di Alberto Negri - ilmanifesto.it
Ed ecco che puntualmente sui giornali appare la retorica del
«nulla sarà come prima». Si preconizza, dopo la pandemia, un mondo
migliore e più giusto. Perché e con quale profondità? Avremo dopo il
coronavirus davvero un futuro, più equo e con meno disuguaglianza? Come
spiega Walter Scheidel in La Grande livellatrice, ponderoso
libro edito dal Mulino (pp. 640, euro 35), solo grandi guerre,
rivoluzioni, fallimenti di stati ed epidemie si sono mostrate efficaci
per cambiare il mondo. Nel caso di pandemie come la peste del ‘300 la
popolazione europea si era ridotta del 30-45%. Il coronavirus si fermerà
su scala molto più bassa. Però ha un pregio per le élite: se bloccano
il contagio legittimeranno il loro potere e la disuguaglianza.
Le epidemie, scrive lo storico austriaco, sono il «Quarto Cavaliere»
dopo gli alti tre, guerre, rivoluzioni e crolli di stati e imperi. Si
differenzia dagli altri fattori in quanto coinvolge altre specie anche
se in termini non violenti ma certi attacchi di batteri e virus sono
stati molto più letali di tutti i disastri causati dall’uomo.
LA MORTE NERA, la peste del Trecento descritta da Decameron
Di Boccaccio, ha avuto straordinari effetti sulla demografia e i
rapporti di forza dentro la società medioevale in Europa e oltre: questa
pandemia ha mutato radicalmente per più di un secolo e mezzo la
relazione tra terra e lavoro, fu un grande livellamento che portò al
crollo delle rendite fondiarie e all’impennata del costo del lavoro. In
poche parole i ricchi di prima furono meno ricchi e i poveri meno poveri
e con maggiore potere contrattuale.
La Morte Nera ci mise un po’ a viaggiare, ma non così tanto come si
può supporre oggi. La peste, causata da un ceppo batterico che colonizza
il tratto digestivo delle pulci per poi infestare ratti e altri
animali, scoppiò nel Deserto del Gobi intorno al 1330. Fu denominata
«bubbonica» per la tremende tumefazioni a inguine o ascelle dove di
solito si infilano le pulci. Una sua seconda versione è la peste
polmonare che si trasmette tra gli umani con le goccioline trasportate
dell’aria.
Le rotte carovaniere dall’Asia centrale furono i veri canali di
diffusione: 15 anni dopo il Gobi la peste raggiunge la Crimea nel 1345
dove si propaga alla marina genovese durante l’assedio di Caffa
(Feodosia) quando esplose la pestilenza tra i tartari che assediavano la
città. Ma da lì comincia a correre veloce.
DOPO DUE ANNI la peste era a Costantinopoli, quindi
passò il Bosforo e toccò Alessandria d’Egitto. Le navi genovesi la
portarono in Sicilia nel 1347, un anno dopo nel 1348 si era propagata da
Parigi al Nord Europa e all’Italia. «No come uomini ma quasi come
bestie morieno», si legge nel Decameron: 24 milioni le vittime secondo le stime del Vaticano.
La popolazione europea scese da 94 milioni nel 1300 a 68 milioni nel
1400. La grande livellatrice aveva tagliato di un quarto gli europei ma
anche il Medio Oriente e l’Asia. «L’intero mondo è cambiato», scriveva
il grande storico arabo Ibn Khaldun.
E I CAMBIAMENTI più profondi si produssero proprio
nella sfera dell’economia e sul mercato del lavoro. La Morte Nera era
arrivata in Europa dopo tre secoli in cui la popolazione, a partire circa
dal Mille, si era triplicata per una combinazione di fattori, dai
miglioramento dei metodi di coltura agricoli alla riduzione
dell’instabilità politica. Con un’abbondanza di bocche da sfamare erano
cresciuti i prezzi del cibo mentre la pressione demografica aveva
ridotto il valore del lavoro e quindi anche i redditi reali. La Morte
Nera portò a una drammatica diminuzione della popolazione ma lasciò
intatte le strutture, ovvero la terra: grazie a un’accresciuta resa dei
terreni la produzione scese meno della popolazione producendo un aumento
del prodotto pro capite del reddito medio.
LA TERRA ERA DIVENTATA più abbondante del lavoro e i
proprietari furono messi sotto pressione da richieste di aumenti
salariali. In Francia, Inghilterra e nelle signorie italiane le
istituzioni e il potere si scatenarono in ordinanze per calmierare le
richieste ma in gran parte vennero disattese. I redditi dei lavoratori
raggiunsero un picco all’inizio del 1400: ci volle più di un secolo
perché i salari reali cominciassero a scendere per allinearsi intorno al
1600 ai livelli antecedenti l’epidemia di peste bubbonica. Questo
avveniva in Europa ma anche nel Mediterraneo orientale: i registri
ottomani degli operai edili di Istanbul mostrano che i redditi reali
rimasero alti fino alla fine del 19 secolo, il che sottolinea la
straordinaria espansione legata alla peste.
Gran parte della nostra conoscenza sul ruolo delle pandemie nel
livellamento della disuguaglianza è abbastanza recente. Ma questo può
avvenire ancora? La riposta di Schneidel è piuttosto decisa. Oggi
occorrerebbe la morte di centinaia di milioni di persone, cosa che
supera gli scenari più pessimistici. E non è per niente sicuro che una
pandemia possa livellare la disuguaglianza di reddito o di ricchezza
come avvenne nell’era agraria.
PER ESEMPIO la spagnola del 1918-20 provocò dai 50
ai 100 milioni di morti ma siccome i suoi effetti si mescolarono a
quelli della guerra non si può dire se abbia avuto una conseguenza
significativa sulla redistribuzione delle risorse materiali. Poi oggi, aggiunge lo storico austriaco, la società è assai più sofistica:
dall’informatica, ai robot, alle biotecnologie e alla loro applicazione
all’uomo. Eppure l’epidemia continua come un tempo a fare paura,
l’essere umano continua a essere troppo umano.
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