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11/06/2022

La sinistra occidentale e il fardello dell’uomo bianco

Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco
E ricevi la sua antica ricompensa:
Il biasimo di coloro che fai progredire,
L’odio di coloro su cui vigili –
Il pianto delle moltitudini che indirizzi
(Ah, lentamente!) verso la luce:
«Perché ci ha strappato alla schiavitù,
La nostra dolce notte Egiziana?»
(Il fardello dell’uomo bianco. Rudyard Kipling)

Questo poema, composto da Kipling nel 1899 allo scoppio della guerra per imporre il dominio statunitense sulle Filippine nell’Oceano Pacifico, è passato alla storia come il Manifesto dell’imperialismo e del colonialismo anglosassone. Nel contesto e nell’ottica odierni può essere letto come il Manifesto delle Guerre di Civiltà per la democrazia liberale e per i diritti umani, il manifesto del valore positivo della occidentalizzazione del mondo come progresso dei popoli, alla base anche della propaganda ideologica attuale contro la Russia e la Cina e in generale contro il dispotismo orientale.

L’Occidente è stato anche lo spazio sociale, politico e culturale della teoria socialista e della lotta di classe contro il capitalismo. L’Uomo Nuovo aveva le sembianze dell’uomo occidentale, e la sua universalizzazione sembrava naturale. Da qui le posizioni ambigue nei confronti del colonialismo del movimento socialista e operaio, “con tutti i socialisti francesi più importanti, da Proudhon a Louis Blanc a Pierre Leroux che supportavano la causa coloniale.” (Thierry Drapeau, Le radici dell’anticolonialismo di Karl Marx, in Jacobin Italia 1/4/2019 ).

Per non dire dello stesso giovane Marx, che sul New York Daily Tribune, n° 3840, 8 agosto 1853 così scriveva: “L’Inghilterra deve compiere una doppia missione in India; una distruttiva, l’altra rigeneratrice: demolire l’antica società asiatica e porre le basi materiali della società occidentale in Asia”. Nel Manifesto del 1848, lui ed Engels reputavano la colonizzazione occidentale del mondo una forza progressiva e benefica che portava le società sottosviluppate a un livello di civilizzazione borghese. Eduard Bernstein cosi affrontava nel 1896 il problema della emancipazione dei popoli oppressi: “Non tutte le lotte delle popolazioni dominate contro i loro dominatori sono per ciò stesso lotte di emancipazione. L’Africa ospita tribù e stirpi che rivendicano il diritto di svolgere il commercio degli schiavi che solo le nazioni civili dell’Europa possono impedire (sic!). Popoli incivili e nemici della civiltà non hanno alcun diritto alla nostra simpatia, ove si levino contro la civiltà” (in Die Neue Zeit). Ancora Engels contro la partecipazione entusiastica dei barbari slavi alla controrivoluzione di Metternich nel 1848: “Ma alla prima insurrezione vittoriosa del proletariato francese... i tedeschi e i magiari austriaci si libereranno e si vendicheranno sanguinosamente dei barbari slavi. Questa guerra generale che poi scoppierà, disperderà l’alleanza slava e annienterà persino i nomi di tutte queste piccole nazioni ostinate. La prossima guerra mondiale causerà la scomparsa dalla faccia della Terra non solo delle classi e delle dinastie reazionarie, ma anche di interi popoli reazionari. Pure questo è un progresso”. (Engels, La lotta dei Magiari, gennaio 1849).

Solo spunti per una riflessione. Ovviamente Marx, Engels e il socialismo ottocentesco non possono essere giudicati per queste convinzioni storicamente datate. Sono anche l’espressione di un’epoca storica in cui la borghesia esprimeva il massimo della sua potenza rivoluzionaria che aveva “affascinato” gli autori del Manifesto. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora e il movimento socialista e operaio ha avuto anche e soprattutto una storia anticoloniale, in particolare con Lenin, con la rivoluzione cinese, il socialismo sudamericano e con il sostegno dell’URSS alle lotte anticoloniali in Asia ed Africa. Ma questa componente universalista occidentale, eurocentrica, è presente nella sua storia e nelle sue radici, e ogni tanto riemerge. Sarà un caso che si rafforza dopo l’89 e la svolta neoliberale?

Una storia con cui dobbiamo ancora fare i conti.

La guerra in Ucraina: la sinistra pacifista

Quanto permane di questa visione occidentalocentrica e dei suoi presunti valori universali nella attuale campagna politico-mediatica contro la Russia e la Cina? Quanto incide nella posizione del movimento pacifista di sinistra che fatica o non riconosce alcuna giustificazione politica alla Russia nell’ennesima tragedia europea che si profila? Come viene affrontato il problema della pace? Quanto pesa il pregiudizio asiatico, il suo non essere una democrazia liberale secondo i canoni occidentali?

Viene giustamente proposta l’esigenza di una trattativa per una pace possibile. Ma c’è spazio per una trattativa di pace realistica nella guerra in corso in Ucraina? Quale sarebbe?

Se Zelensky, la Gran Bretagna e la Nato per bocca del suo Segretario generale Stoltenberg, l’UE per bocca del suo Presidente von der Leyen dichiarano che l’Ucraina deve vincere la guerra e spingono per rifiutare ogni trattativa con la Russia che non sia la sua resa e il suo ritiro dai territori del Donbass e perfino dalla Crimea, direi di NO! L’unica condizione realistica attuale è quella della permanenza dello stato di guerra. Una guerra provocata, voluta preparata e ora combattuta, che reclama un vincitore e uno sconfitto. Quando si fermerà non lo possiamo prevedere.

Le posizioni “terziste” di chi invoca la pace e contemporaneamente accusa la Russia e Putin delle peggiori nefandezze, non sono credibili e nascondono la falsa coscienza dell’Occidente e della sua componente pacifista, che invoca una generica pace senza abiurare alla solidarietà occidentalista, fondata sulla sua presunta superiore democrazia liberale contro il dispotismo russo.

Per provare a fermare la guerra occorrerebbe il riconoscimento delle richieste russe, non criminalizzare Putin e la storia della Russia, e venire incontro alle sue conclamate esigenze di sicurezza che la NATO e gli USA non hanno voluto e non intendono riconoscere, almeno fino ad ora, e che sono alla base del conflitto in corso. Questo è il punto. L’altro è riconoscere che l’Italia è un paese in guerra di fatto insieme alla NATO e contro la Russia.

Gli appelli alla pace, anche della sinistra pacifista, senza questo riconoscimento e senza una autorevole offerta politico-militare alla Russia lasciano il tempo che trovano, comprese quelle ridicole italiane, giunte fuori tempo massimo. I neocons americani, la Gran Bretagna e i nazional-nazisti ucraini non sono disponibili a simili offerte. Anzi: puntano esplicitamente alla sconfitta militare della Russia o ad una lunga guerra di logoramento. LA NATO ne è lo strumento e noi la sosteniamo.

Allora non ha senso manifestare per la pace?

Il senso ce l’avrebbe. Ma deve essere chiaro a chi ci si rivolge, chi è la nostra vera controparte. L’Italia è di fatto un paese in guerra con la Russia. La finanzia col suo bilancio, partecipa delle sanzioni economiche, finanziarie e commerciali, invia armi anche all’oscuro del Parlamento, partecipa alla guerra mediatica e alla guerra psicologica quotidiana per schierare l’opinione pubblica a favore della guerra demonizzando la Russia e i pacifisti, accusati indistintamente di putinismo. Tutto il sistema politico, inoltre, con alcune lodevoli eccezioni, fa campagna per la guerra, in particolare il PD col governo Draghi, o sostiene la “ resistenza “ ucraina anche con alcune componenti della sinistra pacifista contro l’autocrate russo.

Chi non si adegua viene additato al pubblico ludibrio come nemico interno e spia del nemico. Le liste di proscrizione cominciano a circolare, così come pure le epurazioni dei sospetti.

Per una sinistra pacifista l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di denunciare la partecipazione dell’Italia e del suo governo ad una guerra che gli italiani non vogliono e che danneggia il nostro paese. La pace viene vista come ricerca di un accordo tra le parti di cui mancano però le basi minime. Chi sarebbero le parti fra Zelenky, la Russia e la NATO? Chi sarebbe poi il mediatore terzista ? Si pensa davvero che i paesi europei possano svolgere il ruolo di mediatori mentre sono vincolati dalla comune appartenenza alla NATO che è parte in guerra? Le sorti della pace risiedono innanzitutto nella dissociazione nostra dal sostegno alla guerra, di cui noi siamo parte e co-belligeranti. Quindi affare anche del nostro governo. Un movimento per la pace dovrebbe assumere quindi la politica del nostro governo come primo immediato obiettivo della sua lotta, denunciandone le sue connivenze e responsabilità.

In questo movimento per la pace il punto debole è rappresentato anche dal sindacato confederale, che sottovaluta gli effetti devastanti sul sistema produttivo industriale del nord, provocati dall’adesione del nostro paese alle sanzioni contro la Russia, penalizzato con l’aumento del costo dell’energia e col blocco dei mercati di esportazione. Sarebbe bastato, per iniziare, fare almeno come in Germania, dove Confindustra e sindacati tedeschi si sono opposti all’embargo al gas russo per evitare deindustrializzazione e perdita di posti di lavoro.

Ma chi pagherà poi i costi della nostra guerra?

Temo alla fine che le vere vittime saranno i lavoratori e il Sud. Temo un patto trasversale (Lega-PD-Confindustria) per salvare il Nord produttivo con sostegni assistenziali massicci al suo sistema produttivo a spese del Sud e un peggioramento delle condizioni di lavoro in termini di salario e occupazione con inflazione a due cifre. L’Autonomia differenziata sarebbe uno scherzo al confronto! Tutto per ottenere la fedeltà del Partito del Nord all’atlantismo in cambio di più feroci politiche neoliberiste!

La sinistra belligerante

In questa campagna politico-mediatica tossica a favore della guerra si distingue poi la “sinistra belligerante”, che mette sotto i piedi e oltraggia la Costituzione, trasforma la sua scelta guerrafondaia in Resistenza, confondendo i partigiani comunisti, socialisti e cattolici con i battaglioni nazionalisti e nazisti ucraini, offendendo così la memoria di quelli che il nazifascismo lo hanno combattuto davvero.

L’architrave del partito della guerra è il PD, che ha ritrovato “finalmente” una sua identità, dopo le mille traversie del dopo ’89, come Partito dell’Establishment e della NATO.

Le conseguenze tragiche di questa collocazione non li sfiora. I danni all’economia, la crisi dell’approvvigionamento energetico per imprese e famiglie, l’aumento del loro costo, le prevedibili chiusure di imprese e i relativi licenziamenti, la crisi alimentare in arrivo, un aumento di afflusso di profughi per fame dall’Africa, la ristrutturazione del sistema politico e democratico in funzione dello stato di guerra permanente. Il rischio, infine, sempre sottovalutato di una ennesima guerra mondiale e di un olocausto nucleare.

Tutto derubricato a “sacrifici inevitabili” per riaffermare la libertà dell’Ucraina di aderire alla NATO e in nome della Civiltà Occidentale! Quanto è ancora pesante il fardello dell’uomo bianco come destino dell’Occidente!

Per molto meno nella Storia condizioni simili hanno provocato rivolte e rivoluzioni sanguinose.

Tutto questo succede nel paese dei balocchi e delle narrazioni dove la verità è sinonimo della menzogna, in cui i nazisti possono diventare partigiani e i russi diventare nazisti.

Nel paese reale l’opinione pubblica italiana la pensa invece diversamente. È contraria nella sua maggioranza all’invio di armi all’Ucraina, non condivide le scelte di guerra della NATO, non condivide la politica del governo Draghi e della sua maggioranza di subalternità ai diktat degli USA, all’invio di armi, e la sua adesione alle sanzioni che metterà il paese e il suo sistema produttivo sul lastrico.

Un governo allora che trascina alla rovina il suo paese e lo porta a sostenere guerre e interessi altrui, calpestando la sua Costituzione è un governo che merita di essere rovesciato, e insieme ad esso la sinistra belligerante che lo sostiene con i suoi alleati. Sarebbe questo l’atto fondamentale per far uscire il paese dalla logica di guerra, il primo atto per combattere davvero per la Pace.

La sinistra occidentale e il multipolarismo

Invece assistiamo da una parte alle contorsioni pacifinte del governo Draghi, e dall’altra alla debolezza della sinistra pacifista che da una parte vorrebbe giustamente la pace e dall’altra, però, non contesta radicalmente il sistema che genera la guerra, cioè il sistema-mondo dell’unipolarismo anglosassone e occidentale e del loro rifiuto a riconoscere le aspirazioni di interi continenti, Asia, Africa, Sud America, all'autodeterminazione e all'indipendenza da questo sistema che ne frena lo sviluppo economico, sociale e democratico. La Pace auspicata è legata ad un’altra domanda: quale ordine del mondo dopo la guerra? La pace sarà fondata sull’ordine occidentale o sul nuovo ordine multipolare?

La guerra in Ucraina nasce da questa contraddizione globale e dalla scelta sciagurata dei nazionalisti ucraini, soprattutto galiziani, di provocare un golpe sotto regia NATO per asservire, arruolare e armare un intero popolo nella sua campagna contro la Russia. Una classica guerra per procura per destabilizzare la Russia, dividersi le sue spoglie preziose e condizionare la Cina e il resto del mondo.

Senza questo riconoscimento fondamentale, un movimento per la Pace non solo non è credibile, ma è anche inutile, non serve a rimuovere le ragioni politiche e storiche della guerra che si vorrebbe abolire.

La storia marcia verso il multipolarismo. La guerra in corso ne sta accelerando il processo.

La sinistra pacifista come si colloca rispetto a questo processo storico? Rimane rintanata nel suo ‘confortevole’ Occidente o lo assume come tratto della sua identità? Deve aiutare questo processo o no? Deve aiutare questo parto oppure agevolarne l’aborto? La risposta a questo quesito non è questione da poco.

Il destino della sinistra e dell’Occidente si gioca in questa partita: decidere se tornare ad essere artefice della propria storia e del proprio destino oppure ridursi ad una propaggine europea dell’atlantismo, a terreno di scontro della sua lotta contro il multipolarismo.

Per essere all’altezza della sfida che la Storia oggi pone, la sinistra occidentale dovrebbe fare i conti fino in fondo con l’”occidentalismo” e con la sua ideologia razzista, coloniale e imperiale, con la sua pretesa superiore civiltà rispetto al resto del mondo: il fardello dell’uomo bianco, appunto. La sinistra occidentale ne è dentro, consapevole o meno, l’ha ereditata dalla cultura liberale e coloniale europea nella quale è cresciuta e che oggi viene riproposta sotto le vesti mendaci della democrazia liberale e dei diritti civili, camuffati da diritti umani, come valori universali da sostenere ed esportare in ogni parte del mondo, in particolare contro il dispotismo orientale, inseguendo così l’Agenda delle élites globali e le guerre democratiche dell’idealismo neocons con le sue rivoluzioni colorate che, pur espressione di contraddizioni sociali vere, rappresentano una variante ai tradizionali colpi di stato alla cilena. Dovrebbe essere consapevole che la fine dell’unipolarismo anglosassone, l’abbondono di una visione occidentalista del mondo, può aprire la strada allo sviluppo della nostra democrazia e a rimettere in campo una prospettiva neo-socialista che sembra oggi perduta.

La scelta di fondo è tra guerre di civiltà o dialogo di civiltà contro l’occidentalizzazione del mondo.

L’orrendo spettacolo quotidiano che ci viene propinato a tutte le ore fatto di menzogne e becera propaganda antirussa che fa impallidire quella antisovietica del ’48, di criminalizzazione della sua storia e di cancellazione della sua cultura, offende non solo l’intelligenza del popolo italiano e delle menti libere, ma è anche un’abiura dalla migliore tradizione della cultura e della civiltà europea che nasce umanistica e rinascimentale, cioè italiana. O forse anche questa è morta con le due guerre mondiali. E forse sarà seppellita definitivamente dalla terza in corso.

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