Giovedì 7 novembre si riunirà il cda per esaminare i conti, il piano industriale e le possibili mosse che la società potrebbe decidere, ovvero un possibile aumento di capitale di pochi spiccioli (1,5-2 miliardi di euro), un taglio dei dividendi e la vendita di Tim Brasil, la vendita di Telecom Argentina (valutata poco meno di un miliardo), il conferimento in apposite società sia degli immobili, dei Data Center e delle Torri di trasmissione (1-2 mld di controvalore), sicuramente insufficienti in considerazione della fragile situazione finanziaria di Telecom Italia.
Tutto questo in attesa della decisione del Governo definitiva sulla riforma dell’OPA obbligatoria e/o golden power, necessaria per bloccare l'ascesa di Telefonica nel capitale di Telecom, con l’intento fin qui solo di facciata di far rientrare la rete fra gli asset strategici per i quali sono previsti poteri speciali per l’interesse e la sicurezza nazionale nel settore delle comunicazioni.
L’unica certezza al momento è che il patto di sindacato che legava soci italiani e spagnoli, è stato rinnovato ma con un nuovo accordo che prevede una probabile disdetta entro giugno 2014 quando Mediobanca e Generali lasceranno completamente la società.
Sicuramente dal cda non uscirà nulla di buono, in quanto l'azienda con queste operazioni cerca di ridurre i costi sempre a danno dei lavoratori, senza un reale rilancio industriale dell’azienda stessa, considerato che i debiti degli azionisti rendono difficile investire con ottica di lungo periodo e Telefonica difficilmente considererà l'Italia come sua principale priorità, la quale ha come reale obbiettivo il suo rafforzamento in Sudamerica grazie a Tim Brasile.
Considerato che oggi si parla della scorporo della rete come motivo strategico per la salvaguardia dei dati sensibili, quindi lo Stato dovrebbe intervenire tramite la CdP per l’acquisto della rete, dopo che negli ultimi dieci anni anche grazie alla penuria di investimenti effettuati la rete stessa è divenuta obsoleta. Riteniamo quindi paradossale che lo Stato, dopo non aver comprato la rete a prezzi alti dagli azionisti italiani, lo faccia ora e regali un mucchio di soldi agli spagnoli. Sarebbe la beffa finale.
Non bisogna neanche dimenticare che la sicurezza delle reti non passa per la rete di accesso che Bernabè voleva vendere alla CdP per 19 miliardi di Euro, bensì anche per la rete di distribuzione e per le centrali, con annessi sistemi di commutazione e di memorizzazione dei dati, vedi Data Center.
Tale ipotesi sarebbe il frutto della cialtronaggine dei nostri “prenditori” e dell’attuale classe politica.
Attualmente dei 3 mila esuberi individuati in Telecom Italia a marzo, 2 mila e 500 sono gestiti con contratti di solidarietà mentre 500 lavoratori lasceranno la società per andare in pensione, avendo maturato i requisiti necessari. Altri 350 lavoratori di Telecom Information Technology sono gestiti con analoghi ammortizzatori sociali.
Questa la situazione di fatto, a oggi, ma la domanda che a questo punto occorre porsi è la seguente: cosa verrà dopo i patti di sindacato per queste società?
E’ vitale la nazionalizzazione di Telecom Italia in quanto impresa di interesse strategico per il Paese, sottraendole ai pescecani che la hanno spolpata negli anni grazie alle compiacenze dei governi di ogni colore e dei sindacati complici garantendone il rilancio occupazionale investendo in una nuova rete a banda larga che permetta di colmare il divario con gli altri Paesi Europei (13% la copertura in Italia e 40% quella negli altri Paesi) e permetterci di cogliere l’obiettivo del 60% nei tempi fissati dall’Europa.
Ci sono infrastrutture essenziali e strategiche come telecomunicazioni, energia e trasporti che vanno gestite con molta attenzione, da loro dipende il funzionamento del sistema paese.
CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE, PER LA RI-NAZIONALIZZAZIONE DI TELECOM ITALIA UNA E PUBBLICA, PER LA DEMOCRAZIA , LO SVILUPPO, IL LAVORO
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