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10/09/2018

Svezia paralizzata dal voto; i razzisti avanzano, i comunisti raddoppiano

Lo schema è sempre lo stesso: diminuisce drasticamente il livello del welfare e la “sicurezza sociale” (la certezza di poter campare decentemente, di poter scegliere la propria vita), aumenta la paura di finire sul lastrico e senza tutele, crescono i bastardi che lucrano su questa paura indicando come “responsabili” chi sta appena un gradino sotto: i migranti.

Anche la Svezia torna sotto i riflettori per l’avanzata dell’estrema destra xenofoba e razzista. C'era già finita qualche anno fa, quando i paranazisti che preferiscono farsi chiamare “Democratici svedesi” (con l’accento calcato sulla seconda parola, ovviamente) superarono per la prima volta la soglia del 10%, raggiungendo il 13. Anche allora grandi allarmi, grandi discorsi, un profluvio di retorica ma nessun cambiamento delle politiche sociali.

Del resto anche la Svezia fa parte dell’Unione Europea – pur se ancora fuori dell’eurozona, il che consente qualche margine di politica monetaria indipendente e anticliclica – e dunque risente pesantemente delle “prescrizioni” che obbligano a politiche di austerità. E, per un paese famoso per la qualità e l’estensione del suo welfare, una simile strada non può che portare a una destabilizzazione fortissima degli equilibri e della coesione sociale.

Ma vediamo i risultati nel dettaglio.

Hanno votato l’84,4% degli aventi diritto, un’affluenza mostruosa, com’è tradizione per questo paese.

Il primo partito (è così dal 1917, anno piuttosto importante nella storia del mondo) è anche questa volta quello dei Socialdemocratici, con il 28,4% dei voti, in calo di quasi 3 punti rispetto al 2014. Al secondo posto il partito Moderato, di centrodestra (che perde a sua volta il 3,5%). Terzi si piazzano i Democratici Svedesi, di estrema destra, euroscettici ed anti-immigrati (17,6%, in aumento di 4,7 punti rispetto al 2014). Seguono il partito di Centro (8,6%), la Sinistra (in realtà i comunisti, con il 7,9%, praticamente un raddoppio dei consensi), i Cristiano-democratici (6,4%), i Liberali (5,5%) e i Verdi (4,3%).

I sondaggi pre-elettorali avevano fatto pensare ad un’avanzata assai più intensa dell’estrema destra (al di sopra del 20%, con il rischio che potessero diventare il primo partito) e ad un crollo assai maggiore dei socialdemocratici.

A bocce ferme, insomma, il clima politico interno oscilla tra un grande respiro di sollievo per non essere (ancora) piombati nell’incubo e la preoccupazione su come governare un paese altamente frammentato, con un Parlamento (Riksdag) che non permette nessuna maggioranza chiara (349 seggi). Neppure questa è una situazione nuova, per Stoccolma, visto che negli ultimi anni c’erano stati governi di minoranza (ammessi dalla Costituzione nazionale). Ma stavolta sarebbe difficile anche formare un esecutivo di questo tipo, visto che i partiti rosè hanno raccolto appena 144 seggi e l’alleanza di centrodestra solo 143 (nonostante una legislatura all’opposizione).

In pratica ci sono dei sicuri sconfitti (socialdemocratici e conservatori, come in tutti i paesi europei i due pilastri dell’”europeismo” e delle politiche di austerità), ma non ci sono dei sicuri vincitori: i razzisti Ds, come detto, non straripano, i comunisti della Sinistra raddoppiano ma restano sotto il 10%, gli ecologisti hanno rischiato di non superare la soglia di sbarramento.

Nemmeno una “Grosse Koalition” tra Socialdemocratici e Moderati avrebbe abbastanza seggi, anche se forse potrebbero contare sulla “desistenza” di qualche gruppo centrista (e a questo punto si tratta forse dell’ipotesi più plausibile).

Ma è chiaro che un governo qualsiasi, rappattumato intorno all’esigenza di garantire comunque un esecutivo, privo di qualsiasi programma comune che si sia l’applicazione pedissequa delle indicazioni di Bruxelles, sarebbe il modo migliore di far crescere ancora di più l’estrema destra.

Interessante, comunque, il “raddoppio” del partito comunista che raccoglie pressoché integralmente i voti in fuga dai socialdemocratici, specie nelle aree operaie e popolari. Il modo migliore di contrastare l’avanzata delle destre, insomma, è ovunque – persino in Svezia – mettere su piazza una proposta politica di cambiamento radicale, che appare oggi palesemente più credibile di una “moderata e riformista”.

Ovvero l’esatto contrario di quel che è stato fatto per esempio in Italia, dove si è continuato a pensare che l’unica via per far sopravvivere “la sinistra” fosse lo slittamento a destra, costantemente alla ricerca dell’alleanza subordinata con i social-liberisti, fino a farsi identificare “dalle masse” come una costola inutile dei propri nemici.

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