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20/03/2020

Cina - Elogio dei confini

di Manolo Monereo

"La Cina ha realizzato la gravità del problema del coronavirus, la sua enorme importanza esistenziale e la sua dimensione geopolitica".

"Fra non molto tempo, vedremo la Cina aiutare altri paesi a uscire dalla crisi del coronavirus".

Le crisi rivelano la realtà, la rendono evidente e la superano. Questa esiste "in questo o quel modo", nasconde più di quanto svela e, nel peggiore dei casi, trasforma il fondamentale in secondario o addirittura terziario. I confini sono un segno di libertà e dell'esistenza di uno stato che è più di una semplice struttura di potere; genera identità, sicurezza e un orizzonte di significato; è anche capacità di gestione delle crisi, di efficacia, di mobilitazione delle risorse e del loro utilizzo efficiente. Uno stato forte è questo, garanzia di sovranità contro le oligarchie interne e contro le grandi potenze di un ordine mondiale gerarchico e nella perpetua lotta per il potere.

Quello che dico non è popolare, lo so. Ci sono confini e confini e ci sono stati e stati, ma senza di essi non c'è libertà possibile. Si dirà che non sono di per sé una salvaguardia per le libertà, è vero, ma sono la loro garanzia. Non esiste una repubblica, una società di uomini e donne liberi ed eguali senza uno stato-nazione, senza confini sicuri e senza potere sovrano. Ricordo qui un bellissimo libro di Regis Debray che si intitola In Praise of Frontiers. In esso, il noto intellettuale francese ci racconta l'importanza di un mondo basato sulla diversità, sulla pluralità, sull'esistenza di culture fortemente autonome, nel dialogo permanente con gli altri in un multi-universo che gestisce conflitti e problemi globali. La prima cosa è superare quella vecchia idea occidentale e cristiana di un'umanità definitivamente unificata attorno a un governo mondiale che assicurerebbe un nuovo ordine costruito sulle rovine dei vecchi stati. La domanda è sempre la stessa: quale stato unifica? Quali poteri costruiscono il governo mondiale e contro chi? E quale geocultura finirà per avere l'egemonia?

Quando ho scritto un precedente articolo in cui parlavo della fine della globalizzazione, un amico con cui ho un dibattito politico appassionato e leale, non solo si è opposto alla mia tesi di fondo, ma ha sostenuto che la crisi del coronavirus avrebbe indebolito la Cina, ne avrebbe messo in luce le contraddizioni e infine avrebbe rafforzato gli Stati Uniti in questa rivalità strategica che a malapena nasconde una grande guerra economica. Alcune settimane dopo, le cose vanno chiarendosi.

È vero che, all'inizio, la Cina ha agito in modo disordinato. Come al solito, i portatori di cattive notizie non venivano ascoltati e, peggio ancora, venivano repressi. È un fatto importante che segnala i punti deboli nel sistema. Presto, molto presto, la leadership politica del paese si rese però conto della gravità del problema, della sua enorme importanza esistenziale e della sua dimensione geopolitica. Per quanto lo si voglia ignorare, non è più possibile nascondere che la risposta della Cina al coronavirus è stata spettacolare, rivelando che tipo di stato è, quali strumenti possiede e qual è la sua efficacia sistemica.

La parola chiave è gestione pubblica. Davanti ai nostri occhi abbiamo visto in tempo reale una serie di decisioni politiche organizzate, ordinate e a cascata, mobilitazione di enormi risorse, pianificazione dell'azione e coordinamento delle amministrazioni da una rigorosa disciplina sociale. Una pubblica amministrazione si misura in situazioni di crisi e abbiamo visto una burocrazia efficiente in grado di auto-correggersi nell'attuazione delle decisioni. Anche se è vero che ci sono state dissonanze e che mancano meccanismi per la rilevazione del rischio e i successivi allarmi.

I 1.400 milioni di cinesi continentali sono stati in grado di percepire l'esistenza di un governo che genera sicurezza, protezione e garanzie per il futuro. Si suole distinguere fra la legittimità dell'origine e la legittimità dell'esercizio, ma la legittimità passa in secondo piano a fronte dei risultati che rafforzano e aggiornano entrambe le forme.

È un vecchio tema della cultura politica cinese, vale a dire: che non esiste un governo duraturo e stabile senza il consenso della società nel suo insieme. Ciò che sicuramente non sarà compreso appieno è che dietro uno stato forte c'è il controllo sulla libera circolazione dei capitali, la vera socializzazione degli investimenti e un apparato finanziario di dominio pubblico. La Cina è stata descritta come capitalismo di stato. Dovremo qualificarlo e vedere fino a che punto questo paese è più che il fallimento del percorso cinese verso il socialismo. Samir Amin – con cui mi trovo molto d’accordo – ci ha spiegato più volte che la transizione al socialismo va pensata come un processo storico di lunga durata, pieno di contraddizioni, avanzate, ritirate e fallimenti.

Sì, la globalizzazione inizia a finire. La guerra economica continuerà a un livello ancora più elevato e la rivalità strategico-militare aumenterà. Quelli di noi che da decenni hanno preso sul serio la crisi ecologico-sociale del pianeta sanno che alla sua base c'è il potere e la sua struttura, la sua organizzazione e le sue basi ideologiche. Fantasticare di transizioni armoniose e globalizzanti a fianco giusto delle dinamiche conflittuali delle grandi potenze non sembra troppo realistico; sognare un ordine internazionale democratico e giusto senza trasformare le relazioni sociali di ciò che chiamiamo capitalismo imperialista significa limitarsi a chiacchiere vuote; riproporre, un vertice dopo l’altro, soluzioni senza connessione ai problemi reali, finisce per legittimare il disordine esistente e trasformare l'ambientalismo politico in uno slogan elettorale.

Fra non molto tempo vedremo la Cina aiutare gli altri paesi a uscire dalla crisi del coronavirus, inviando specialisti, mezzi ed esperienza. La Cina non ha mai avuto ambizioni imperiali. Sa che la sua egemonia si baserà sulla capacità di organizzare un mondo multipolare che garantisca un nuovo ordine fondato sulla sovranità degli stati, sulla non interferenza e su relazioni economiche eque e sostenibili. La storia sta accelerando e ci cambierà.

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