Il nuovo governo ucraino guidato dall’ex speaker della Rada e perno della formazione presidenziale “Blocco Porošenko”, Vladimir Grojsman, è insediato. Il girotondo delle dimissioni annunciate e poi forse rinviate di Arsenij Jatsenjuk è terminato. Con il voto di conferma della Rada cadono le voci su una mozione di sfiducia presentata da alcuni deputati al momento dell’affidamento dell’incarico a Grojsman: secondo la Costituzione ucraina, il governo è ora al sicuro per 12 mesi da ogni sfiducia.
La spina dorsale della nuova formazione è costituita da uomini del presidente, oltre che da stretti collaboratori del dimissionato Arsenij Jatsenjuk e del nuovo premier. Porošenko ha personalmente assicurato al vice presidente USA Joe Biden, che da qualche mese sta dirigendo l’operazione di sostituzione dell’ormai squalificato Jatsenjuk, che il nuovo esecutivo proseguirà sulla strada delle “riforme” dettate dal Fondo Monetario Internazionale, condizione essenziale affinché “l’Ucraina conservi il sostegno internazionale”. I segnali di scontento nei confronti del governo Jatsenjuk, infatti, da parte di banche e creditori europei e statunitensi si erano fatti sempre più espliciti. Porošenko ha anche garantito a Biden che il governo adempierà agli accordi di Minsk: dichiarazione che, ormai da un anno, fa da sfondo a ogni nuova ondata di attacchi e bombardamenti ucraini sul Donbass.
Il ricambio al vertice – se ne parlava già un anno fa, allorché era stata ventilata l’ipotesi di un gabinetto guidato dalla yankee-ucraina Natalja Jaresko, con Jatsenjuk a guidare la Banca centrale – non era più considerato rinviabile dai creditori internazionali, in vista della concessione a Kiev della terza tranche di fondi USA di garanzia per 1 miliardo di $. C’è inoltre la questione del credito di 17 miliardi di $ del FMI: dopo la concessione delle prime due tranche (rispettivamente 3,2 e 1,7 mld $) la terza, prevista per il dicembre scorso, era stata sospesa a tempo indeterminato. La Jaresko stessa, d’altro canto, non fa parte del nuovo governo. Lo guiderà a distanza, “tornando però in Ucraina”, ha detto lei stessa. Stando alla Tass, partecipando ieri a Washington alla riunione del FMI e della banca mondiale, Natalja-Dipartimento-di-stato-Jaresko ha osservato che il nuovo governo è “politico”, a differenza del precedente, in cui prevalevano i tecnocrati, con “cinque ministri provenienti dal mondo degli affari”. Jaresko ho comunque indicato che il nuovo governo debba continuare nelle “riforme”: deregulation economica, privatizzazioni, riduzione delle tasse (al business) e delle tariffe doganali (al business straniero) e, a tempo perso, lottare contro la corruzione. Su questa linea Grojsman ha in effetti abbozzato il programma del nuovo governo: una perfetta rimodellatura del programma della Timošenko di 13 anni fa.
Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, ha “altamente apprezzato” la collaborazione bilaterale tra Parlamento europeo e Rada suprema nel periodo in cui questa è stata guidata da Grojsman e Federica Mogherini ha espresso “sostegno all’Ucraina di fronte alle sfide odierne”. Grojsman, da parte sua, ha assicurato di proseguire sulla via delle “riforme” e accelerare la revisione strutturale dello stato ucraino. L’ambasciatore USA a Kiev, Geoffrey Pyatt, con il caratteristico “spirito pratico” e approccio diretto yankee, ha ricordato che “Più di una volta ho detto che è meno importante chi fa parte del governo, piuttosto che il programma di questo nuovo governo. L’importante è che il premier usi tale impulso per condurre le riforme proposte dal FMI e quelle previste dall’Accordo di associazione dell’Ucraina alla UE”.
E dunque, nel nuovo gabinetto, a parte la sostituzione di Jaresko con l’ex consigliere del presidente Janukovič, Aleksandr Daniljuk, 9 Ministri mantengono l’incarico – tra questi, il Ministro degli interni Arsen Avakov e gli altri Ministri in rappresentanza del “Fronte popolare” di Jatsenjuk, che giorni fa avevano minacciato l’uscita dalla coalizione – e ne entrano 14 nuovi. A differenza del gabinetto precedente non c’è nessuno straniero. Posti chiave quali il Ministero della difesa e quello degli esteri sono rimasti in mano agli uomini del presidente: Stepan Poltorak e Pavel Klimkin. Speaker della Rada rimane un altro uomo del presidente, Andrej Parubij, che ha già proposto l’introduzione dei visti nei confronti della Russia. Un vice premier si occuperà delle “questioni europee e dell’integrazione euroatlantica”. Perché non ci siano dubbi su come Kiev guardi all’adempimento degli accordi di Minsk, è stato creato un Ministero “per gli affari dei territori occupati”, guidato da un altro vice premier, Vladimir Kistion. Dalla Repubblica Popolare di Donetsk ritengono che il nuovo governo non sia in grado di far uscire l’Ucraina dal caos politico, ma rappresenti solo “un corso più fedele alla linea presidenziale”. Caute, per ora, a quanto pare, le reazioni russe. All’antivigilia del voto della Rada, il presidente della Commissione esteri della Duma, Aleksej Puškov, aveva detto di attendersi dal nuovo premier un minimo di costruttività o, quantomeno, di neutralità, nei rapporti con Mosca.
Osservatori ucraini notano comunque che il nuovo gabinetto rappresenti soltanto un accordo temporaneo e non escludono elezioni anticipate nel giro di sei mesi o anche meno. Per il momento sembrano messe a tacere le voci secondo cui l’ex premier correva il rischio di un’incriminazione con l’accusa di aver intascato bustarelle per 3 milioni di $ come compenso per la nomina di Vladimir Iščuk a capo del Consorzio statale per RadioTV. Forse a questo si riferiva lui stesso quando Porošenko gli aveva assicurato l’immunità, in risposta a una proposta di messa in stato d’accusa avanzata da Julija Timošenko che pare non aver perso tempo a chiedere la verifica di costituzionalità sul voto di fiducia al programma del nuovo esecutivo.
E’ opinione concorde degli osservatori, che la parola fine al gabinetto Jatsenjuk fosse stata posta durante il recente viaggio di Porošenko a Washington e il suo incontro con il vice presidente Joe Biden. Anche l’ex presidente georgiano e attuale governatore di Odessa Mikhail Saakašvili, col consueto fare da “primadonna”, si è attribuito il merito dell’uscita di scena di Jatsenjuk, con cui da oltre un anno conduceva una guerra per il controllo di importanti settori economici (porti, aeroporti, condotti energetici) e in cui l’ex premier aveva quale alleato l’oligarca Igor Kolomojskij, mentre Saakašvili era formalmente appoggiato da Porošenko.
Il diretto interessato ha presentato la sua uscita di scena come di quella di un “eroe”: “Abbiamo fatto praticamente l’impossibile, abbiamo difeso il paese, formati nuovi esercito e polizia, abbiamo reso l’Ucraina indipendente energicamente dalla Russia, difeso l’economia dal default….”. Troppo facile ribattere punto per punto a tale propaganda. Il “rinnovamento” di cui parla Jatsenjuk passa per la riabilitazione dei collaborazionisti filonazisti di UNA-UNSO, cui un contributo non indifferente è stato dato da Petro Porošenko, con l’istituzione delle feste nazionali a ricordo di UPA, OUN e della data di nascita del loro leader Stepan Bandera; quel Porošenko che, secondo Pravda.ru, è de facto anche il capo del nuovo governo, con Vladimir Grojsman quale premier solo de jure. In ogni caso, una fedele pedina di Washington, anche se, forse, non esattamente di quel settore che appoggiava direttamente Arsenij Jatsenjuk.
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