Ho visto, e sperimentato di persona, cosa può produrre una, tutto sommato banale, nevicata, in
un tutto sommato ancora (per poco), paese industriale “avanzato”. Al di
là dei soliti lai dei mass media, che lasciano il tempo che trovano, mi
sono trovato a riflettere, in un treno ad alta velocità fermo in mezzo alla neve, sulla fragilità delle nostre società. Riflessione stimolata da un articolo sul Fatto,
di quel giorno, a firma Massimo Fini, che a sua volta rifletteva su un
elemento correlato: la perdita progressiva della nostra manualità umana.
Non siamo più capaci di fare niente con le nostre mani. Non siamo più capaci di praticare l’agricoltura. Il pollice è diventato dominante, quanto a trepestare sui tasti del cellulare, ma la mano non riceve più dal cervello ordini sensati che non siano quelli di usare coltello e forchetta.
Ho pensato che le nostre società sono diventate così complesse e
costose, che se dovessimo essere costretti, da qualche imprevisto, a
rinunciare collettivamente all’energia elettrica per più di tre giorni
le nostre società cadrebbero nel panico e i morti si conterebbero non più a decine ma a centinaia di migliaia.
Complesse e costose. Abbiamo scelto l’alta velocità
(lasciamo pure perdere la Val di Susa, dove la scelta è talmente
insensata che non varrebbe nemmeno più la pena di parlarne se non fosse
che il governo ha militarizzato, per farla, trenta comuni) senza nemmeno
renderci conto che, più veloci andiamo, più quelle stesse macchine (e
tutto il complicatissimo e costoso meccanismo che le fa muovere)
diventano fragili come il vetro. Treni e scambi e rotaie,
che potrebbero benissimo funzionare in condizioni di velocità
tradizionali, diventano improvvisamente inabili a fronteggiare
situazioni di emergenza, con il risultato che, invece di andare più veloci, restiamo fermi.
Il tutto di fronte alla prospettiva, serissima, che proprio ciò aumenta
la probabilità di accadere nell’arco breve delle nostre vite. La crisi energetica,
che facciamo tutti finta di non vedere, è appena dietro l’angolo. Le
implicazioni che comporterà – sottolineo: nell’arco della vita nostra e
dei nostri figli – saranno gigantesche.
Ma noi continuiamo a andare avanti, come dei dementi senza destino,
a costruire complessità, facendo terra bruciata dietro le nostre
spalle. Cioè facendo terra bruciata davanti al futuro dei nostri
figli. Quando parli di “decrescita” sorgono
rabbiose le urla degli sviluppisti a tutti i costi. E il governo dei
tecnici, che ci sgoverna come il precedente governo dei puttanieri e dei
ladri, ci promette ancora “crescita”.
Prima ancora di dire a Mario Monti che è un bugiardo, perché promette una crescita che non ci sarà, gli darei dell’irresponsabile.
Gli direi: caro Monti, lei ci sta minacciando, con la sua crescita. Non
la vogliamo la sua crescita. Vorremmo re-imparare a fare crescere i pomodori e le patate, perché sta venendo il tempo in cui non le troveremo più nel negozio sotto casa.
Fonte.
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