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05/04/2016

Russia e Ucraina: sono solo affari

Si è chiarito ieri a cosa si riferisse il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, gli ultimi giorni di marzo, quando aveva parlato di un “Consorzio internazionale per il giornalismo d’inchiesta”, che stava approntando un attacco informativo “apertamente pilotato”, con “informazioni false o calunniose sul presidente e il suo entourage”, da pubblicare in Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Russia e altrove.

Peskov si riferiva evidentemente ai cosiddetti “Panama papers”, l’elenco di 11,5 milioni di documenti pubblicato ora coi nomi di figure eccellenti che deterrebbero fortune nei paradisi fiscali esteri e sarebbero anche implicati in riciclaggio di denaro. Secondo il portavoce russo l’obiettivo primario del Consorzio è Vladimir Putin; secondo, il target della pubblicazione è l’auditorio interno russo e, terzo, lo scopo è la destabilizzazione del paese in vista delle elezioni alla Duma del prossimo autunno. In riferimento al fatto che nell’elenco compaiano anche nomi di alti funzionari del Cremlino e deputati della Duma, Peskov ha notato che sì, nel documento “figurano anche altri nomi, altri capi di stato e di governo, personaggi sportivi, ecc. Ma è evidente che (…) la punta dell’attacco è indirizzata in primo luogo contro il nostro paese e personalmente contro il presidente Putin”. Il portavoce ha anche sottolineato come nel documento manchi “qualsiasi informazione certa riguardo al presidente. Ci sono i soliti argomenti, insinuazioni, speculazioni, che non hanno bisogno di commenti”. Vi si parla, afferma RT, di “parenti che posseggono compagnie petrolifere”, come se la cosa si riferisse ai familiari di Putin e poi si scopre che si sta parlando del calciatore Messi; si dice che il padre aveva evaso le tasse tramite compagnie offshore, ma ci si riferisce in realtà al premier britannico Cameron; si “scopre” che egli stesso avrebbe nascosto milioni di euro di reddito, ma si tratta del premier islandese Gunnlaugsson. E così via, almeno secondo il governo di Mosca.

A detta del portavoce presidenziale, tra gli autori della pubblicazione figurerebbero ex funzionari del Dipartimento di stato, ex agenti CIA e di altri servizi segreti. Mosca, ha detto Peskov, conosce bene chi finanzia tale Consorzio giornalistico: “è un’informazione  ben conosciuta e che parla da sola”. Come ha notato anche qualche giornalista non appiattito sugli schemi di regime, “stranamente”, in quei documenti non figura alcun nome yankee e il direttore del Consorzio, Gerard Ryle, ha dichiarato alla Tass che in futuro verranno pubblicati anche i nomi degli statunitensi presenti nei papers: al momento lo scopo sembra un altro…

Un po’ di polvere (poca, in verità) è stata sollevata in Ucraina, dato che anche il nome di Petro Porošenko figura nell’elenco della panamense Mossack Fonseca. Alla Rada, il leader del Partito radicale Oleg Ljaško ha dichiarato di voler iniziare una procedura di impeachment nei confronti del presidente, per la “scoperta” dei suoi patrimoni offshore e chiede l’istituzione di una commissione speciale d’indagine sull’esistenza di conti e compagnie offshore segrete a nome del presidente. Nel Buro nazionale ucraino contro la corruzione hanno per ora fatto sapere che non indagheranno sulla reale esistenza o meno degli affari offshore presidenziali. Il diretto interessato, alla maniera renziana, ha giurato su twitter: “Sono la prima carica ucraina e mi approccio con serietà alla dichiarazione dei redditi, al pagamento delle imposte e alla questione del conflitto di interessi. Divenuto presidente, mi sono ritirato dalla gestione dei miei patrimoni, incaricando della cosa una società di consulenza”. Secondo le informazioni trapelate dalla Mossack Fonseca, che fornisce assistenza legale nella registrazione delle aziende offshore, Porošenko non ha invece ancora trasmesso le proprie quote nella dolciaria Roshen, ma ha solo creato per la loro ristrutturazione una società off-shore. Secondo la Tass, nel marzo 2005 Porošenko aveva trasferito ogni sua partecipazione nel “Fondo chiuso di investimento non diversificato Petro Porošenko”, successivamente ribattezzato “Prime Capital Assets” e che comprende le azioni di Porošenko nella International Investment Bank, la Roshen Corporation con patrimoni in Ucraina, Russia, Lituania, Ungheria e Germania, il Canale 5-TV, il cantiere navale “Fucina Lenin” a Kiev e un cantiere navale a Sebastopoli, il 55% nel complesso sportivo “5° elemento” a Kiev, il 49,996% della compagnia assicurativa “Kraina”. Durante la campagna elettorale della primavera 2014, Porošenko aveva promesso di vendere i suoi beni, a eccezione di “Canale 5” e, allo scopo, aveva incaricato la compagnia di investimento Rothschild, in consorzio con il gruppo di investimento ucraino “Capitale d’investimento Ucraina”. A tutt’oggi, scrive la Tass, il presidente non ha mantenuto la promessa.

La settimana scorsa, la classifica annuale di Forbes poneva il presidente al 6° posto tra i cento uomini più ricchi d’Ucraina nel 2015, con un patrimonio di 858 milioni di $, cresciuto di 100 mln solo nell’ultimo anno. Nel marzo scorso, secondo Lenta.ru, Porošenko aveva posto il veto all’adozione da parte della Rada della legge sull’introduzione del sistema elettronico di dichiarazione dei redditi per i funzionari pubblici.

Egli può ben infischiarsene degli oltre 600mila profughi dal Donbass controllato da Kiev e da altre regioni del paese – Dnepropetrovsk, Kharkov e Zaporože – che sono stati privati di ogni assistenza sociale, congelandone o abolendone del tutto il pagamento. Secondo l’ONU, tutte queste persone rischiano di esser provate dello status di rifugiati interni e, di conseguenza, di esser tagliate fuori da ogni assistenza, come accade già, da oltre un anno, ad esempio, per i pensionati che vivono nei territori del Donbass non controllati dalle forze ucraine. In base ai documenti del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, quasi un milione e mezzo di abitanti del Donbass soffrono la fame e di essi, almeno 300mila necessitano di aiuto urgentissimo. Ma è improbabile che i “giornalisti” del Consorzio internazionale o il twitteriano Porošenko avessero in mente la sorte di tali reietti: i primi divulgando i nomi dei grandi evasori, il secondo motivando sul cellulare di servizio le proprie miserie. Porošenko può fregarsene della guerra che le sue truppe conducono ormai da quasi due anni contro i civili del Donbass, intento soltanto a non contraddire il lucreziano “Con il sangue civile ammassano beni, li gonfiano, raddoppiano le loro ricchezze”.

Come che sia, l’inizio della procedura di impeachment ventilata da Ljaško richiederebbe il voto di almeno 300 deputati e la decisione finale sulla destituzione dalla carica presidenziale viene adottata da tre quarti del parlamento, dopo che la questione sarà stata esaminata dalla Corte costituzionale. La boutade di Oleg Ljaško sull’impeachment sembra dover fare il paio con la dichiarazione sulla sua “disponibilità” a ricoprire la carica di primo ministro. Ma, a Washington lo sanno?

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