Nessun coccodrillo per la morte di Mubarak. Coccodrillo era lui, e fingeva di piangere mentre divorava i suoi figli. Non Gamal e Alaa, i due discendenti legittimi e viziati perché rampolli del raìs, e al suo fianco ladri di risorse e futuro per i coetanei e per i più giovani ancora. Diversamente da altre satrapìe mediorientali il babbo non riuscì a piazzarli al posto suo. In realtà ci aveva provato con Gamal ma nove anni fa, quando doveva festeggiare i trent’anni di potere personale e di lobby, la rivolta di Tahrir incendiò le strade del Cairo. Mubarak provò a fermarla facendo uccidere più di ottocento manifestanti. Non ci riuscì e se ne andò. Arrestato, doveva essere impiccato. Lo salvarono la casta militare, da cui proveniva, e i giudici sempre ossequiosi al potere, e per l’allora ottantaduenne Hosni giunse la sentenza all’ergastolo, da scontare in una caserma dell’esercito, poi finita ai domiciliari perché si diceva che l’anziano presidente stesse “per morire”. Quindi tre anni fa grazie a Sisi, uno degli epigoni di divisa che più e meglio di lui sta schiacciando libertà e speranze degli egiziani, Mubarak tornò nella sua casa a Heliopolis. Oggi, dopo un ricovero in ospedale nel fine settimana, il presidente che più a lungo ha governato il grande Paese arabo ha cessato di vivere. Aveva 91 anni.
Pilota dell’aeronautica militare, era vicepresidente di Anwar Sadat quando questi nel 1981 venne assassinato. Gli subentrò al comando d’una nazione che già aveva stretto una ferrea alleanza con gli Stati Uniti. Nel giro di tempi non lunghi anche i rapporti con Israele divennero distesi a tutto discapito dei palestinesi, soprattutto della Striscia di Gaza, di cui l’Egitto mubarakiano divenne il carceriere sulla frontiera meridionale per compiacere Tel Aviv e Washington. Ma, anno dopo anno, un sistema di clientele di corpo, quello delle Forze Armate che controllano una gran quantità di attività economiche – dalla manifattura all’agricoltura, dalle costruzioni al turismo – fu convertito anche in sistema di accaparramento personale, col raìs in prima fila assieme a sodali quali Shafiq. Per la cronaca diventata storia recente, quest’ultimo fu l’ex militare prestato alla politica su cui l’entourage del presidente disarcionato aveva fatto convergere i voti dei foloul per la sfida all’islamista Morsi alle elezioni del 2012.
Il trentennio di Mubarak può essere ricordato come uno scenario politico di servilismo agli interessi dell’imperialismo in cambio, appunto, di mani libere per ruberie e corruzioni interne ai danni d’una popolazione sempre più impoverita e intimorita dalle angherie di polizia e servizi segreti. Le stesse proseguite e ampliate dal generale-golpista ora al comando.
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