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08/09/2018

Donbass: grossi (ed equivoci) avvicendamenti ai vertici della DNR


Mentre sono in corso da giorni grossi preparativi ucraini – di cui l’assassinio del Presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko appare essere un tassello, ancorché fondamentale – in vista di un attacco su larga scala alle Repubbliche popolari del Donbass, avvicendamenti tutt’altro che privi di significato avvengono proprio ai vertici della DNR.

Sul piano militare, secondo la ricognizione delle milizie popolari, le forze ucraine avrebbero formato un gruppo d’assalto, forte di oltre 12.000 uomini, per attaccare la DNR e, insieme a questi, ben sei divisioni di artiglieria sarebbero state spostate verso Velikaja Novoselka, 90 km a ovest di Donetsk. Le milizie, in caso di aspro acutizzarsi della situazione, starebbero pensando a una mobilitazione generale e al richiamo dei riservisti. Sul fronte della LNR, Kiev avrebbe concentrato una quindicina di obici di grosso calibro, semoventi e trainati, nell’area di Rubežnyj, un centinaio di km a nordovest di Lugansk, pronti a muovere verso la linea di demarcazione.

A livello politico, il Consiglio del popolo della DNR ha nominato Presidente del consiglio dei ministri a interim lo speaker dell’assemblea e capo della delegazione ai colloqui di Minsk, Denis Pušilin. Nella stessa seduta del Consiglio, è stata anche annunciata la prossima nomina della Commissione elettorale centrale, in vista delle elezioni fissate, sia nella DNR che nella LNR, al prossimo 11 novembre.

La nomina di Pušilin fa seguito alla decadenza, anche formale, di tutti i poteri del Presidente della DNR – per ovvie ragioni – e dei Ministri: Zakharčenko presiedeva infatti anche il Consiglio dei Ministri. L’incarico a Pušilin è la diretta conseguenza della sentenza della Procura generale, che ha dichiarato illegittima la nomina di Dmitrij Trapeznikov a capo provvisorio della Repubblica e ha definito il Consiglio del popolo unica autorità legittimata, secondo la Costituzione, ad adottare tale decisione.

Il Consiglio dei Sindaci delle città della DNR si è dichiarato concorde con la sentenza della Procura, ricordando che la nomina di Trapeznikov, a poche ore dall’assassinio di Zakharčenko, era stata “una misura straordinaria e temporanea. Ora, quando tutti ci siamo ripresi dallo shock della tragedia, è necessario tornare alla lettera della legge”. Più tardi, lo stesso Trapeznikov ha rilasciato una simile dichiarazione, di approvazione degli avvicendamenti al vertice.

Nella tarda serata, Pušilin ha reso nota la lista dei Ministri, quasi tutti cambiati rispetto al precedente Gabinetto e tutti qualificati come “facente funzione”, fino alle elezioni. Secondo una fonte, Ekaterina Matjuščenko avrebbe conservato il posto al Ministero delle finanze; mentre la carica sinora tenuta da Aleksandr Timofeev, al Ministero delle imposte, è andata Evgenij Lavrenov. Tre Ministri, nominati vice premier, dirigeranno altrettanti blocchi ministeriali: analisi e sviluppo strategico, politiche sociali, bilancio e finanze.

Ma, secondo un’altra fonte, la Matjuščenko e la presidente della Banca centrale, Irina Nikitina, sarebbero fuggite in Russia, insieme ad altri ex dirigenti della cerchia di Aleksandr Zakharčenko, tra cui i suoi ex consiglieri Aleksandr Kazakov e Aleksandr Pašin, mentre Trapeznikov, secondo dnr-live, sarebbe “riuscito ad accordarsi con Mosca e avrebbe conservato il posto di vice premier”.

La prima voce di una fuga in Russia “eccellente” era stata quella riguardante il Ministro delle imposte, Aleksandr Timofeev (tra i feriti meno gravi nell’attentato del 31 agosto) accusato di appropriazioni varie. Nella mattinata di ieri, il direttore di una delle più grandi imprese agroindustriali della Repubblica, la “Kolos D”, Vadim Savenko, aveva accusato Timofeev di aver sottratto all’azienda valori per 850 milioni di rubli. Secondo Savenko, nel novembre 2017, su disposizione diretta del Ministro, nonché vicepresidente del Consiglio dei ministri, un “gruppo armato, guidato dal direttore dell’impresa statale “Zarja Agro”, Gennadij Krjaževyj, aveva fatto irruzione sul territorio della “Kolos” e sulla base di presunti documenti in possesso del Ministero, circa la qualifica di “beni giacenti” riferita all’intera proprietà della “Kolos” – beni mobili, patrimonio zootecnico e produzione agricola – di fatto se ne era impossessato”.

Timofeev, dice Savenko, avrebbe “abusato della fiducia accordatagli dai vertici del DNR, che gli avevano affidato la direzione fiscale della Repubblica”, utilizzando la carica per “l’arricchimento personale e il rafforzamento della propria autorità”. In serata, una nuova accusa si è aggiunta contro Timofeev: quella di “essersi appropriato” di una serie di imprese di trasporti, le cui perdite, dal 2015, ammonterebbero a oltre 100 milioni di rubli. Secondo gli imprenditori che accusano Timofeev, egli avrebbe sottratto loro le aziende dietro la copertura della “nazionalizzazione”.

Come detto, tutto “in ordine” con Dmitrij Trapeznikov, a parte la dichiarazione sulla illegittimità e provvisorietà della sua nomina. Per la verità, qualche voce circa le sue “credenziali” come vice premier erano circolate in passato. E si erano appuntate sulle sue manovre per piazzare ai posti chiave propri personaggi, aggirando Zakharčenko: o meglio, personaggi fedeli a Rinat Akhmetov, il maggior oligarca ucraino, i cui forti interessi nel Donbass gli hanno fatto tenere (perlomeno fino a una certa fase) posizioni “non univoche” tra Kiev e le milizie. Nel 2016, l’allora comandante del battaglione delle milizie della DNR “Vostok”, Aleksandr Khodakovskij (che qualcuno dà quale possibile alternativa a Pušilin nella corsa elettorale del 11 novembre, nonostante i suoi non più ottimi rapporti con Mosca) scriveva che gli uomini di Akhmetov nella DNR erano Maksim Leščenko, capo dell’amministrazione presidenziale, e Trapeznikov, suo vice.

Stando alle voci, quest’ultimo, funzionario amministrativo del rione Kujbyšev di Donetsk, era entrato nel giro di Akhmetov quale capo degli ultras dello “Šakhtër” che, a differenza degli ultras della “Dinamo” di Kiev, o del “Metallist” di Kharkov o del “Karpaty” di Lvov, già durante la cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004 avevano avversato il nuovo potere di Kiev. L’ascesa di Trapeznikov era iniziata allorché egli, in concomitanza a una visita a Donetsk dell’inviato presidenziale russo, Vladislav Surkov, aveva organizzato la protesta degli imprenditori locali contro il Codice fiscale della repubblica e le ispezioni straordinarie: il tutto, diretto contro il Ministro delle imposte Timofeev. Dopo di che, Trapeznikov aveva cominciato a riunire intorno alla sua persona i vice sindaci delle maggiori città, aggirando i primi cittadini, per costruire la propria cerchia di potere.

“Quando Dmitrij Trapeznikov avrà terminato di costruire la propria verticale del potere” scriveva Khodakovskij, “allora potrà occupare la carica più alta nella DNR. Zakharčenko ora gode del sostegno assoluto della popolazione; ma quando tutti i posti chiave saranno occupati da uomini di Trapeznikov, allora forse il popolo non potrà più aiutare il capo della Repubblica. Quando vincerà Trapeznikov, vincerà Akhmetov e allora tutti gli slogan sulla Russkaja Vesna e la Repubblica senza oligarchi rimarranno slogan. E allora, perché saranno morti gli uomini migliori del Donbass?”.

Dunque, cosa si cela dietro l’assassinio di Zakharčenko? La mano di Kiev nasconde anche la lotta tra “nazionalizzatori” e “privatizzatori”, concentrata evidentemente nelle branche strategiche mineraria e metallurgica? E ancora: quanto potrebbe esser stata, o essere, pesante, la mano allungata sulle preziosissime risorse del Donbass dai corrispondenti colossi russi e ucraini del settore, a loro volta legati reciprocamente da interessi industriali e finanziari, come testimonierebbero i rapporti tra l’oligarca ucraino Sergej Kurčenko e l’influente consigliere presidenziale russo Vladislav Surkov, posto dal Cremlino a “curare” le faccende della DNR e, in particolare, di Zakharčenko?

Ora dunque, come scriveva ieri Andrej Babitskij su life.ru, sarebbe interessante conoscere il vero compito della miriade di agenti del FSB russo, sbarcati a Donetsk sin dal giorno successivo l’assassinio di Zakharčenko e ufficialmente inviati a indagare sul delitto, e che sembra stiano mettendo sottosopra ogni possibile “armadio” ministeriale, alla ricerca di scheletri che potrebbero portare benissimo a Kiev, ma anche a Mosca. Non a caso, a quanto ci dicono semplici cittadini di Lugansk riparati in Russia, per l’omicidio del capo della DNR, il dito viene puntato soprattutto a ovest, ma anche a est.

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