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04/05/2016

Parigi - Notti in piedi vietate, finora mille arresti

Vietato manifestare di notte. La Prefettura ha adottato oggi la decisione preventiva di limitare la durata” delle cosiddette Nuit Debout. Ad annunciarlo un laconico quanto gravissimo comunicato delle massime autorità di pubblica sicurezza della capitale francese, che hanno quindi deciso di inasprire la già pesante repressione adottata nelle ultime settimane nei confronti di decine di migliaia di persone che manifestano, in particolare dopo il tramonto, contro la Loi Travail, una sorta di Jobs Act che rende più facili i licenziamenti ed estende la precarietà nel mondo del lavoro. La misura restrittiva – si potrà manifestare solo fino alle ore 22, e non più come avvenuto finora fino alle 24, orario in cui la polizia ha spesso sgomberato a manganellate la centralissima Place de la Republique piena di manifestanti in assemblea – è stata motivata con la necessità di ampliare le misure di sicurezza almeno fino alle 7 di domani mattina. Uno stato d’emergenza nello stato d’emergenza, quello proclamato dal governo socialista di Parigi all’indomani dagli attacchi terroristici del 13 novembre scorso e che ora viene piegato alla repressione della protesta sociale e sindacale.

Nel perimetro attorno alla piazza scelta dal movimento delle ‘notti in piedi’, avverte la Prefettura, è proibito il possesso di “ogni oggetto che possa in qualche modo costituire un’arma” o che possa “essere utilizzato come un proiettile costituendo un pericolo per la sicurezza delle persone, in particolare bottiglie di vetro”; è vietato quindi “il consumo e la vendita di sostanze alcoliche” e “il parcheggio di veicoli leggeri”.

Finora provvedimenti simili non hanno impedito che gruppi di manifestanti – ed in qualche caso poliziotti o estremisti di destra infiltrati – abbiano lanciato di tutto contro i cordoni di polizia intenti a sgomberare violentemente Place de la Republique: da bottiglie molotov alla pavimentazione stradale, passando per le bottiglie di vetro, le biglie d’acciaio, fuochi d’artificio e quant’altro. La polizia da parte sua ha fatto largo uso di gas lacrimogeni, spray urticanti al peperoncino, pallottole di gomma, granate a frammentazione, granate stordenti, granate accecanti... un vero e proprio arsenale di guerra. A Rennes, in Bretagna, uno studente ha perso un occhio a causa di una pallottola di gomma sparata da un agente, e a Parigi un manifestante ha riportato gravi danni ad un occhio e al viso per lo stesso motivo.

Finora, riferiscono i media francesi, sono state ben 961 le persone che sono state fermate o arrestate dagli apparati di sicurezza dall’inizio di una protesta contro la Legge El Khomri – così si chiama la ministra del lavoro che l’ha firmata – che è entrata nel suo secondo mese di vita.

I provvedimenti liberticidi sono stati adottati dall’esecutivo socialista guidato dal falco Manuel Valls in concomitanza con l’approdo del testo legislativo in Parlamento. Il governo è molto nervoso perché, a parte una opposizione sociale e sindacale massiccia che non accenna a ritirarsi dalle strade, la legge deve fare i conti con la mancanza di una solida maggioranza all’interno dell’Assemblea Nazionale, dove sono stati depositati, in particolare dalle forze di sinistra, la bellezza di 5000 emendamenti. Il che ha spinto Valls a prefigurare l’ipotesi di una ‘scorciatoia costituzionale’ – una sorta di Canguro renziano, per intenderci – attraverso il ricorso all’articolo 49.3 della Magna Carta della Repubblica che permetterebbe nientemeno che di evitare una approvazione parlamentare che sembra tutta in salita. E questo nonostante che il governo abbia rinunciato ad una parte dei provvedimenti draconiani inseriti nel testo inizialmente, come il massimale per gli indennizzi in caso di licenziamenti senza giusta causa. Ma gli oppositori – comunisti, ecologisti e alcuni socialisti dissidenti – continuano a denunciare il carattere antipopolare del provvedimento che regala ingenti risorse finanziare agli imprenditori abbassando le tutele per i lavoratori, aumentando i tempi di lavoro e la precarietà dei contratti.

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