Nelle stesse ore in cui la Protezione Civile registrava il più forte aumento di contagi dall’inizio dell’epidemia da virus Sars-CoV-2, apprendevamo che un jet militare, con a bordo un carico di mezzo milione di tamponi, era decollato da Aviano, lunedì 16 marzo, nel primo pomeriggio. In quel momento in Italia erano stati appena censiti quasi 30 mila casi e 2.158 morti mentre negli Stati Uniti i decessi registrati erano solo ed i positivi 4.500.
Una quantità di tamponi dieci volte superiore a quella usata fin qui proprio in Lombardia, regione che oggi è arrivata a contare quasi 20.000 contagiati dal virus Covid-19. Una quantità enorme che, da sola avrebbe coperto tutte le richieste dell’intero nord Italia (in tutto il paese, dall’inizio dell’epidemia, ne sono stati fatti poco più di 100 mila). Eppure 500.000 tamponi sono partiti per gli Stati Uniti dalla base americana di Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, ai piedi delle Prealpi Carniche, circa 15 chilometri a nord di Pordenone.
Dunque, in Italia c’era una gigantesca scorta di test diagnostici, a qualche decina di chilometri dall’epicentro del coronavirus che ha preso il volo per gli USA. Quegli stessi tamponi che le Aziende Sanitarie Regionali stanno cercando in tutti i modi e che non riescono a trovare.
La notizia è stata diffusa in seguito alla pubblicazione su Instagram di un post (poi rimosso) che comunicava l’attività militare in corso accompagnata da una foto della stiva di un quadrireattore C-17 Globemaster dell’Air Force statunitense colma di contenitori con i kit. Notizia poi confermata in via ufficiale dal portavoce del Pentagono, Jonathan Hoffman e dal generale Paul Friedrichs, del comando medico centrale.
A produrre quel mezzo milione di tamponi è stata un’azienda di Brescia, una delle aree più colpite dall’epidemia, la Copan Diagnostics. Lo ha confermato a Repubblica l’ambasciatore USA, Lewis Einsenberg, che intervistato dal quotidiano romano ha precisato: “Gli Stati Uniti continueranno ad acquistare questi tamponi da aziende italiane secondo le proprie necessità. Gli Stati Uniti e l’Italia continuano a lavorare insieme in strettissima collaborazione”.
Dunque, un’azienda bresciana aveva a disposizione una quantità di tamponi sufficiente per le esigenze dell’intero nord Italia, ma li ha venduti agli USA. Come mai? Hanno pagato in anticipo con dollari fumanti? Business as usual?
Si sa che la Casa Bianca aveva già offerto somme altissime per avere l’esclusiva del vaccino sperimentato dai laboratori tedeschi CureVac. Solo che in quel caso è intervenuto il governo centrale tedesco supportato immediatamente dall’Unione Europea che ha stanziato 80 milioni per impedire la fuga del brevetto.
Pare, inoltre, che un’altra scorta si trovi a Camp Darby, alle porte di Livorno – la più grande base militare statunitense presente nel nostro paese – in cui è nota la presenza di magazzini strategici che nei documenti del Pentagono vengono indicati come utilizzabili per “le nazioni ospiti”. Tuttavia, nulla di tutto ciò è stato messo a disposizione del nostro Paese.
Insomma, a Brescia, nel cuore dell’epidemia, dove medici e infermieri lottano ininterrottamente e disperatamente per bloccare il virus, laddove ogni giorno migliaia di persone rischiano il contagio, c’erano tutti questi tamponi ed ora non ci sono più.
Proprio lì, in quella zona compresa tra Bergamo e Brescia, che è una delle zone più industrializzate d’Italia e che registra il più alto numero di contagi e di morti da Covid-19, in gran parte operai. Lo stesso sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, qualche giorno fa, in un’ intervista al Fatto Quotidiano, aveva denunciato le forti pressioni degli industriali locali sul governo e sui vertici della regione Lombardia per non far chiudere le fabbriche.
“Qui tanti contagi, colpa dei padroni delle industrie”, così titolava, martedì 17 marzo, l’intervista apparsa sul Fatto Quotidiano al sindaco di Brescia, che aveva ascritto la responsabilità dell’allargamento dei contagi e delle morti per il Covid-19 proprio alla pervicace ostinazione dai grossi e medi industriali del distretto bresciano nel voler mantenere attiva la “produzione” mentre la Confindustria, dichiarava in un suo comunicato del 10 marzo: “di non assumere decisioni affrettate che provochino la chiusura degli impianti e il blocco dell’attività”.
Mezzo milione di tamponi prodotti e poi fatti sparire da quella stessa zona che pullula di fabbriche e di morti da Covid-19, in cui, in barba alla pandemia in corso, gli operai sono costretti ad ammassarsi prima sugli autobus, sui treni e sui mezzi di trasporto pubblici per recarsi al lavoro e poi, una volta in fabbrica, sono costretti a lavorare gomito a gomito sulle linee di produzione, nel migliore dei casi con una mascherina e qualche vago appello a mantenere le distanze. E tutto ciò per produrre armi o altri beni non essenziali ma ai cui profitti i padroni non vogliono, in ogni caso, rinunciare, costi quel che costi. Anche la vita di migliaia di persone.
Se cercavate un esempio di cosa significa, in pratica, la “la prevalenza dell’interesse privato su quello collettivo”, eccolo qui.
La Lombardia paga non a caso più di altre regioni l’avidità e L’IRRESPONSABILITA’ SOCIALE degli “imprenditori”.
A seguire, il commento di Alberto Negri, decano dei corrispondenti italiani di guerra, giornalista che ha visto di tutto, ma questa infamia proprio gli mancava...
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Tamponi criminali agli Usa, profitti privati e un governo di inetti
In Italia finora sono stati fatti 100mila tamponi. Ma secondo un’informazione di Repubblica, confermata dall’ambasciatore Usa Lewis Einsenberg, l’italiana Copan Diagnostics di Brescia, uno degli epicentri del Coronavirus, ha appena venduto 500mila tamponi agli Stati Uniti, una quantità sufficiente almeno per i bisogni del Nord.
Visto che “siamo in guerra” come ripetono gli inetti che ci governano – che mai hanno visto una guerra – questi tamponi dovevano essere messi a disposizione del nostro Paese che ha avuto persino più morti della Cina. Se è vero quel che scrive Repubblica, altro che “state a casa”, prendiamoli a calci nel sedere.
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