In mancanza di informazioni strutturate, di documenti scritti e di
progetti espliciti, si deve necessariamente lavorare sugli indizi. Un
metodo che vale per chiunque indaghi la realtà, non solo per “gli
inquirenti” pagati dallo stato.
Indizi che valgono quanto i puntini su un foglio di carta, che ad un
certo punto possono essere collegati tracciando delle linee fino a
restituire una forma riconoscibile.
Nella storica crisi della politica, che in Italia ha preso le
forme della fine alla “seconda repubblica” berlusconiana, su input della
Troika (Unione Europea, Bce, Fmi), alcuni puntini riguardano
l’ordinaria repressione dei conflitti e dei movimenti, altri la
rappresentanza politica in generale. Eppure mostrano, messi insieme e
collegati, un disegno decisamente chiaro.
Conflitto. Prendiamo l’esempio della Val Susa (anche se il
discorso non riguarda ovviamente solo il Movimento No Tav). Qui la
repressione si manifesta sempre più spesso non solo con arresti, fermi,
perquisizioni arbitrarie, controllo asfissiante del territorio e della
popolazione, ma con sanzioni economiche pesantissime. Alcuni
rappresentati noti del movimento si son visti recapitare ordinanze di
risarcimento per decine o centinaia di migliaia di euro. Cifre che
preludono esplicitamente al sequestro delle case di proprietà (per chi
le ha, e del resto il 70% circa della popolazione risiede in case di
proprietà, quindi questo “possedere” non implica alcun privilegio o
status da classe “superiore”). Fin qui il movimento è stato capace di
reperire le risorse per far fronte anche su questo versante, ma è chiara
l’indicazione dell’esproprio e della riduzione in miseria come
punizione per gli attivisti. E sul lungo periodo è intuitivo comprendere
che le difficoltà di questo tipo potrebbero diventare insuperabili per
chiunque faccia politica antagonista.
Spazi sociali. L’esempio di Roma sotto il prefetto commissario
Tronca è praticamente un format. Tutta una serie di associazioni,
collettivi, organizzazioni sociali, centri culturali, a prescindere
completamente dalla loro “qualità antagonista”, si sono visti presentare
ordinanze di chiusura anche in presenza di delibere “storiche” che
assegnavano loro determinati spazi a un canone “sociale”, ovviamente
commisurato a delle attività senza fini di lucro o commerciali. Per
rimanere aperti ed attivi questi organismi dovrebbero ora pagare affitti
“di mercato”, ricalcolati retroattivamente. In pratica, centinaia di
migliaia di euro, in alcuni casi addirittura milioni. Anche su questo
fronte, dunque, c’è una evidente intenzione di impedire per via economica qualsiasi attività politico-culturale che non sia perfettamente allineata con il potere dominante.
Se gli unici indizi fossero solo quelli fin qui elencati, non
potremmo trarne conclusioni politiche generali. Sarebbero solo uno
strumento repressivo in più, fetido perché nasconde il manganello sotto
le ragioni “obiettive” del mercato, subdolo perché prova a spazzar via
una costellazione di soggettività politico-sociali senza neanche dover
ricorrere a una legislazione apposita. Ma nulla di più.
E invece sta maturando qualcosa di ancora più indicativo.
Legge sui partiti e primarie obbligatorie. C’è un disegno di legge presentato dal Pd che sintetizza al meglio la direzione di marcia. Ma lasciamo volentieri la parola al confindustriale Sole24Ore per la presentazione:
I Cofferati e (forse) i Bassolino non ci saranno più. Il Pd ci prova a mettere ordine nel caos primarie con una proposta di legge illustrata ieri dal renzianissimo Andrea Marcucci, autore della proposta assieme al senatore Mirabelli e ai deputati Fanucci e Parrini. «Il presupposto che le primarie le rispetti solo se le vinci non va più bene», spiega Marcucci facendo intendere qual è il dente che più duole al Pd. Lo strumento trovato è questo: all’atto della presentazione della candidatura occorrerà presentare una cauzione che non verrà restituita in caso di non accettazione delle regole e dei risultati.
In pratica: se vuoi concorrere, accetti di perdere qualsiasi sia la
quantità di brogli che verranno riscontrati da tutti ma non dalla
commissione elettorale del partito, altrimenti non ti ridiamo i soldi
della cauzione. La quale – in assenza per ora di cifre nero su bianco –
sarà presumibilmente abbastanza alta da rendere quella perdita
insopportabile per lo sventurato trombato alle primarie col trucco.
Ok, direte voi, cavoli del Pd e di chi sarà così matto da candidarsi
contro Renzi e i suoi protetti, che porteranno certamente ai gazebo orde
di migranti bisognosi di qualche spicciolo, malavitosi ed esponenti
della destra (come quelli filmati a Napoli), truppe cammellate di varia estrazione (magari orfane di Buzzi e Carminati).
E invece no, sono cavoli di chiunque d’ora in avanti voglia far
politica normale, partecipando – addirittura! – alle elezioni di vario
livello.
“… la proposta è ben strutturata e si ispira all’esempio americano, a cominciare dal fatto che si prevede un giorno unico per i “gazebo” di tutti i partiti per un costo di 15 milioni di euro per un periodo di 3 anni. Costo sostenuto da un fondo pubblico ad hoc (da qui la facile critica dei grillini, che accusano il Pd di volersi fare le sue primarie con i soldi dei contribuenti). Nella proposta di legge sono previste primarie per tutte le cariche monocratiche elettive (sindaci, presidenti di regioni, sindaci metropolitani) e le stesse regole possono essere adottate anche per la scelta del leader di partito che per quanto riguarda il Pd diventa automaticamente candidato premier alle elezioni politiche. Naturalmente le primarie non sono imposte. Ma è prevista una sanzione non indifferente per i partiti che decidono di non ricorrervi: la perdita dell’accesso al meccanismo del 2 per mille e agli sgravi fiscali previsti dalla legge sul finanziamento dei partiti.
Insomma, diventerebbero obbligatorie nei fatti. Manca, nella
presentazione del testo, una descrizione del metodo da usare (solo per
gli iscritti a quel partito? Oppure aperte a tutti con la certezza che
arriverebbero ai seggi tutte quelle truppe cammellate che votano il
candidato più comodo per il governo?).
Vero è che, nel disegno di legge, si prevede che le primarie debbano
svolgersi tutte nello stesso giorno, ma chi può impedire a un branco di
“elettori” che abbia appena votato in piazza Duomo per un partito di
passare in San Babila per votarne un altro? E il riscontro incrociato
tra i votanti per i vari partiti, da chi verrebbe effettuato? E in
quanto tempo? E come si potrebbero distinguere, una volta registrati
come voti validi, le preferenze “incongrue” depositate da gente che non
avrebbe avuto diritto a votare?
Ma queste sono preoccupazioni in fondo quasi secondarie. Il tema principale è il taglio dei fondi –
perdita dell’accesso al 2 per mille e agli sgravi fiscali – per tutti
quei partiti che dovessero scegliere il proprio candidato senza farselo
selezionare dall’avversario (com’è avvenuto con Paita, Valente, Sala e
soprattutto con lo stesso Renzi). Insomma, senza primarie “aperte”.
In pratica, alla fine di questa corsa, l’intento è chiaro: possono sopravvivere solo i comitati elettorali (chiamarli partiti pare ormai davvero un insulto) con alle spalle poteri economici che si possono permettere di investire qualche milione o più per conquistare una poltrona.
Da cui ovviamente trarre, con gli interessi, la cifra spesa per
conquistarla. Altro che “rottamazione dei professionisti della politica”
(peraltro già avvenuta…), qui si spalancano le porte ai professionisti
della rapina delle risorse pubbliche! Anzi. L’accesso alla “politica”
resterebbe permesso soltanto a loro.
Ma se persino al livello della “politica normale” il criterio del
censo diventa l’unico parametro effettivo, allora dovrebbe esser chiaro
per tutti che quel “prendere per fame” movimenti e soggetti politici
d’opposizione è, nella testa del Pd – ovvero della classe dirigente
incistata nel peggiore affarismo clientelare e legittimata dall’Unione
Europea –, un progetto di desertificazione politica totale. Un fascismo
senza marcette militari, eja eja alalà e olio di ricino, forse. Ma
altrettanto pezzente, nauseabondo e criminogeno.
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