di Michele Giorgio – Il Manifesto
Qualcuno ne parla come
«l’ultima spiaggia» per i civili che vivono nella regione siriana di
Idlib. Altri come una sorta di ”conferenza di Yalta” in cui i capi
politici di tre paesi fondamentali per la crisi siriana – Russia,
Iran e Turchia – delineano l’assetto futuro della Siria. Più
realisticamente il vertice tripartito che terranno oggi a Tehran
Vladimir Putin, Hassan Rohani e Recep Tayyip Erdogan punta a definire
i limiti e l’ampiezza dell’imminente operazione delle forze armate
siriane per la riconquista della regione di Idlib, nelle mani dei
qaedisti di an Nusra, e a garantire che anche gli interessi turchi
saranno salvaguardati. La Turchia punta a convincere russi e
iraniani, alleati del presidente siriano Bashar Assad, a limitare
l’attacco ai soli miliziani qaedisti e a non coinvolgere altre
formazioni armate “ribelli” di fatto agli ordini di Erdogan, come il
cosiddetto Esercito siriano libero, che Ankara ha impiegato di recente
contro i curdi. Idlib e la Siria non sono l’unico tema al centro del
vertice. I colloqui si concentreranno anche – se non
soprattutto – sulla cooperazione economica regionale e sui modi per
mantenere il flusso commerciale di fronte alle sanzioni degli Stati
Uniti che, con motivazioni diverse, prendono di mira tutti e tre i
paesi.
Il summit, nel quadro del processo di Astana e terzo incontro in un
anno tra i tre leader, doveva tenersi a Tabriz. Poi l’Iran ha deciso
per Tehran forse per dargli maggior rilievo. L’obiettivo
immediato dei colloqui è un’intesa volta a salvaguardare i civili
siriani, oltre tre milioni ad Idlib, che rischiano di pagare il prezzo
più alto mentre l’esercito siriano e le formazioni sue alleate
combatteranno i miliziani di al Qaeda (almeno 10mila secondo alcune
fonti) e di altri gruppi armati che da anni controllano la regione,
l’ultima di una certa importanza su cui Damasco non ha ancora
ristabilito la sua autorità. Si vocifera dell’istituzione di
corridoi protetti che i civili in fuga potranno percorrere per
raggiungere aree sicure. Potranno farlo durante gli scontri a fuoco?
Nei mesi scorsi durante l’assedio della regione di Ghouta Est i
miliziani per giorni non permisero ai civili di abbandonare i centri
abitati soggetti ai bombardamenti dei governativi e di approfittare
del passaggio sicuro allestito con l’intervento dei russi.
Mosca vuole un accordo ma non arretra sul sostegno alla volontà di Bashar Assad di liberare Idlib.
E ieri è stata molto chiara su questo. La Russia «ha ucciso, uccide e
continuerà a uccidere» i terroristi in Siria, ha detto la portavoce
del ministero degli esteri Maria Zakharova,
sottolineando che «la pace» deve tornare a regnare nel Paese, «non
importa se si tratta di Aleppo, Idlib o altre parti della
Siria... perché la questione riguarda anche la nostra sicurezza». La
Turchia, che ha condannato gli ultimi attacchi aerei russi e siriani
su Idlib, sostiene che l’operazione militare dovrà distinguere «i
terroristi dai civili». Erdogan in realtà guarda ad altro.
Alle prese con una grave crisi economica, il presidente turco vuole
evitare un nuovo afflusso di rifugiati siriani verso il suo confine.
«Quanti (siriani) verranno in Turchia? Forse due milioni? Forse di
più. Dove andranno i terroristi in fuga? Potrebbero venire in Turchia
o tornare nei loro paesi», aveva avvertito due giorni fa il ministro
degli esteri turco Cavusoglu che ha proposto di condurre operazioni
di intelligence congiunte per identificare i membri di gruppi
terroristici ed eliminarli senza causare vittime tra i civili.
All’Iran preme che il vertice si concluda con intese concrete per aggirare le sanzioni economiche ordinate da Donald Trump. «Erdogan,
Rohani e Putin approfondiranno un piano contro le sanzioni imposte
dagli Stati Uniti, tutti i nostri paesi sono soggetti a queste
sanzioni», ha anticipato ieri al giornale turco al Sabah, un
funzionario politico e religioso iraniano. Tehran punta
all’aumento dell’interscambio commerciale con la Turchia da 10 a 30
miliardi di dollari. E se possibile a definire una politica monetaria
comune – come l’abbandono del dollaro nelle transazioni commerciali –
in risposta alla brusca svalutazione delle valute dei tre paesi a
causa delle politiche di Washington.
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