70.000 studenti hanno affrontato la prova d’accesso alla facoltà di medicina, per soli 10.000 posti. Uno su 7 ce la farà, poi dovrà affrontare un percorso di studi duramente selettivo e costoso. Se alla fine sarà laureato, ma alcuni avranno abbandonato o molto allungato i tempi, dovrà poi fare la specializzazione, anche quella a numero chiuso e inferiore a quello dei laureati. Mettiamo che i 10.000 ammessi ai corsi siano diventati 8.000 laureati. Bene i posti nelle specializzazioni saranno la metà, quindi solo 4.000 laureati in medicina alla fine potranno fare i medici nel servizio sanitario nazionale, gli altri o smetteranno o faranno i medici precari per il privato o in sostituzione di altri medici.
Insomma dei 70.000 che inizialmente volevano fare i medici, dopo un minimo di una decina di anni, solo 4.000 lo faranno davvero nel sistema pubblico.
Mi direte che una selezione così lunga e costosa è il segno di uno stato che tiene alla salute dei suoi cittadini. Per nulla.
L’associazione dei medici di base annuncia che nei 2-3 anni prossimi 47.000 medici di famiglia andranno in pensione. Con questi ritmi produttivi della nostra università gran parte dei medici pensionati non saranno sostituiti. Ben 14 milioni di persone rischiano di restare senza medico di base. A quel punto dovranno rinunciare a curarsi, o, se avranno i soldi, rivolgersi alla sanità privata.
Ci sono voluti anni di tagli alla spesa, accompagnati dal peggior potere baronale e dalla trasformazione della sanità pubblica in azienda, e alla fine sono riusciti a mandare in collasso un servizio sanitario che nel passato aveva garantito agli italiani il diritto alla salute. Avevano chiamato il sistema fondato sul numero chiuso “programmazione”, ma hanno solo programmato la fine della sanità pubblica.
Abolire il numero chiuso e investire subito tanti, tanti soldi nell’università e nella sanità pubblica, il resto son chiacchiere che nuocciono gravemente alla salute.
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