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09/07/2015

USA e Vietnam, prove di dialogo

di Michele Paris

La storica visita di questa settimana negli Stati Uniti del segretario del Partito Comunista del Vietnam, Nguyen Phu Trong, ha segnato un passo avanti forse fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra i due paesi, esattamente a vent’anni dalla normalizzazione delle relazioni bilaterali avvenuta durante la presidenza Clinton. Significativamente, Obama ha ricevuto il leader vietnamita nello Studio Ovale, di solito riservato per discussioni con personalità straniere che ricoprono ufficialmente la carica di Capo di stato.

Al centro del faccia a faccia di martedì ci sarebbero state principalmente due questioni, entrambe legate al riallineamento strategico in Asia degli Stati Uniti in funzione di contenimento della Cina. La prima è quella del trattato di libero scambio denominato Partnership Trans-Pacifica (TPP), a cui il Vietnam dovrebbe aderire assieme a una decina di altri paesi asiatici e del continente americano.

Obama ha da poco ottenuto dal Congresso di Washington il via libera a una sorta di corsia preferenziale per l’approvazione del TPP, dando un impulso decisivo alle trattative con gli altri paesi coinvolti. Le difficoltà principali dei negoziati con il Vietnam riguardano non tanto aspetti come il diritto dei lavoratori a creare associazioni sindacali indipendenti, quanto lo smantellamento - o, per lo meno, il ridimensionamento - delle aziende di proprietà dello stato e altre delicate questioni legate al commercio.

Ad esempio, in cambio dell’ulteriore apertura del mercato americano ai prodotti “made in Vietnam”, gli Stati Uniti avrebbero chiesto al regime, una volta entrato in vigore il TPP, di interrompere l’importazione di materie prime tessili dalla Cina, con tutte le difficoltà logistiche che ne deriverebbero. Gli approvvigionamenti destinati a un settore cruciale dell’economia del Vietnam dovrebbero giungere invece da altri paesi facenti parte del TPP.

L’altro tema di rilievo trattato a Washington è legato poi alle dispute territoriali in atto nel Mar Cinese Meridionale, dove Cina e Vietnam sono sembrate essere ai ferri corti nella primavera del 2014 in seguito al posizionamento da parte di Pechino di una piattaforma petrolifera in un’area rivendicata da Hanoi.

Se la Cina non è mai stata citata esplicitamente durante la conferenza stampa di Obama e Trong, l’obiettivo di alcune dichiarazioni di entrambi i leader è apparso sufficientemente chiaro. Il presidente americano ha così invitato i paesi del sud-est asiatico a risolvere le dispute all’interno di “accordi internazionali”, laddove la Cina ha sempre sostenuto di volere chiarire le divergenze con i propri vicini sul piano bilaterale e senza interferenze.

L’apparente neutralità di Washington sulle dispute nel Mar Cinese Meridionale nasconde in realtà una posizione decisamente anti-cinese. Contese che si trascinano da tempo senza particolari conseguenze si sono riaccese in questi ultimi anni proprio in concomitanza con la cosiddetta “svolta” asiatica degli USA, i quali hanno più o meno apertamente incoraggiato paesi come Vietnam o Filippine a promuovere le rispettive rivendicazioni.

Nel 2014, le Filippine avevano sottoposto una richiesta di arbitrato a un tribunale internazionale a L’Aia per contestare le rivendicazioni cinesi nel Mar Cinese Meridionale. Il tribunale ha tenuto la sua prima udienza sul caso proprio questa settimana e, nel decidere se esprimersi sulla vicenda, si baserà anche su un parere legale presentato a dicembre dal Vietnam in appoggio all’istanza filippina.

La posizione vietnamita è stata d’altra parte ribadita martedì a Washington, quando il segretario Trong ha affermato, avendo in mente la Cina, che “attività recenti nel Mar Cinese Meridonale sono in disaccordo con il diritto internazionale” e “possono complicare la situazione”.

Lo stesso leader del Partito Comunista del Vietnam ha poi definito “cordiale, costruttiva, positiva e franca” la discussione avuta con Obama, sottolineando l’estrema importanza dell’evoluzione dei rapporti tra i due paesi, passati da “ex nemici ad amici e partner”, anzi “partner a tutto tondo”. Trong ha inoltre invitato il presidente americano a visitare il suo paese, cosa che quest’ultimo sembra avere accettato di buon grado.

Obama, da parte sua, ha parlato di un rapporto di “mutuo rispetto” con il Vietnam, anche se persistono diversità di vedute riguardo “la filosofia politica” e “il sistema politico” dei due paesi. Come hanno ricordato i media e vari esponenti politici americani, il Vietnam continua a essere carente sul fronte dei diritti umani e della libertà di religione.

La questione dei diritti umani viene però come al solito usata da Washington come una delle armi a disposizione della propria politica estera per mascherare la persecuzione pura e semplice dei propri interessi strategici. Nel caso del Vietnam, la necessità di creare una partnership con l’obiettivo di limitare l’influenza della Cina ha finito per avere la precedenza su qualsiasi scrupolo democratico e umanitario.

Il governo USA ha ritenuto sufficiente citare presunti “miglioramenti” della situazione interna in Vietnam e, ad ogni modo, soprattutto in relazione a questo paese, devastato dal tragico incontro con l’imperialismo americano, Washington non è nella posizione di dare lezioni su democrazia o diritti umani.

La visita di Trong di questa settimana è comunque il coronamento di un percorso che ha portato alla costruzione di un rapporto tra Vietnam e Stati Uniti impensabile due decenni fa. Solo negli ultimi mesi, i due ex rivali hanno siglato importanti intese, soprattutto in ambito militare. Ai primi di ottobre dello scorso anno, ad esempio, gli USA avevano eliminato parzialmente l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam.

Questa proibizione era stata introdotta ufficialmente dall’amministrazione Reagan nel 1984 e un decennio più tardi, con la normalizzazione dei rapporti bilaterali, Washington avrebbe iniziato a utilizzarla come leva per ottenere dapprima l’apertura dell’economia vietnamita al capitale americano e più recentemente per attrarre il paese del sud-est asiatico nella propria orbita strategica.

Il via libera alla vendita di armi “letali” ha riguardato in primo luogo quelle da impiegare nella “sicurezza marittima”, inequivocabilmente legata alla “minaccia” cinese. Allo stesso tempo, la fine dell’embargo è utile agli Stati Uniti per provare a insidiare il ruolo della Russia di tradizionale primo fornitore di armi del Vietnam.

Poco più di un mese fa, il ministro della Difesa di Hanoi, Phung Quang Thanh, e il numero uno del Pentagono, Ashton Carter, avevano poi sottoscritto nella capitale vietnamita una dichiarazione congiunta sui rapporti bilaterali in ambito militare, sulla base di un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore della “difesa” già firmato nel 2011.

Il più recente vertice di Washington e gli sviluppi delle relazioni tra USA e Vietnam non sembrano però comportare un allineamento esclusivo di Hanoi all’ex nemico, almeno per il momento. La politica estera vietnamita appare da tempo come una sorta di esercizio di equilibrismo, dettato dalla necessità storica di mantenere una certa indipendenza dall’ingombrante vicino cinese, con il quale questo paese ha tra l’altro combattuto una breve guerra nel 1979.

La Cina è però anche il primo partner commerciale del Vietnam e di questa realtà la leadership stalinista al potere a Hanoi è ovviamente cosciente. Prima della visita a Washington, infatti, lo scorso aprile il segretario del Partito Comunista si era recato a Pechino su invito del presidente, Xi Jinping, in occasione dei festeggiamenti per i 65 anni di relazioni diplomatiche tra i due paesi vicini.

Il Vietnam ha poi intensificato i legami con altri paesi della regione alleati di Washington, come il Giappone e le Filippine, anche se, come già ricordato, il rapporto con la Russia, che dura dai tempi della Guerra Fredda, continua a essere piuttosto solido.

Ciononostante, è innegabile che l’avvicinamento agli Stati Uniti sia il dato più significativo della politica estera vietnamita di questi anni. All’interno del regime ci sono sezioni che spingono indubbiamente per una rottura ancora più netta con la Cina e per riorientare il paese verso gli Stati Uniti e i loro obiettivi strategici in Asia orientale, con la conseguente accelerazione delle “riforme” di libero mercato sul fronte interno.

Un’altra fazione, al contrario, auspica scelte più prudenti ed equilibrate, invitando a mantenere rapporti amichevoli sia con Washington sia con Pechino, vista soprattutto l’importanza della Cina per l’economia domestica.

Come per altri paesi asiatici che si trovano a fare i conti con un dilemma simile, tuttavia, anche per il Vietnam sarà sempre più problematico conservare l’equilibrio attuale in un quadro segnato dalla crescente aggressività degli USA nei confronti della Cina. Di questa difficoltà sembra essere ben consapevole la leadership di Hanoi, tanto che la cordialissima vista appena conclusa di Nguyen Phu Trong a Washington potrebbe avere segnato la strada per le future scelte di politica estera del regime vietnamita.

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