Pannella è morto ed,
ammonisce un vecchio adagio, dei defunti non si deve dir nulla se non
bene, forse nel timore che i medesimi, offesi, vengano a tirarci i piedi
di notte. Per cui la morte è il momento in cui ricordare solo i meriti
(ed anche al di là della loro effettiva portata) dimenticando
magnanimamente colpe ed errori. Personalmente non ho mai creduto in
questa ipocrisia funeraria, per la quale sono stati tutti uomini grandi
ed incompresi dai loro contemporanei: la liturgia del “coccodrillo” mi
ha sempre fatto un po’ schifo. Dico subito che, sul piano politico – e
quindi storico – do un giudizio prevalentemente negativo della sua opera e dell’eredità che lascia.
Il personaggio ha meriti e non piccoli, come le battaglia per il divorzio,
per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare,
e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della
cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica ecc. di cui gli
va dato atto lealmente. Ma ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neo liberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader
(di cui fu il primo assertore) ed a virtuosismo comunicativo privo di
reali contenuti, l’allineamento servile agli Usa, le disgustose
giravolte fra centro sinistra e centro destra, sempre alla ricerca di
spazi istituzionali, le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia,
dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para
fiancheggiamento. Altra battaglia ambigua fu quella ecologista, che, se
da un lato apriva la strada ad una più matura riflessione sul rapporto
fra uomo ed ambiente naturale, dall’altro ebbe una infelice connotazione
antindustrialista.
Pannella, ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites,
sostenute da branchi di acritici attivisti, con un sostanziale rifiuto
della dimensione strategica della politica, surrogata dalla totale
delega all’estro momentaneo del leader (massima negazione del principio
di democrazia, tanto diretta quanto rappresentativa) e dalla sua abilità
nel manipolare le folle. Soprattutto, Pannella ha colpe imperdonabili
sul piano dell’involuzione costituzionale del paese: a
lui (e ad Occhetto e Segni) dobbiamo il colpo di Stato del 1993, quando
la fine del sistema elettorale proporzionale ha aperto la strada allo
sventramento della Costituzione e, paradossalmente alla definitiva
deriva oligarchica del regime: il Parlamento dei nominati ha la sua
premessa logica nella battaglia pannelliana per il maggioritario
uninominale. E, con questo, è stato l’alfiere di un ceto politico senza
qualità, l’élite senza merito.
Né si può tacere la sua grande disinvoltura sul tema della cd questione morale:
fu un gran fustigatore dei costumi, durissimo accusatore delle greppie
di regime, ma la sua battaglia contro i fondi neri dell’Eni, a metà
anni sessanta ebbe come sbocco la costituzione della Radoil, titolare di
due pompe di benzina generosamente concesse da Cefis e che a lungo
provvidero alla sopravvivenza del Pr e sua personale.
Quale sia il giudizio che se ne voglia
dare, Pannella ha attraversato gran parte del settantennio repubblicano,
con una stagione di notevole fortuna fra gli ultimissimi anni sessanta
ed i primi novanta. Un ventennio in cui esercitò un ruolo politico il
cui peso fu sempre superiore alle magre percentuali elettorali che
raccoglieva (e che mai raggiunsero il 4%, con l’eccezione unica ed
effimera delle europee 1999). Molto di quel che è diventato questo paese
oggi, nel bene, ma più ancora nella degenerazione e nella decadenza, è
dovuto a Pannella: l’Italia è diventata, in parte per la sua opera, un
paese più laico, più moderno, ma anche più cinico, più “americanizzato”,
più oligarchico, meno industriale e più povero, diciamolo: più
squallido.
Quanto alla sua eredità, quella di cui andare meno orgogliosi è stato il lascito di un ceto politico che ebbe nel Pr la sua culla originaria: i Rutelli, i Giachetti, i Della Vedova, gli Elio Vito, eccetera eccetera eccetera. Giudicate voi. Un esame storico puntuale e documentato richiederebbe molte pagine che qui ed ora non sono possibili. L’uomo è stato complesso e tanto celebrarlo con scontati encomi quanto liquidarlo con giudizi sprezzanti sarebbe fargli torto. Si impone un giudizio equilibrato che rimandiamo a meno frettolosa occasione ed ambito più consono. Qui ci basta un giudizio breve e sintetico che vede le ombre prevalere sulle luci, ma che comunque indica in Pannella uno dei grandi protagonisti del settantennio repubblicano.
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