sua prima tappa con la fondazione
della RPC, ha quindi, ancor più della rivoluzione russa del 1917, un
carattere sia nazionale che internazionalista: nazionale, perché libera
il popolo cinese dall’oppressione delle potenze coloniali e imperialiste
e crea una repubblica indipendente e sovrana; internazionalista, per il
ruolo fondamentale svolto in essa dal marxismo e dal comunismo. La
Repubblica Popolare Cinese è parte integrante del movimento operaio e
comunista internazionale. I leader cinesi lo hanno ribadito in diverse
occasioni. Uno dei testi più chiari e completi del rapporto tra la
rivoluzione cinese e il movimento comunista internazionale è certamente La nuova democrazia
(1940) di Mao Zedong. In essa, il paragrafo IV è significativamente
intitolato “la rivoluzione cinese è parte della rivoluzione mondiale”:
Per
il suo carattere sociale, nella sua prima fase o primo passo, la
rivoluzione in una colonia o semicolonia resta fondamentalmente una
rivoluzione democratica borghese e oggettivamente il suo obiettivo è
quello di sgombrare il terreno per lo sviluppo del capitalismo; tuttavia
questa rivoluzione non è più una rivoluzione del vecchio tipo, diretta
dalla borghesia e mirante all’edificazione di una società capitalista e
di uno Stato di dittatura borghese. Essa fa parte del nuovo tipo di
rivoluzione, diretta dal proletariato e mirante all’edificazione, nella
prima fase, di una società di nuova democrazia e di uno Stato di
dittatura congiunta delle varie classi rivoluzionarie. Perciò questa
rivoluzione ha il compito effettivo di aprire una strada ancora più
larga per lo sviluppo del socialismo. Nel corso del suo sviluppo, essa
può percorrere altre fasi minori, in relazione ai mutamenti nel campo
nemico e nelle file dei suoi alleati; ma il suo carattere fondamentale
resterà immutato. Questa rivoluzione attacca l’imperialismo nelle sue
radici, perciò non è tollerata, ma combattuta dall’imperialismo. Essa ha
invece l’approvazione e l’appoggio del socialismo ed è aiutata dallo
Stato socialista e dal proletariato socialista internazionale. Ecco
perché una tale rivoluzione non può non diventare parte della
rivoluzione mondiale socialista proletaria.
Il Preambolo
della Costituzione cinese afferma chiaramente che la Rivoluzione cinese e
la sua prima conquista fondamentale, la nascita della RPC, sono parte
integrante della rivoluzione socialista mondiale, del movimento operaio
internazionale e dei popoli che lottano contro l’imperialismo:
Le
conquiste della Cina nella rivoluzione e nella costruzione sono
inseparabili dal sostegno dei popoli del mondo. Il futuro della Cina è
strettamente legato a quello del mondo intero.
Si tratta di
un’affermazione molto importante, che non troviamo nemmeno nella
Costituzione sovietica. Per certi versi, anticipa l’obiettivo, iscritto
dal 19° Congresso (2017) nello statuto del PCC, di lottare per costruire
una comunità di futuro condiviso dell’umanità.
Dunque:
1)
grazie alla vittoria della rivoluzione cinese il movimento comunista
diventa di fatto e non solo in teoria un movimento mondiale;
2)
la vittoria della rivoluzione cinese suggella l’unità tra il
proletariato dei paesi capitalisti avanzati e le lotte di liberazione
dei popoli oppressi dall’imperialismo;
3) la vittoria della
Rivoluzione cinese indica ai popoli oppressi dall’imperialismo che è
possibile - ciascuno secondo le specifiche condizioni nazionali -
intraprendere la strada della liberazione nazionale e sociale;
4) la Rivoluzione cinese e la formazione della RPC sono parte integrante del movimento comunista internazionale.
Lo straordinario sviluppo della Cina
Oggi
la Cina è un paese straordinario nel mondo. Storicamente siamo di
fronte alla più grande trasformazione economica, sociale, culturale (per
oltre un miliardo e 300 milioni di persone, quasi 1/5 della popolazione
del pianeta) che si è verificata nella storia del mondo in un periodo
storicamente breve (la storia della “lunga durata” si misura in secoli e
non in anni o decenni). Non un numero limitato di persone, ma il paese
più popoloso del mondo è uscito dalla povertà e nel corso del suo
sviluppo riduce sempre più le sacche di povertà ancora presenti.
Questo
straordinario sviluppo - anche se è stato segnato da quelle
contraddizioni che il rapporto di Xi Jinping al XIX congresso del CPC ha
sottolineato - è stato tuttavia caratterizzato da minori contrasti di
classe, minori disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza,
rispetto allo sviluppo storico del capitalismo occidentale.
Inoltre
- e questo va sottolineato - contrariamente allo sviluppo del
capitalismo occidentale, che si è avvalso della conquista e dello
sfruttamento delle colonie e del dominio imperialista, che hanno
contribuito alla accumulazione primitiva del capitale (si veda il
capitolo 24 del I Libro del Capitale e i numerosi saggi di Samir Amin in
proposito) - è intervenuto in un sistema di relazioni internazionali
basato su quanto scritto nel preambolo della Costituzione della RPC:
La
Cina attua costantemente una politica estera indipendente e aderisce ai
cinque principi del rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità
territoriale, della non aggressione reciproca, della non interferenza
negli affari interni degli altri paesi, dell’uguaglianza e del vantaggio
reciproco e della coesistenza pacifica nello sviluppo delle relazioni
diplomatiche e degli scambi economici e culturali con gli altri paesi.
La Cina si oppone costantemente all’imperialismo, all’egemonismo e al
colonialismo, lavora per rafforzare l’unità con i popoli di altri paesi,
sostiene le nazioni oppresse e i paesi in via di sviluppo nella loro
giusta lotta per conquistare e preservare l’indipendenza nazionale e
sviluppare le loro economie nazionali, e si sforza di salvaguardare la
pace nel mondo e promuovere la causa del progresso umano.
Pertanto,
nonostante le contraddizioni interne che l’impetuoso processo di
riforma e apertura ha provocato, il modello di sviluppo cinese
rappresenta uno degli esempi più avanzati della storia universale del
mondo: dalla fondazione della RPC nell’ottobre 1949, di cui celebriamo
quest’anno il 70° anniversario, la ricchezza attuale della Cina è stata
costruita con il duro lavoro dei suoi lavoratori, non sulla pelle o con
lo sfruttamento di altri popoli.
Lo sviluppo che la Repubblica
Popolare Cinese ha realizzato nei 70 anni della sua esistenza è stato
ancora maggiore di quello del primo paese socialista del mondo, l’Unione
Sovietica, che, grazie alla sua rapida industrializzazione, è riuscita a
sconfiggere gli eserciti nazisti nella seconda guerra mondiale, ad
impedire agli Stati Uniti di avere il monopolio dell’arma atomica, a
mandare il primo uomo nello spazio.
Lo sviluppo non deve essere
inteso solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Ci può essere
anche crescita economica, ma essa rimane subordinata alle grandi
potenze se non si appropria delle tecnologie e delle scienze più
avanzate. Il modello di sviluppo cinese, aperto alle conquiste
universali della scienza e della tecnologia e che investe massicciamente
nell’istruzione e nella ricerca, è riuscito a stabilire una propria
base indipendente.
Questa straordinaria rivoluzione
economico-sociale, culturale e politica della RPC è ancora più
importante perché guidata dal più grande partito comunista del mondo,
perché fa parte della grande storia del socialismo e dell’emancipazione
dell’umanità dalle catene della miseria, dello sfruttamento,
dell’oppressione, e fa esplicito riferimento al pensiero e all’azione
dei fondatori del marxismo (lo scorso anno la Cina ha dedicato più di
ogni altro paese conferenze e celebrazioni per i 200 anni della nascita
di Marx).
Una periodizzazione del mondo post 1991
È
indubbio che il crollo dell’URSS e dei paesi socialisti dell’Europa
centro-orientale segni una svolta radicale nel movimento comunista
internazionale, non solo perché è accaduto, ma anche per il modo in cui è
accaduto. Nel 1871 il primo tentativo di “assalto al cielo” del
movimento operaio, la Comune di Parigi, fu stroncato dalla repressione
dell’esercito borghese. Migliaia di comunardi resistettero con le armi
in pugno, fino alla morte. Fu una sconfitta. Ma essa apriva la strada a
futuri “assalti al cielo” del proletariato organizzato, che aveva
studiato e appreso la lezione della Comune: la rivoluzione d’Ottobre nel
1917. Il crollo dell’URSS nel 1991 non ebbe queste caratteristiche,
l’URSS fu presa dall’interno e gli autentici comunisti non riuscirono ad
organizzare un’efficace resistenza di massa all’ondata
controrivoluzionaria.
Il crollo dell’URSS nel 1991, a meno di 20
anni dalla disfatta dell’imperialismo yankee in Vietnam (1975), rivela
anche la capacità dei maggiori paesi capitalistici guidati dagli USA di
rinnovarsi, portare avanti una nuova rivoluzione tecnologica, sviluppare
ancora le forze produttive e sapersi dotare di una strategia a tutto
campo che si è rivelata vincente nei confronti dell’URSS e nei paesi
dell’Europa centro-orientale, in cui possiamo vedere già alla fine degli
anni '80 i primi modelli di “rivoluzioni colorate”, caratterizzate da
una sapiente combinazione di soft e hard power (ad esempio la cosiddetta Velvet Revolution di Praga, 1989).
La
disfatta dell’URSS pose i vincitori della guerra fredda in una
posizione dominante non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche
ideologico-culturale. Gli ideologi borghesi potevano proclamare che
l’unico regime sociale e politico per tutta l’umanità era quello
capitalistico-borghese nella sua versione più dura e antioperaia, il
neoliberismo, e che con la fine dell’URSS finiva il comunismo, era la
“fine della storia”.
La disfatta del 1991 pose i partiti
comunisti e operai del mondo in una situazione di grandissima
difficoltà, sia dal punto di vista ideologico-culturale che
economico-politico. La propaganda borghese martellava sul “fallimento
del comunismo”, mentre le forze capitalistiche e imperialiste
scatenavano una offensiva pesantissima contro i lavoratori e le
conquiste economiche, sociali, politiche da essi ottenute in un secolo e
mezzo di lotte. Finita l’URSS, dopo il 1991 si può dispiegare
pienamente la globalizzazione imperialista portata avanti
dall’imperialismo USA, che proclama apertamente, nei documenti ufficiali
della Casa Bianca, l’unipolarismo. Essi programmano di impiegare
qualsiasi mezzo per evitare che, scomparsa la potenza sovietica,
qualsiasi altra potenza possa emergere e fare ombra al dominio assoluto
degli USA, che battezzano il secolo futuro come il “secolo americano”.
Tuttavia,
la storia non era alla fine e il comunismo non era stato spazzato via.
Continuavano ad esistere e svilupparsi alcuni paesi socialisti, diretti
da partiti comunisti: in primo luogo il più popoloso paese del mondo, la
RPC, in cui il PCC aveva saputo fronteggiare il pericoloso tentativo di
stravolgimento del suo assetto politico e sociale nel maggio 1989; e
poi Cuba, che aveva resistito a tentativi di esportare in essa
la “perestrojka”, la Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica
Popolare Democratica di Corea, la Repubblica Popolare Democratica del
Laos.
La resistenza di questi paesi all’ondata
controrivoluzionaria del 1989-91 è stata un importantissimo supporto
alla resistenza e riorganizzazione degli altri partiti operai comunisti
del mondo.
Possiamo schematicamente periodizzare (sapendo
che nella storia non vi sono quasi mai delle cesure nette, ma elementi
di una fase si ritrovano anche nell’altra) gli anni post 1991 in due
fasi:
La prima è caratterizzata dall’offensiva della
globalizzazione imperialista, dagli sforzi degli USA per affermare
l’unipolarismo con ogni mezzo, dispiegando un enorme apparato militare,
oltre che economico-finanziario, e ricorrendo alla guerra diretta contro
paesi sovrani colpevoli di non volersi piegare ai diktat
dell’Occidente: Iraq (1991; 2003); Serbia (1999); Afghanistan (2001);
Libia (2011), Siria (2011). Per il movimento operaio e comunista è la
fase della resistenza all’offensiva ideologica e politica
dell’imperialismo, e della riorganizzazione delle forze. Tutti i partiti
comunisti in lotta contro le rispettive borghesie del proprio paese
hanno subito il contraccolpo del crollo dell’URSS, ma ciò non è avvenuto
– e non poteva accadere – in modo uniforme, dipendendo dalle basi
ideologiche, politiche, organizzative dei diversi partiti, dalla loro
storia. In alcuni paesi il movimento comunista si è ripreso in tempi
brevi, in altri vive ancora situazioni di difficoltà.
I comunisti
hanno cercato di risollevare la bandiera rossa su cui i capitalisti
gettavano palate di fango; hanno cercato di riappropriarsi dell’orgoglio
di essere comunisti, portatori del più grande ideale di liberazione
dell’umanità. Hanno cercato anche di analizzare e studiare la nuova
situazione mondiale che si era creata con la caduta dell’URSS. Hanno
cercato di rilanciare un movimento sociale e politico di lotta e
opposizione all’imperialismo neoliberista, promuovendo e organizzando
movimenti contro la guerra e contro le politiche neoliberiste imposte
dai governi occidentali. Hanno dovuto fare ciò in condizioni sempre più
difficili, poiché la classe dominante conquistava una dopo l’altra le
roccaforti ideologiche e politiche dei comunisti, la campagna
anticomunista era sempre più forte (ricordiamo ad esempio il documento
votato dal parlamento della UE che equipara vergognosamente fascismo e
comunismo, Germania nazista e URSS come parimenti responsabili della II
guerra mondiale) e mirava all’annientamento definitivo di essi, senza
cessare di ricorrere alle vecchie tattiche di corrompere i capi del
movimento comunista, di lavorare per la loro divisione. Inoltre,
l’attacco ai lavoratori procedeva velocemente sul terreno
economico-sociale: le grandi imprese che radunavano migliaia di
lavoratori venivano smantellate, i lavoratori venivano divisi anche
fisicamente, sempre più sottoposti al ricatto del licenziamento. In
queste difficili condizioni oggettive i comunisti hanno dato vita a
conferenze annuali dei partiti comunisti e operai del mondo, che
giungono ora al loro ventesimo appuntamento.
Possiamo
periodizzare gli inizi della seconda fase, o meglio ancora di una “nuova
era” intorno al 2007-2009. Sono gli anni in cui scoppia la grande bolla
finanziaria americana dei mutui subprime, che gli USA scaricano su
tutti i paesi capitalistici e che si rovescia pesantemente sui paesi UE,
in cui le scelte di politica finanziaria ed economica dei paesi più
forti (in primis la Germania) producono effetti catastrofici sui paesi
meno forti (in primis la Grecia), col risultato di aprire all’interno
della UE, che fino ad allora era stata capace di esercitare una forte
attrazione sugli altri paesi, un periodo di crisi non solo economica, ma
anche politica e culturale, con una crescente divaricazione tra le
masse e i tradizionali gruppi dirigenti, che si è espressa nella grande
avanzata di forze populiste, prevalentemente di destra.
In quegli
stessi anni la RPC superava il Pil del Giappone e si collocava come
seconda economia mondiale dopo gli USA. Mentre le economie occidentali
dovevano fare i conti con la crisi, la RPC, utilizzando le leve della
politica economica e finanziaria disponibili grazie al suo sistema
economico-sociale, allargava ampiamente il suo mercato interno,
aumentava più volte il salario minimo, estendeva il welfare per sanità e
pensioni, e continuava a crescere a ritmi molto sostenuti. Era una
brillante dimostrazione della forza del socialismo con caratteristiche
cinesi.
Ma non solo. L’unipolarismo USA, nonostante le diverse
guerre scatenate contro i paesi riluttanti a piegarsi ai suoi diktat,
doveva riconoscere il proprio fallimento di fronte alla straordinaria
crescita della Cina, la formazione di nuovi poli, quali i BRICS,
l’accordo di Shanghai, la consistenza della Federazione russa sotto la
guida di Putin, che resiste ai tentativi di disgregazione da parte
dell’Occidente attraverso le diverse “rivoluzioni colorate” e la
minacciosa avanzata della NATO fino ai suoi confini. L’elezione di
Donald Trump e la sua politica protezionistica dell’America first e di
guerra commerciale contro la Cina (ma anche contro i paesi capitalistici
europei) rappresentano il riconoscimento della fallimentare politica
perseguita dagli USA dopo il 1991 di affermare il proprio primato assoluto
e, ad un tempo, il tentativo di rilanciare questo stesso primato
attraverso politiche diverse da quelle dei suoi predecessori. Ma,
diversamente dal precedente “sogno americano”, che si proponeva come
modello espansivo e di sviluppo all’intero mondo (ad esempio il piano
Marshall dopo la II guerra mondiale, o la “nuova frontiera” di J.F.
Kennedy negli anni '60), gli USA di Trump sono chiusi in se stessi, non
hanno una nuova frontiera da proporre al mondo, gli interessi degli USA
si contrappongono a quelli dell’intero pianeta, a cominciare dagli
accordi sul clima, che Trump straccia.
La proposta strategica della RPC nel mondo attuale
Al
contrario, la RPC, che in passato, concentrata sullo sviluppo interno
delle forze produttive, ha tenuto a livello internazionale un profilo
piuttosto basso (seguendo allora l’indicazione di Deng Xiaoping), si
propone oggi sulla scena mondiale come un soggetto, l’unico a ben
guardare, portatore di un grandioso progetto di sviluppo economico,
sociale, culturale win-win per l’intero pianeta, che si articola e
concretizza sempre più con la Belt and Road Initiative. Esso procede di
pari passo con una delle più importanti decisioni del XIX Congresso del
PCC nel 2017: l’iscrizione nello statuto del partito dell’attività volta
a costruire una comunità di futuro condiviso per tutta l’umanità.
Questo
tema è stato sviluppato più volte e in più occasioni - in particolare
dal 2013 - dal Presidente Xi Jinping e in numerosi articoli e saggi di
studiosi cinesi su molte riviste. La proposta di una Comunità di destino
condiviso ha un ampio spettro, è una strategia di trasformazione del
mondo nel suo complesso che guarda al mondo intero nei suoi molteplici
aspetti, anche culturali e spirituali. È una bussola che può orientare
l’azione dei partiti comunisti, del movimento operaio, delle forze
socialiste e progressiste. È il fronte unito dei popoli del mondo per
rovesciare l’oppressione, lo sfruttamento, la fame, la miseria e
l’arretratezza.
La Belt and Road Initiative non è solo una
proposta concreta per i paesi di Asia, Europa, Africa, America Latina;
è anche una metafora dell’idea della nuova globalizzazione che Xi ha
esposto in molti discorsi critici contro la politica protezionista. Xi
propone una “nuova globalizzazione”. Non è solo un progetto economico ma
anche culturale di universalismo concreto nel riconoscimento della
diversità e nella proposta di agire per la costruzione di una comunità
di futuro condiviso per l’umanità. È la visione strategica del futuro
del mondo intero come mondo sempre più interconnesso, che richiede un
nuovo tipo di globalizzazione, completamente diversa da quella, in atto
dal 1991, guidata dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali.
In
definitiva, possiamo dire che oggi nel mondo ci sono due concezioni
opposte sul futuro, e di conseguenza due politiche opposte: la nuova
globalizzazione proposta dalla Cina e un nazionalismo esclusivista, che è
una vera e propria regressione per l’umanità. Siamo ad un bivio. La
vecchia strada - che, nonostante il fumo della novità è anche quella
della “America first” di Trump - è chiusa, è in bancarotta. In questo
senso, il pensiero di Xi Jinping è l’opposto di quello di Trump di
“America first”: Xi pensa alla comunità del futuro condiviso
dell’umanità, non solo al destino della sua nazione. Il pensiero di Xi è
universalistico, non particolaristico.
Nella “nuova era”
incontriamo la nuova fase di sviluppo della Cina e la proposta ai popoli
del mondo, al movimento operaio e a tutte le forze autenticamente
democratiche e progressiste di una progressiva uscita in avanti (e non
reazionaria e regressiva) dalla crisi della globalizzazione
imperialista.
È dovere dei partiti comunisti e dei lavoratori del
mondo, delle forze autenticamente democratiche e progressiste,
raccogliere la sfida strategica che il pensiero di Xi Jinping propone.
La proposta cinese dell’Iniziativa Belt and Road e la costruzione di una
comunità di un futuro condiviso per l’umanità può contribuire
enormemente allo sviluppo del movimento comunista internazionale: essa
fornisce ad ogni partito comunista e operaio, così come alle forze
autenticamente progressiste, una prospettiva concreta di costruzione di
un fronte unito nella lotta per uno sviluppo sostenibile. Contribuisce a
far rivivere il grande ideale dell’internazionalismo comunista dandogli
una base concreta. È una proposta con grandi potenzialità e sviluppi
per l’intero movimento internazionale dei lavoratori.
Fonte
Mi aspettavo di meglio da questo articolo. Nonostante l'entusiasmo due sono le tare che troppo si riscontrano a sinistra quando si parla (positivamente) di Cina: l'eurocentrisimo e una narrazione ai limiti dell'agiografia.
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