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13/03/2020

Lagarde spiega che l'”Europa” non esiste

Prima di ieri Christine Lagarde era nota soprattutto per esser stata direttrice del famigerato Fondo Monetario Internazionale. Ma era considerata “un politico” (il genere a quelle altitudini non conta...), non “un tecnico”, a significare che la sua capacità decisionale dipende non da una competenza economica autonoma (come nel caso di Mario Draghi), ma dal “fiuto” nel saper comprendere chi comanda.

Del resto, la sua carriera non ha subito intoppi neanche in seguito alla pubblicazione di una sua lettera a Nicolas Sarkozy, predecessore di Macron alla presidenza francese, che ne rivelava – ad essere signori – il suo carattere servile.
“Caro Nicolas,
molto brevemente e rispettosamente:
Sono al tuo fianco per servire te e i tuoi progetti per la Francia
Ho fatto del mio meglio e posso aver fallito, qualche volta. Te ne chiedo perdono.
Non ho ambizioni politiche personali e non desidero diventare un’ambiziosa servile come molti di coloro che ti circondano: la loro lealtà è recente e talvolta poco durevole.
Usami per il tempo che serve a te, alla tua azione e al tuo casting.
Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace; senza sostegno, rischio di essere poco credibile.

Con la mia immensa ammirazione, Christine L.”
Il tono di una lettera destinata a restare riservata rivela meglio di una confessione pubblica che, nell’establishment del potere multinazionale, “si fa così”, ci si relaziona tra superiori e sottoposti, senza obiettare nulla, mai, neanche in caso di (prevedibile) scarico per esigenze politiche. Tanto si potrà essere recuperati e premiati alla prima altra occasione utile, si fa parte di una “riserva” da cui pescare.

Uno stile, insomma, che rivela la qualità – a voler essere signori – di queste persone.

La premessa era necessaria per avere ben chiaro chi è colei che ha incentivato ieri il disastro sui mercati. Una “domestica del capitale finanziario internazionale”, da poco tempo innalzata al vertice della Bce al posto proprio di Mario Draghi.

Un effetto disastroso concentrato – secondo le cronache – in una frase: «Non siamo qui per ridurre gli spread. Non è la funzione della Bce. Ci sono altri strumenti e altri attori per gestire queste questioni».

Le reazioni sono state immediate e feroci, costringendola a rettificare, il che in genere è anche peggio. Se non altro per la dignità personale. La mazzata definitiva è arrivata poi con la rivelazione che quella frase non era nemmeno una sua pensata, ma la ripetizione pura e semplice di quel che – prima di arrivare in conferenza stampa, a Francoforte – aveva sussurrato ai cronisti uno dei suoi teoricamente subordinati colleghi nel board della Banca Centrale Europea (Bce), Isabel Schnabel, terminale del presidente della Bundesbank tedesca, Jens Weidmann.

Un pupazzo in mano a un ventriloquo cattivissimo, che in pratica voleva far sapere ai “mercati” che non ci sarà alcuna azione di politica monetaria per tutelare almeno in parte i paesi più in difficoltà. Non solo o non tanto per la situazione dei conti pubblici, ma in piena crisi di coronavirus, una pandemia che naturalmente sta colpendo in modo duro anche la popolazione del “puparo deutsche”.

La traduzione immediata non poteva essere che il “si salvi chi può”, con le borse – già in crisi – che prendevano la curva della picchiata: Milano scendeva a –16,92%, Londra arretra del 9,81%, Francoforte del 12,21% e Parigi dell’12,28%. Wall Street subito dopo seguiva la scia, lasciando sul terreno il 10%.

Scene di panico che non si vedevano dal 2008, dal crack di Lehmann Brothers, e che sono comunque da giornate “storiche”...

Persino un europeista assolutamente convinto come Sergio Mattarella si sentiva costretto a vestire i panni del “sovranista nazionalista” e chiedere conto a tutta l’Unione Europea della scempiaggine del presidente Bce e, indirettamente, delle reali intenzioni della Germania: «L’Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del Coronavirus sarà probabilmente utile per tutti i Paesi dell’Unione Europea. Si attende quindi, a buon diritto, quantomeno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possano ostacolarne l’azione».

Le parole sono quelle di un innamorato che si sente tradito... Possibile che, “animo solidale” o no a parte, neppure il comune interesse sia più nella mente delle massime istituzioni europee?

La realtà si andava improvvisamente affermando, stracciando il velo della retorica “europeista”. Le regole idolatrate si rivelano per quel che sono: un sistema per incentivare la concorrenza interna ai paesi europei, per incrementare le potenzialità di un modello di sviluppo finalizzato alle esportazioni. Di cui la Germania, per come sono state ridisegnate le filiere produttive a valle della crisi precedente, è il beneficiario assoluto.

Quel modello era a sua volta già entrato in crisi (il Pil tedesco è quasi a zero da più di un anno, con trimestri apertamente negativi), ma non ha più alternative, visto che ha bruciato i ponti alle sue spalle (il “modello keynesiano” che aveva imprintato il “modello sociale europeo” del dopoguerra). Ponti non teorici, ma fatti di istituti, regole, distribuzione della spesa pubblica, welfare, funzione economica dello Stato, proprietà pubblica di aziende nei settori strategici, ecc.

E dunque la “voce dal sen fuggita” – tra Lagarde e Schnabel – arrivava a confermare che l’edificio europeo sta insieme con lo scotch.

Le dichiarazioni che sono arrivate subito dopo erano tutte tese a mettere una toppa su una voragine aperta sotto la credibilità dell’unica istituzione europea che aveva, in passato, dimostrato qualche capacità operativa: la Bce. Una capacità raramente positiva sul lungo periodo (a parte l’ultra citato “whatever it takes” con cui Draghi aveva “salvato l’euro”, nel 2012, un secolo fa...), ma comunque un “fare qualcosa” che alla Commissione (il “governo” continentale) quasi mai viene in mente. O riesce.

È stata soprattutto Angela Merkel a dare la linea: «non si può dire all’Italia in questa situazione di non investire nel suo sistema sanitario. È chiaro che le spese su questo debbano avere una precedenza». Anche perché dire a un Paese squassato da un’epidemia “dovete tagliare ancora la spesa sanitaria” avrebbe un po’ troppo l’odore di “soluzione finale”. Di Zyklon B, insomma...

E quindi «La situazione è straordinaria e la possibilità di usare la flessibilità è già contenuta nel patto. Ci coordineremo con il governo italiano».

Immediatamente anche da Bruxelles si faceva eco, arrivando ad ipotizzare l’impensabile, ossia che lunedì, quando si riuniranno i ministri economici dell’Ecofin, la Commissione proporrà la sostanziale sospensione del Patto di stabilità per far fronte alle circostanze eccezionali determinate dalla epidemia del coronavirus. A formulare la proposta dovrebbe essere ovviamente il commissario agli affari economici, che – guarda un po’ – è Paolo Gentiloni, ex premier piddino.

Questa coincidenza può sembrare una fortuna, ma nel fosco mondo di Bruxelles apparirà come una “torsione interessata” di decisioni che dovrebbero restare “neutre”. Insomma, un favore all’Italia. È in fondo la critica costante che Germania e Olanda hanno rivolto per otto anni alla gestione Draghi della Bce, fino ad ottenere una Lagarde in regalo...

Quel che colpisce, in questo quadro, non è soltanto la piccineria dei personaggi che dovrebbero essere la crème de la crème dell’establishment continentale. In fondo, se al capitale multinazionale servivano dei servi, non è che potessero “arrivare” degli statisti di vaglia.

No. Quel che colpisce e preoccupa è l’assenza totale di un pensiero – da cui discendono iniziative e nuovi strumenti operativi – differente dalla semplice ripetizione del già fatto. Un po’ più “flessibile”, per usare le parole della Merkel, ma solo per tornare appena possibile a quell’”ordine immobile” che ha facilitato, se non direttamente causato, questo disastro.

Per questo, come abbiamo detto a inizio crisi, da qualsiasi lato lo si esamini, questo edificio non tiene più. Non arriverà intatto alla fine della crisi... ma quel che ne verrà fuori dipende anche da noi, altrimenti sarà solo il peggio.

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