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06/07/2015

Iran - Kerry: "Pronti ad abbandonare il tavolo se non c'è un buon accordo"

Riusciranno i negoziatori iraniani e quelli delle potenze del 5+1 (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu + Germania) a firmare il fatidico accordo entro domani? Pare proprio di no. Sfuma ogni giorno di più la possibilità di firmare un accordo costruito in due anni di colloqui tra i nemici giurati Washington e Teheran assistiti da Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina, Germania e supervisionati da Bruxelles. I punti spinosi sono ancora tutti lì: ispezioni, congelamento delle sanzioni, durata dell’accordo. E le parti, radicate sempre più sulle proprie posizioni, non sembrano intenzionate a cedere su nessuno dei punti.

Il segretario di Stato americano John Kerry ha manifestato ieri il malcontento dell’amministrazione Obama per lo stallo in corso, amministrazione che, pur spazientita, vuole a ogni costo incassare il suo unico successo in Medio Oriente: parlando con i giornalisti a Vienna ha dichiarato che c’è bisogno di operare “scelte difficili per siglare l’accordo”, e che gli Stati Uniti sono “pronti ad abbandonare le trattative se non si dovesse raggiungere un buon accordo”.

Per “buon accordo” Kerry intende le condizioni dettate da Washington e osteggiate da Teheran: ispezioni in tutti i siti del Paese (sia nucleari che militari); congelamento graduale delle sanzioni solo dopo il comprovato rispetto da parte della Repubblica islamica dei termini dell’accordo; un’intesa della durata di 10 anni, non meno come pretende Teheran, che vedrebbe così la propria energia nucleare bloccata per un decennio. Il ministro degli Esteri iraniano Mohamed Javad Zarif, se con una mano continua i proclami ottimistici sul fatto che “non si è mai stati così vicini a un accordo”, con l’altra denuncia il clima di “coercizione e pressione” che opprime il negoziato, come ha fatto sapere in un video messaggio diffuso qualche giorno fa.

A rincarare la dose, poi, ci ha pensato la guida suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Khamenei, che la settimana scorsa ha ribadito che l’Iran smantellerà le sue strutture nucleari solo dopo il sollevamento immediato delle sanzioni. Una posizione ben nota, che la diplomazia iraniana ha chiarito fin dall’inizio, ma che anima le paure più nere di chi – Arabia Saudita, Congresso Usa e Israele in prima fila – crede che Teheran imbroglierà e basta, prendendo i suoi soldi e continuando a costruire un ordigno nucleare in qualche impianto sotterraneo non ancora individuato.

Per Teheran è semplicemente inammissibile quello che la comunità internazionale sta chiedendo: ispezioni continue nei siti militari, oltre che in quelli nucleari che le autorità già avevano autorizzato, che la Repubblica islamica percepisce come spionaggio delle proprie attività militari. L’ala dura dell’esercito si è già attivata con proclami minacciosi, mentre il Parlamento è passato ai fatti: due settimane fa, infatti, i deputati di Teheran hanno approvato con una maggioranza di 199 su 213 un disegno di legge che proibisce l’ingresso a qualunque sito militare da parte di ispettori stranieri, oltre al sollevamento immediato di tutte le sanzioni che gravano sulla Repubblica Islamica qualora l’accordo sul nucleare fosse firmato.

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