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04/05/2023

[Contributo al dibattito] - Cronache marsigliesi 1/2, alcune luci e molte ombre


di Emilio Quadrelli

Dread Lock’s + Black Blocks (Anonimo)

Quanto sta andando in scena in Francia è sotto gli occhi di tutti. Ciò che, con questo breve testo, ci proponiamo è offrire una lettura degli eventi in corso attraverso la voce di chi vi è direttamente coinvolto. Lo facciamo focalizzando l’attenzione su Marsiglia la quale, secondo quanto argomentato nelle interviste, può essere una valida cartina tornasole di quanto si sta consumando nel resto del paese. I nostri interlocutori sono stati una ragazza del Collectif Boxe Marseilles, M. L., un uomo del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille e una ragazza, S. D., del Collectif Boxe Marseilles ma attiva, soprattutto, nel lavoro territoriale dei “quartieri Nord”. Partiamo con C. A., del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille.

Come puoi ben immaginare in Italia vi è un grosso interesse per quanto, e non da ora, sta accadendo in Francia. In presa diretta vorremmo ascoltare il punto di vista di chi queste lotte le sta vivendo in prima persona. Vai pure a ruota libera e, nel caso, ti interrompo per puntualizzare passaggi che magari a un pubblico italiano non sono né ovvi, né scontati.

Va bene. Intanto faccio una premessa, parlerò soprattutto di Marsiglia perché ritengo che questa città incarni appieno la storia del futuro prossimo. A differenza di altri, che considerano Marsiglia il punto arretrato del ciclo capitalista noi la consideriamo il punto più avanzato, un vero e proprio laboratorio economico e sociale di ciò che ha in mente il comando capitalistico.

Ti interrompo subito per porti una domanda che, in Italia, in molti si pongono, perché Macron si è lanciato in ciò che, a quanto pare, è un azzardo non proprio da poco?

Questa è una buona domanda perché mi permette di entrare direttamente nelle questioni e prendere il toro per le corna. Prima devo però fare una premessa al fine di non creare malintesi. Questa lotta è senza alcun dubbio una lotta strategica perché se Macron vince le ricadute saranno pesantissime su tutta la classe operaia e il proletariato francese ma, a mio avviso, una sconfitta in Francia sarebbe anche un colpo durissimo per tutto il proletariato europeo. La Francia, di fatto, incarna il punto più alto di lotta e conflittualità sociale, in termini di resistenza ma non di offesa e su questo poi ci torniamo, per cui sfondare in Francia significa avere mano libera in tutto il Continente. Quindi nessun tentennamento nello stare dentro queste lotte e ad assumerne il livello strategico. Detto ciò, e qua veniamo al presunto azzardo di Macron, alcune cose importanti vanno dette. Ciò che va osservato è che a entrare pesantemente in lotta è stata la classe operaia del settore pubblico oltre alle università e parte delle scuole superiori mentre il settore privato, i precari, i disoccupati e gli studenti dei professionali sono stati coinvolti solo marginalmente e questo vuol dire che l’azzardo di Macron sicuramente c’è ma non è proprio un salto nel buio in quanto mira a colpire un determinato segmento, dai numeri sicuramente importanti, di classe operaia ma non l’insieme del proletariato francese. Per una grossa fetta di classe operaia, proletariato e studenti francesi questa lotta non significa molto perché le loro condizioni sono decisamente diverse da quelle degli operai scesi in lotta. Non per caso ho sottolineato che si tratta di una lotta di resistenza e non di una lotta offensiva. L’attacco di Macron è un attacco a quella rigidità operaia che la classe operaia e i lavoratori del pubblico sono stati, almeno sino a ora, in grado di mantenere e difendere. Queste condizioni, però, se esci dal settore pubblico non le trovi lì, per capirsi, trovi una situazione molto più simile a quella italiana.

Ma qual è la sostanziale differenza tra la Francia e l’Italia?

La prima cosa, sicuramente, è il numero di classe operaia pubblica che è certamente imparagonabile a quella italiana. Lo stato francese ha mantenuto la sua presenza in tantissime attività considerate strategiche e qua l’organizzazione operaia era ed è molto forte per cui ogni attacco a una qualunque forma della rigidità operaia scatena reazioni di massa come si sta vedendo. In più, altro aspetto molto diverso dall’Italia, in Francia i sindacati non sono mai stati inglobati nelle strutture di potere e di comando. In Italia la differenza tra le grosse centrali sindacali, i padroni e i governi non c’è. In Francia la cosa è molto diversa. In passato, ma si tratta di un’epoca ormai remota, la CGT era un sindacato riformista e spesso controrivoluzionario in quanto cinghia di trasmissione del PCF ma, da quando il PCF è imploso, la CGT è diventata un contenitore dove dentro si può trovare un po’ di tutto anche se, questo bisogna dirlo, le redini centrali sono saldamente in mano a dei bonzi del tutto compatibili e interni alle logiche del nazionalismo francese però, nel momento in cui il vecchio mondo di sinistra è imploso, la CGT ha perso buona parte dei suoi quadri e, soprattutto, ha avuto un vuoto tra i suoi quadri intermedi. Questo ha permesso a molti di entrare, soprattutto nelle sue ramificazioni periferiche, nella CGT portando avanti pratiche e discorsi che sarebbero stati impensabili in altri tempi ma tutto questo è vero perché c’è una classe operaia strutturata che non è per nulla piegabile alle logiche della destrutturazione e deregolamentazione che Macron cerca di imporre nel settore pubblico. La questione delle pensioni è solo un aspetto. Se Macron passa su questo, in tempi assai rapidi, tutta la forza del vecchio mondo operaio crollerà ma non solo. Se Macron passa qua le ricadute saranno pesanti anche per chi è già fuori dalle garanzie di questa classe operaia perché la condizione di precarietà conoscerà un ulteriore aggravamento.

Mi sembra di capire, da quello che dicevi, che al momento una grossa fetta di classe operaia e proletariato non è entrata direttamente in gioco. Hai parlato del settore privato dei precari, dei disoccupati, degli studenti dei professionali. Sulla base di ciò vorrei porti due domande. Come si è prodotta questa differenziazione così forte tra i due mondi operai e proletari? Cosa può succedere nelle prossime settimane? Anche questi altri settori di classe entreranno in lotta e in che modo?

Intanto non è una cosa che nasce ieri. Sono almeno una trentina di anni che abbiamo una situazione simile. Se pensi alla rivolta delle banlieue del 2005 la cosa diventa molto più chiara. Lì a entrare in lotta è stata una composizione di classe del tutto diversa, precaria, disoccupata e razzializzata. Lì, non per caso, la lotta ha assunto contorni decisamente più radicali perché in ballo non c’era questo o quello aspetto del comando capitalista, insomma la deriva riformista non era possibile, ma proprio un sistema di potere razzista e fondato sulla marginalità e l’esclusione politica e sociale di queste masse operaie e proletarie. Quelle lotte, da subito, si sono dovute misurare con lo stato e la sua macchina militare e poliziesca. In Francia, come in tutta Europa, vi sono due classi operaie e due proletariati per voi, in Italia, non dovrebbe essere difficile capirlo visto che siete stati proprio voi, i primi, a parlare di garantiti e non garantiti. Il problema è capire come e se, oggi, sia possibile dentro questa lotta trovare delle convergenze tra questi due poli. La cosa non è semplice e qua a Marsiglia ne abbiamo una riprova evidente.

Ecco, volevo tornare proprio su Marsiglia. La struttura economica e sociale di Marsiglia che cosa rappresenta? Alla scala del modello capitalistico francese ne incarna una tendenza o ne rappresenta una realtà del tutto marginale?

Marsiglia, secondo noi, incarna la storia del presente e del futuro. Marsiglia è una città di precari e disoccupati contornata da tutta una serie di città satelliti operaie, del settore privato, dove la condizione operaia è del tutto simile a quella dei marsigliesi. I settori operai e proletarie pubblici ci sono, ma sono una minoranza. Per questo riteniamo che Marsiglia sia un laboratorio avanzato del modello capitalista presente. Le condizioni di vita del proletariato marsigliese sono lo specchio del modello che Macron, e tutte le filiere del comando che rappresenta, intende generalizzare.

Sulla scia di quanto ascoltato proviamo a approfondire alcuni aspetti con M.L., una pugile, ma che svolge anche una certa attività politica, del Collectif Boxe.

Qual è la risposta, dentro la “sala boxe”, a quanto sta andando in scena in questi giorni in Francia?

Una risposta abbastanza tiepida. È una lotta che tocca ben pochi di loro che vivono condizioni di lavoro e di vita sociale del tutto diversi.

Quindi non c’è stata partecipazione allo sciopero?

Chi lavora nel settore privato non ha scioperato e la stessa cosa vale per la stragrande maggioranza dei precari. I disoccupati sono scesi in piazza ma senza troppo entusiasmo. Tutto questo è facile da capire: questa lotta loro non li tocca. Perché vi sia un salto occorrerà vedere se vi sarà la capacità di radicalizzare questa lotta su un terreno che coinvolga questi settori di classe.

Così ci siamo lasciati domenica 26 marzo, in attesa delle mobilitazioni del 28. Come si è visto non poche ombre si stagliavano sulla solarità che, in particolare nel nostro paese, sembrava aleggiare sulla lotta dei francesi. Nel frattempo vi sono stati gli eventi di Sainte–Soline dove un manifestante, tra l’altro cugino di un militante del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille, versa in fin di vita. Il 28 poteva essere un banco di prova per molte cose. Di questo abbiamo parlato con una ragazza algerina, attiva soprattutto nel Collectif Boxe e nel Coordinamento dei collettivi dei quartieri Nord. Un punto di vista estremamente interessante perché, in virtù della sua esperienza diretta, fornisce una versione della mobilitazione molto meno entusiasta di quanto è stata descritta in Italia.

Hai sentito le cose dette sino a ora, perciò andiamo subito al dunque. Come sono andate le cose il 28?

Diciamolo chiaramente, non troppo bene o meglio si è confermato quanto espresso in precedenza. Da parte nostra, mi riferisco alle reti che abbiamo costruito, possiamo anche dire di aver fatto un piccolo passo in avanti perché siamo riusciti a mobilitare più persone delle scorse volte ma, e questo dice tanto, meno di quante siano scese in piazza con noi l’8 marzo. La gran parte del proletariato precario e disoccupato, che a Marsiglia è la maggioranza, non si è mosso e se lo ha fatto lo ha fatto con poco entusiasmo. Inutile girarci intorno: se i contorni di questa lotta rimarranno questi, molti settori operai e proletari ne rimangono fuori perché sono obiettivi del tutto estranei alla loro condizione. Questa è una lotta dei garantiti, oggettivamente di retroguardia. O si trova il modo, concreto e materiale, di legare questa lotta a quella degli altri settori operai e proletari, al momento il comparto privato non si è mosso, oppure questa lotta non potrà che perdere. Del resto lo Stato, in termini repressivi, ci sta andando piuttosto cauto perché presuppone che, rimanendo questa la cornice del conflitto, non si andrà chiaramente oltre una certa soglia. In Italia, come mi è stato possibile vedere sui social, vi siete molto entusiasmati per l’attacco al Municipio di Bordeaux, non avete notato però che quell’assalto è stato condotto da un gruppo di destra. Ciò che dovete capire è che, mediamente, i livelli di violenza poliziesca quotidiana in Francia sono molto più elevati di ciò che si sta vedendo in piazza. Il livello di violenza, da parte della polizia, a cui è abituato il proletariato di banlieue non è paragonabile a ciò che si è visto nelle piazze così come i livelli di scontro posti in atto nel corso delle mobilitazioni alle quali hanno aderito i banlieuesards sono stati esponenzialmente incommensurabili. In poche parole, oggi, la banlieue è alla finestra, la sua entrata in campo dipende da molte cose ma perché possa esserci una reale unità di lotta occorre che gli obiettivi vadano ben oltre i perimetri dei lavoratori garantiti, altrimenti è difficile pensare che qualcuno scenda in piazza per le pensioni quando lui, di fatto, in pensione non ci andrà mai. Capisco che per voi quello che vedete nelle piazze francesi oggi può sembrare chissà che cosa, ma il problema, semmai, è la vostra arretratezza non il livello avanzato della Francia. In molti, e questo succede anche in Francia tra alcuni gruppi di estrema sinistra, si fanno prendere dall’estetica dello scontro ma, appunto, si tratta semplicemente di estetica.

Quindi, per capirsi, secondo te occorre spostare l’attenzione su altre cose. Per esempio?

Sicuramente il salario massimo garantito, quindi l’abolizione di ogni forma di lavoro precario e la lotta al potere poliziesco e al suo razzismo. Sappiamo che tutto questo non sarà il frutto di una spallata ma di una lotta lunga e difficile. Ciò che dobbiamo iniziare a porre in atto sono forme di potere operaio e proletario in grado di contrastare il potere dello Stato. Questi sono i presupposti per tirare dentro la lotta tutti quei settori di classe che osservano quanto sta accadendo come qualcosa che riguarda sostanzialmente i bianchi.

Cioè?

La frattura coloniale è tutta dentro l’organizzazione del lavoro. I non garantiti sono, per lo più, proletari e operai in pelle scura, donne, e qui entra prepotentemente in ballo il patriarcato come elemento fondante del modello capitalista, ai quali ovviamente si aggiunge anche una quota, e si aggiunge sempre di più, di proletariato bianco in via di declassamento.

Quindi, ciò che vedi, è una frattura piuttosto corposa tra due condizioni proletarie che rimandano a condizioni sociali e materiali ben poco affini?

Sì, questa è la realtà con la quale ci dobbiamo misurare. In una città come Marsiglia questo lo si può vedere in maniera macroscopica.

Quanto ascoltato è in gran parte spiazzante poiché, per noi, la “battaglia di Francia” sembrava incarnare caratteristiche di ben altra portata. Ciò che, invece, sembra emergere è una lotta, per quanto sacrosanta, di “resistenza”, portata avanti da settori operai e proletari che cercano di “conservare” il mondo di ieri ma che ben poco sembrano avere a che fare con la nuova composizione di classe la quale, per forza di cose, è del tutto estranea al mondo dei garantiti. Sotto questo aspetto il “silenzio della banlieue” è a dir poco significativo così come non proprio irrilevante è la frattura manifestatasi anche in campo studentesco visto che, anche in questo caso, gli “studenti di banlieue” sembrano stare alla finestra. Difficile fare previsioni sul futuro prossimo della “battaglia di Francia”, il 6 aprile una nuova giornata di lotta inonderà la Francia e, con ogni probabilità, molti nodi inizieranno a venire al pettine. Ciò che, sin da ora, possiamo dire è che solo la decisa scesa in campo della nuova composizione di classe potrà declinare in offensiva una lotta di resistenza la quale, per sua natura, non può che andare incontro a una sconfitta magari edulcorata da qualche piccola concessione. Il progetto di Macron è chiaro: destrutturare e precarizzare le vite della maggior parte degli operai e dei proletari e su questo è disposto a giocarsi molto. Rimanendo sulla difensiva si può solo che perdere ma l’offensiva è nelle mani e nelle corde di chi oggi è alla finestra. La sua discesa in campo è il vero ago della bilancia perché lì ed esattamente lì risiedono le divisioni strategiche della classe.

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di Emilio Quadrelli

Il mondo coloniale è un mondo a scomparti. (F. Fanon, I dannati della terra)

Ci siamo lasciati i primi giorni di aprile evidenziando come, a proposito di quanto stava andando in scena in Francia, vi fosse sicuramente della luce ma anche molte ombre e come, proprio l’insieme di queste ombre, obbligassero a una serie di interrogativi. Interrogativi che, nelle mobilitazioni dal 6 aprile in poi, avrebbero dovuto trovare una qualche risposta. Dal 6 aprile a oggi vi sono stati due nuovi scioperi generali mentre, il 15 aprile, il presidente Macron non ha fatto alcun passo indietro, firmando la legge che, dall’autunno prossimo, vedrà i francesi andare in pensione con due anni di ritardo rispetto a ora. In un articolo precedente (“Cronache marsigliesi. Non è tutto oro ciò che brilla” – Carmillaonline, 3 aprile 2023) avevamo evidenziato come il movimento contro il prolungamento dell’età pensionabile fosse, a conti fatti, molto circoscritto e come, nei suoi confronti, gran parte della classe operaia e del proletariato francese si mostrasse a dir poco tiepida. A uno sguardo minimamente attento era evidente come a scendere in piazza fosse quella quota, in Francia assai corposa, di classe operaia e proletariato garantito occupato nel settore pubblico mentre gli operai del settore privato, i precari e i disoccupati osservassero tutto ciò rimanendo alla finestra. La stessa adesione studentesca vedeva una sostanziale spaccatura tra gli studenti del ceto medio, entrati massicciamente in lotta al fianco dei lavoratori, e gli studenti proletari i quali, con questa lotta, hanno ben poco interagito.

Anche in questo caso, come la volta precedente, i nostri interlocutori sono stati V. R., una ragazza del Collectif Boxe Marseilles, M. L., un uomo del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille e una ragazza, S. D., del Collectif Boxe Marseilles ma attiva, soprattutto, nel lavoro territoriale. A questi abbiamo aggiunto M. C, una donna precaria ex gilets jaunes, oggi attiva nel Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille con la quale ci è parso interessante porre a confronto il movimento odierno con quello dei gilets jaunes.

Iniziamo, pertanto, ascoltando V. R. operaia precaria delle pulizie e abitante nel quartiere Fèlix Pyat notoriamente conosciuto come uno dei quartieri più malfamati di Marsiglia. Ciò che ci sembrava importante capire era il tipo e il grado di coinvolgimento sia dei precari, sia degli abitanti del suo quartiere nelle mobilitazioni e se, dal 6 aprile in poi, vi fossero stati significative modifiche rispetto alle mobilitazioni precedenti.

Eravamo rimasti evidenziando quanto a dir poco tiepida fosse la partecipazione dei precari, dei disoccupati e in generale degli abitanti dei “quartieri malfamati” nei confronti della lotta sulle pensioni. Questo lo constatavamo prima del nuovo sciopero generale del 6 aprile al quale ha fatto seguito quello del 12. Macron, da parte sua, ha tirato dritto e ha firmato la legge che proroga di due anni l’accesso al pensionamento. Tutto ciò ha cambiato qualcosa tra di voi?

Come è facile constatare il movimento si è abbastanza ridotto. Qua a Marsiglia la cosa è stata quanto mai evidente. Questo è anche facilmente comprensibile se consideri il fatto che la città di Marsiglia ha circa 900.000 abitanti dei quali almeno 400.000 vivono nei quartieri segregati e quindi sono precari, disoccupati, illegali o, come spesso succede, tutte e tre le cose messe insieme. Io sono un’operaia precaria delle pulizie, mia madre precaria nella ristorazione, mio fratello è un po’ qua e un po’ là e mio padre, per fortuna, non lo vediamo da anni. Questa mia condizione non ha nulla di speciale ma riflette la condizione media dei nostri quartieri. I nostri problemi chiaramente sono altri, la polizia tanto per incominciare che con noi non simula lo scontro ma ci va giù pesante per qualunque cazzata. Il razzismo della polizia e delle istituzioni e la vita di merda che dobbiamo fare. Io vivo dentro questa realtà e con me la vivono almeno altri 400.000 marsigliesi ed è abbastanza chiaro che questa condizione ha ben poco a che fare con quella di chi è sceso in piazza o meglio il nesso c’è ma non è così facile farlo capire e soprattutto trovare delle convergenze in grado di unificare queste due condizioni proletarie.

Voi, come collettivi precari, di quartiere ma anche come collettivo boxe in questo periodo come vi siete mossi, che bilancio potete fare della vostra attività?

Noi siamo stati dentro a tutte le manifestazioni e agli scioperi organizzando dei nostri spezzoni ma, soprattutto, abbiamo continuato il nostro lavoro di organizzazione e di lotta sui posti di lavoro e nei quartieri. Nel terzo stiamo facendo molto bene soprattutto sul fronte delle occupazioni di case ma di questo è meglio che ne parli con un’altra compagna che dentro a questa cosa ci sta direttamente. Sicuramente possiamo rilevare una nostra crescita perché le lotte che stiamo mettendo in piedi hanno un seguito e quindi stiamo portando in piazza anche un certo numero di persone ma, questo bisogna dirlo, rispetto alla gran massa sono solo avanguardie anche se, questo mi sembra importante dirlo, non sono avanguardie politiche in senso generico ma avanguardie di lotta ossia compagne e compagni del tutto interni alle realtà operaie e proletarie. Questo ci permette di guardare all’immediato futuro con un po’ di ottimismo.

Quanto ascoltato offre già un quadro abbastanza preciso della realtà marsigliese. Sulla scia di ciò proseguiamo ascoltando S. D. proveniente anche lei dall’ambito del Collectif Boxe e attiva soprattutto nel lavoro di quartiere. Questo ci è sembrato particolarmente importante perché, proprio per le caratteristiche che la nuova composizione di classe riveste, l’ambito territoriale assume un aspetto spesso strategico. Questo almeno per tre buoni motivi. Per un verso l’obiettiva debolezza che le attuali condizioni di lavoro impongono dentro la produzione possono essere ribaltati sul territorio così che, a differenza del passato dove il “potere operaio” di fabbrica si espandeva sul territorio, l’organizzazione della forza operaia e proletaria sul territorio può riversarsi dentro i posti di lavoro; del resto, avendo a mente l’Italia, non si tratterebbe di un fenomeno poi così nuovo. Negli anni Settanta furono proprio le ronde e le squadre operaie a supportare dall’esterno le lotte operaie delle piccole fabbriche e aziende dove il controllo padronale e poliziesco inibiva ogni forma di organizzazione autonoma operaia. In seconda battuta, la lotta territoriale, consente di articolare una lotta sul salario indiretto che non è sicuramente meno importante della battaglia salariale sui posti di lavoro. Infine, e certamente non per ultimo, la lotta sul territorio consente di costruire spazi di contropotere effettivo e dare vita a “zone liberate” dove la gestione dello spazio pubblico sfugge al controllo statale. Molto sinteticamente abbiamo parlato di questo con la nostra pugile.

Voi, come precari e disoccupati, pur stando dentro al movimento che sta agitando la Francia avete svolto una attività parallela specificamente rivolta a quel settore di classe che non sembra particolarmente interessato alla lotta sulle pensioni. Potresti spiegarmi, molto sinteticamente, come avete maturato questa scelta e quali tipi di risposte avete ricevuto?

Abbiamo aperto un intervento all’interno del terzo, che è anche il mio quartiere, il quale è considerato uno dei quartieri più poveri d’Europa. È un quartiere prevalentemente arabo dove disoccupazione e illegalità sono ciò che Marsiglia offre ai suoi abitanti. Credo che sia persino inutile ricordare la violenza quotidiana che i suoi abitanti subiscono da parte della polizia, il razzismo che circonda questo quartiere insieme alla sua povertà. Chiaramente in questo quartiere una lotta come quella sulle pensioni non ha senso così come le modalità sostanzialmente pacifiche di questo movimento non hanno molto da dire agli abitanti del quartiere. Qui gli scontri con la polizia hanno ben altro tenore e non sono certo paragonabili a quelli che si sono visti nel corso degli scioperi generali. Insieme agli altri del collettivo di quartiere abbiamo individuato nel problema abitativo uno dei problemi essenziali delle persone che abitano qui. Su questo abbiamo deciso di muoverci. Chiaramente lo abbiamo fatto attraverso un lavoro di inchiesta, cioè non siamo arrivati dall’alto dicendo: “Occupiamo le casa” ma costruendo l’occupazione con le reti che abbiamo all’interno del quartiere. Abbiamo così individuato due stabili e li abbiamo occupati. Sarebbe interessante, e anche utile, raccontare la storia e le dinamiche di questa occupazione ma non è questo il luogo. Ciò che mi preme dire è come la gestione dell’occupazione sia stata ed è una vera e propria “scuola politica” per il quartiere. La sua gestione e la sua difesa è interamente in mano agli abitanti e molti di loro sono già, a tutti gli effetti, delle avanguardie di lotta. Questa prassi consente di costruire quadri e organizzazione. Vorrei aggiungere ancora una cosa che mi sembra veramente importante: il rapporto con le varie gang di zona. Anche qui si apre un capitolo che andrebbe affrontato in altro modo ma, anche se in poche battute, mi preme dire che proprio grazie al lavoro che stiamo facendo siamo riusciti a instaurare un buon rapporto con queste. Queste sono realtà che non si possono ignorare perché migliaia di ragazzi vi sono dentro e si tratta di gente nostra che non può e non deve essere abbandonata al suo destino. Dobbiamo, e lo stiamo facendo, lavorare con il proletariato a partire dalle sue forme concrete e le gang, piaccia o meno, ne sono una sua forma.

Questo, molto sinteticamente, l’aria che si respira tra le fila di quel proletariato che, sino a ora, è rimasto sostanzialmente alla finestra. Sulla scia di ciò passiamo a ascoltare M. C. focalizzando l’attenzione, in particolare, sull’esperienza dei gilet jaunes ponendole a confronto con quanto sta andando in scena in questi giorni.

Per prima cosa, anche se in maniera estremamente stringata, vorrei chiederti cosa ti ha portato dai gilet jaunes al movimento dei precari e dei disoccupati.

L’esperienza con i gilet jaunes è stata molto utile e importante ma aveva un limite la sua incapacità di costruire organizzazione e programma politico tra gli operai e i proletari. In poche parole non aveva, e per sua natura neppure poteva averla, una linea di classe. Questo è abbastanza normale in movimenti che mettono insieme diversi settori e strati sociali e, almeno all’inizio, questo ci sta. Nelle situazioni di crisi entrano in gioco tutti quelli che della crisi sono vittime per cui la genericità del movimento è più che comprensibile, ma se questa genericità si perpetua allora diventa un limite enorme. Questo è ciò che è accaduto con i gilet jaunes. Bisogna rilevare, infatti, che non si è stati in grado di bloccare la produzione, di organizzare uno sciopero generale nonostante, nel movimento la presenza di operai, precari e disoccupati fosse notevole. È indicativo il fatto che le nostre manifestazioni si tenessero il sabato e non avessimo mai neppure pensato di bloccare la Francia in un qualche altro giorno. Inevitabilmente quel movimento, privo di una chiara linea di classe, si è spento. Personalmente avevo iniziato a distaccarmene, nel senso che non avevo più un ruolo attivo e militante, già prima che il movimento si esaurisse e mi sono indirizzata verso l’attività del Collectif Chomeurs Precaires che qua a Marsiglia iniziava a muovere i suoi primi passi. Ho fatto questo perché, come ti ho detto, ciò che ho riscontrato dentro l’esperienza dei gilet jaunes è stata proprio l’assenza di un programma operaio e proletario ma vorrei anche precisare meglio quanto detto proprio perché il collegamento tra l’esperienza dei gilet jaunes e l’approdo al Collectif ha una sua continuità. Come ti ho detto dentro i gilet jaunes vi era una componente proletaria rilevante ma di quale proletariato stiamo parlando? La componente proletaria presente tra i gilet jaunes era proprio quel proletariato precario, disoccupato e quella classe operaia impiegata nel settore privato, cioè la nuova composizione di classe la quale vive una condizione di marginalizzazione ed esclusione politica e sociale. Una condizione che, tra l’altro, mi appartiene. Questo il motivo per cui, dopo l’esperienza dei gilet jaunes, mi sono collocata in una realtà formata essenzialmente da precari e disoccupati. Una condizione che, qui a Marsiglia, è quella ormai maggioritaria.

Sulla base della tua esperienza ci sono, e nel caso di che tipo, delle differenze tra il movimento che sta scuotendo la Francia in questi giorni e i gilet jaunes?

Sicuramente sì, le differenze ci sono e non di poco conto. Per prima cosa la composizione di classe. Il movimento sulle pensioni è essenzialmente un movimento legato al lavoro subordinato pubblico le cui condizioni sono del tutto diverse da quelle degli altri operai e proletari. Per capirsi ormai c’è una grossa fetta di proletariato per il quale la pensione è solo un miraggio per cui è ovvio che nei confronti di questa lotta è abbastanza tiepido. Nella loro confusione i gilet jaunes esprimevano una loro radicalità, generica, indistinta, tanto è vero che dentro c’era un po’ di tutto, anche molta frustrazione propria delle classi sociali che più che in via di proletarizzazione sono in via di pauperizzazione anche se, questa è una cosa che in molti non notano, oggi proletarizzazione e pauperizzazione tendono a essere la stessa cosa, insomma per quanto caotico e senza alcuna prospettiva, era un movimento carico di una notevole radicalità. Tutto ciò, nel movimento attuale, non c’è. Basta vedere le dinamiche di piazza e i comportamenti della polizia.

Cioè?

Se guardi a quello che succedeva nel corso dei sabati dei gilet jaunes e a ciò che accade nelle manifestazioni attuali, la cosa è evidente. Il livello di scontro è imparagonabile e teniamo presente, perché è fondamentale, che in quel caso la pratica della violenza aveva veramente una dimensione di massa con anche forme di auto organizzazione non proprio trascurabili. Nel movimento di oggi questo non c’è e i rari episodi di scontri e attacchi, continuamente sovra esposti dai media, sono soprattutto il frutto di alcuni gruppi con l’estetica del conflitto che battaglie di strada vere e proprie. Dei gilet jaunes si può dire tutto, e io non credo di essermi sottratta a una critica anche piuttosto dura nei loro confronti, ma non che avessero l’estetica o la simbologia del conflitto. Nei sabati dei gilet jaunes la battaglia di strada c’è stata a tutti gli effetti. Il comportamento della polizia mi sembra abbastanza eloquente. Oggi la polizia, nei confronti di questo movimento, si muove con il freno a mano tirato sapendo benissimo che, in fondo, siamo di fronte a delle scaramucce e nulla di più. Al proposito basta confrontare il modus operandi della polizia a Sainte – Soline a quello che si è visto nelle piazze recenti. Il livello di scontro è decisamente basso e la polizia, o meglio il governo, si guarda bene dall’innalzarlo. A Sainte – Soline la polizia ha operato dentro uno scenario di guerra perché di fronte aveva un movimento con determinate caratteristiche non certamente prono a una qualche forma di mediazione cosa che, invece, mi sembra si possa tranquillamente dire della stragrande maggioranza dell’attuale movimento sulle pensioni.

Quindi, secondo te, questo movimento non è in grado di radicalizzare lo scontro e non ne ha neppure l’intenzione poiché, alla fine, immagina di poter giungere a una qualche forma di accordo?

La cosa non è così scontata perché la situazione è in movimento e tante tensioni sono nell’aria. Certo è che se a dominare la scena sarà la composizione di classe che ha condotto la lotta sino a questo momento le prospettive non sono delle migliori basta pensare che il massimo che c’è stato dopo la firma di Macron sono state le battiture delle pentole ma, come ti ho appena detto, la partita è tutt’altro che chiusa perché la possibilità che nell’immediato futuro a scendere in campo siano anche gli altri settori operai e proletari non è così impensabile. Mi auguro che non sia solo una mia speranza.

Giunti a questo punto chiudiamo la seconda puntata delle nostre “Cronache marsigliesi” ascoltando M. L. al quale abbiamo chiesto un approccio maggiormente politico e analitico.

Ciao, la prima cosa che vorrei domandarti è una valutazione complessiva su quanto sta accadendo in Francia e, ovviamente, con un occhio particolare sulla realtà marsigliese. Hai avuto modo di sentire quanto raccontato nelle precedenti interviste per cui ti chiederei, per capirsi, di essere più astratto che concreto.

Intanto cominciamo con il dire che tanto la giornata del 6 quanto quella del 12 hanno visto un certo riflusso. Inutile nasconderlo i numeri sono calati. Il Congresso della CGT ha visto l’affermazione della sua ala più destra che, nell’immediato, ha comportato l’epurazione di tutte quelle situazioni dove militanti di estrema sinistra avevano raggiunto un qualche ruolo organizzativo. La CGT ha asfaltato la sinistra e tutti quegli spazi che per un certo periodo si erano aperti al suo interno si sono chiusi. Vedo che in Italia in molti guardano alla CGT, bé dalla Francia posso dire che è un abbaglio clamoroso e lo dice uno che, comunque, non si è fatto problemi a interagire con questa organizzazione. Qua a Marsiglia, dove per la sua composizione sociale, questa lotta è di fatto una lotta di minoranza, l’entusiasmo è stato notevolmente ridotto. Gli altri settori di classe non sono entrati in gioco e quindi, tutto quello che quel movimento poteva dare lo ha dato. La natura sociale di questo movimento è riformista poiché si tratta di quella composizione di classe che ha il “patto socialdemocratico” nel suo DNA. Quindi, il suo orizzonte, è sempre stato tutto interno al sistema capitalistico il che non significa che questo settore di classe non abbia fatto, almeno in passato, lotte di notevole spessore e radicalità. Sicuramente il “patto socialdemocratico” è stato anche nelle corde della borghesia che su quello ha costruito interi decenni di dominio ma occorre anche ricordare che i termini di questo “patto” sono sempre stati oggetto di una lotta serrata perché la borghesia mirava a costruire un patto al ribasso, concedendo il minimo, mentre gli operai miravano al massimo. Le condizioni di vita di questo proletariato garantito sono state il frutto di lotte e battaglie e, usando un termine che a voi italiani piace molto, una forma non proprio irrilevante di esercizio di potere operaio. Tutto ciò, ovviamente, appartiene alla storia di ieri perché il modello capitalistico attuale non prevede alcuna possibilità di “patto”. L’attacco di Macron mira esattamente a questo, destrutturare del tutto le posizioni di forza di ciò che, in qualche modo, possiamo definire come "aristocrazia operaia". Si tratta di un progetto non solo francese tanto che, qualcosa di simile, lo stiamo osservando anche in Inghilterra e Germania. Anche in quei paesi tutto ciò che rimanda a forme di rigidità operaia, posizioni di forza, esercizio di potere sui posti di lavoro è sotto attacco. A fronte di ciò mi sembra che si possa parlare di offensiva unitaria del comando capitalista contro le vecchie fortezze operaie. Questo movimento, se rimane all’interno delle coordinate attuali, non può che essere sconfitto poiché non si rende conto che i padroni hanno completamente cambiato le regole di gioco.

Quindi consideri questa battaglia inesorabilmente persa?

Non sarei così drastico o meglio credo che questa situazione sia in movimento e alcuni inizi di rottura all’interno di questo fronte iniziano a manifestarsi. Per dire, qui a Marsiglia, l’occupazione spontanea della stazione ferroviaria e il blocco dei treni è stata opera dei ferrovieri, cioè di quella composizione di classe che è scesa in piazza dietro alla CGT. Dobbiamo tenere presente che Macron vuole spazzare via e destrutturare le condizioni di vita di questo proletariato e che non vi sarà mediazione possibile. Qualcuno lo sta capendo, bisogna vedere se il fenomeno sarà limitato o assumerà connotati di massa.

Secondo te, questo movimento potrebbe cambiare pelle?

Cambiare proprio pelle non credo perché è difficile pensare che un settore sociale abituato a vivere in un certo modo, diciamo da ceto medio, possa approdare a modalità di lotta e di scontro di un certo tipo ed è anche difficile che, in tempi brevi, metabolizzi il fatto che è la borghesia a imporre un determinato livello di scontro. Quello che può succedere è che inizino a esserci delle contaminazioni tra questo settore di classe e il resto del proletariato, in questo caso lo scenario inizierebbe a cambiare ma anche in questo caso dobbiamo andare cauti con i facili entusiasmi. Per essere chiari, capisco l’entusiasmo che in molti nutrono per la banlieue ma se tutto quel potenziale non trova una forma politica organizzata rischia di essere, come già sta accadendo, semplice materiale per la saggistica sociologica.

Ma voi, come precari, disoccupati, organismi di quartiere come vi state muovendo?

Intanto stiamo preparando, attraverso continue iniziative di lotta, il Primo Maggio che potrebbe essere già un primo banco di prova di tutto ciò che si sta muovendo. Per il resto lavoriamo alla costruzione di forme di organizzazione stabili perché lotta e organizzazione non possono che marciare unite. Le lotte senza organizzazione non vanno da nessuna parte, l’organizzazione senza le lotte è solo micro burocrazia.

Chiudiamo qui, in attesa del Primo Maggio, la seconda puntata delle “Cronache marsigliesi”. Sono molti i nodi che queste corrispondenze stanno portando al pettine per questo, dopo il Primo Maggio, cercheremo di ragionare, sulla base di quanto i “materiali empirici” ci hanno fornito, in termini decisamente più analitici per il momento auguriamoci solo che i “siberiani” non rimangano alla finestra.

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