Lo scorso anno scrivevo che "sarebbe potuta andare anche peggio".
È quello che è successo nel 2024.
Poco tempo, quindi pochissimi ascolti. Una situazione che nemmeno l'immediatezza - disordinata e spuria, va detto - di Spotify è riuscita a tamponare.
Dunque che resta di questo 2024?
Certamente l'ennesima uscita inutile dei Pearl Jam, il disco della normalizzazione cosmopolita dei Fontaines DC, anniversari illustri, ma pure la "scoperta" di Battiato e dei Police. Questi ultimi in particolare hanno coperto la parte maggioritaria dei nuovi ascolti dell'anno.
Auspico un 2025 più stimolante...
31/12/2024
Capisaldi 2024
L'eredità di Jimmy Carter
Dopo essersi laureato all'Accademia navale degli Stati Uniti nel 1946, Carter fu in servizio attivo nella Marina dal 1946 al 1953, prima di prestare servizio nelle riserve dal 1953 al 1961.
Una delle eredità più durature di Carter come presidente fu l'inizio del coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Afghanistan, con la sua amministrazione che ha supervisionato l’armamento e l’addestramento dei ribelli islamici contro il governo alleato dei sovietici nel paese dal 1978, aprendo la strada all’ascesa dei talebani e di Al Qaeda e provocando Mosca a lanciare una costosa campagna militare per sostenere il governo afghano contro la minaccia jihadista.
La strategia di destabilizzare i partner strategici di Mosca attraverso il sostegno ai gruppi islamici fondamentalisti sarebbe diventata un punto fermo della politica del blocco occidentale nei decenni successivi, inclusa la Jugoslavia negli anni ’90 e la Siria negli anni 2010 e 2020, in entrambi i casi con grande successo.
L'amministrazione Carter segnò anche l'inizio di relazioni ostili tra gli Stati Uniti e l'Iran, in seguito al rovesciamento della dinastia iraniana Pahlavi nel 1979 e alla formazione di una Repubblica islamica, con la Casa Bianca che formò una stretta partnership strategica con il nuovo governo iracheno del presidente Saddam Hussein che invase l'Iran nel 1980. Da allora le relazioni tra Washington e Teheran sono rimaste di basso livello, con l'anno 2024 che ha visto di gran lunga la più grande serie di scontri armati tra gli Stati Uniti e le risorse missilistiche e aeree iraniane nella storia.
Un'eredità meno nota dell'amministrazione Carter è che fu la prima a rivelare al mondo lo sviluppo di bombardieri stealth per l'aeronautica degli Stati Uniti. Il 22 agosto 1980 l’esistenza della tecnologia stealth fu annunciata dal Segretario alla Difesa Harold Brown, che dichiarò: “Non è troppo presto per dire che renderemo i sistemi di difesa aerea esistenti sostanzialmente inefficaci, ciò altera significativamente l’equilibrio militare”.
La decisione di annunciare lo sviluppo della nuova tecnologia è stata considerata una risposta alle critiche rivolte alla decisione dell'amministrazione nel suo primo anno di mandato di annullare lo sviluppo del bombardiere supersonico B-1, citata dagli oppositori politici per sostenere che il presidente Carter era compromettente per le difese americane.
La modernizzazione delle difese aeree sovietiche, tuttavia, aveva reso gli aerei come il B-1 progettati per penetrare nello spazio aereo del Patto di Varsavia effettivamente obsoleti, con l’amministrazione Carter che invece stanziò fondi per sviluppare il caccia d’attacco F-117 e il bombardiere strategico B-2. Entrambi questi programmi hanno aperto la strada a capacità stealth avanzate che hanno reso i velivoli più resistenti in guerra.
Sebbene Carter possa essere ricordato soprattutto per le azioni della sua amministrazione in Afghanistan, dove furono sperimentati metodi offensivi nuovi e altamente non convenzionali, il fatto che le capacità stealth siano oggi sinonimo di aerei da combattimento con equipaggio all'avanguardia rende la sua amministrazione significativa per aver portato le tecnologie attraverso i loro primi test di volo e in fasi di produzione in serie nell'ambito del programma F-117 in particolare.
Fonte
Palantir comincia la guerra civile nella difesa americana
Nei racconti di Tolkien i Palantir sono le pietre veggenti e vedenti presenti nel Signore degli Anelli il cui nome significa “coloro che vedono lontano”. In linea con il testo “Magical Capitalism”, di Moeran e De Waal Malefyt, che vede il magico delle narrazioni come un potente strumento di valorizzazione del brand delle piattaforme, a inizio anni 2000 i Palantir hanno dato il nome all’omonima azienda. Palantir Technologies si occupa di analisi dei big data e di piattaforme di gestione dell’intelligenza artificiale. Palantir opera su diverse piattaforme di gestione della IA di cui qui ne segnaliamo tre per capire il tipo di azienda di cui stiamo parlando: Gotham, Foundry e MetaConstellation.
Gotham è utilizzata principalmente da agenzie governative, forze dell’ordine e intelligence ed è progettata per integrare, gestire, proteggere e analizzare enormi quantità di dati eterogenei provenienti da diverse fonti (come database, fogli di calcolo, e-mail, immagini, dati geospaziali). Permette agli utenti di identificare schemi, collegamenti nascosti e trend all’interno dei dati, facilitando indagini complesse e l’analisi di intelligence. I suoi casi tipici di uso sono contrasto alla Jihad, prevenzione di frodi finanziarie, cybersecurity, gestione di emergenze e catastrofi naturali, intelligence militare.
Foundry è utilizzata da imprese commerciali e organizzazioni di vario tipo, in diversi settori (finanza, sanità, produzione, logistica, ecc.) . Si tratta di una piattaforma più versatile, progettata per aiutare le organizzazioni a integrare dati da diverse fonti, trasformarli, analizzarli e costruire applicazioni operative basate su di essi. Permette di creare un “digital twin” dell’organizzazione, facilitando l’ottimizzazione dei processi, la presa di decisioni basate sui dati e l’innovazione. Ha come uso principale l'ottimizzazione della supply chain, gestione del rischio, manutenzione predittiva, ricerca e sviluppo, customer relationship management, compliance. In breve, si tratta di una potente piattaforma per la gestione e l’analisi di dati aziendali, per migliorare l’efficienza e la presa di decisioni.
Altra piattaforma rilevante per le attività di difesa che è importante menzionare, anche se è più recente ma in fase di grande espansione è MetaConstellation. Mentre Gotham è stata tradizionalmente la piattaforma principale di Palantir per il settore della difesa, focalizzata sull’integrazione e l’analisi di dati, MetaConstellation rappresenta un’evoluzione significativa, soprattutto nel contesto dell’IA e della guerra moderna basata sui dati. Ecco le caratteristiche principali di MetaConstellation:
- Focus: gestione e orchestrazione di sistemi autonomi e basati su IA a
livello edge (cioè direttamente sul campo), con particolare attenzione
ai dati provenienti da sensori, soprattutto satellitari.
- Funzionalità: MetaConstellation permette di collegare diversi sistemi
di sensori (come satelliti, droni, e altri sistemi di sorveglianza) e di
gestire il flusso di dati verso sistemi di intelligenza artificiale per
l’analisi e l’azione rapida. L’obiettivo è di fornire una
consapevolezza situazionale in tempo reale e di automatizzare compiti
come l’individuazione di bersagli e la risposta alle minacce.
- Importanza strategica: in un contesto di guerra moderna, dove la velocità di decisione e l’automazione sono cruciali, MetaConstellation mira a fornire un vantaggio informativo significativo, permettendo di agire più velocemente e con maggiore precisione.
- Relazione con Gotham e Foundry: MetaConstellation non sostituisce Gotham o Foundry, ma si integra con essi. I dati elaborati da MetaConstellation possono essere ulteriormente analizzati in Gotham per l’intelligence di lungo termine, mentre Foundry può essere utilizzato per gestire gli aspetti logistici e operativi delle missioni di difesa.
In sostanza, MetaConstellation è la risposta di Palantir alla crescente necessità, sul campo di battaglia, frutto delle rivoluzioni della guerra sul terreno, di:
- Edge IA: elaborazione dei dati direttamente sul campo per una reattività immediata.
- Sensor Fusion: integrazione di dati da una moltitudine di sensori, in particolare quelli spaziali.
- Automazione: delega di compiti di analisi e, potenzialmente, di azione a sistemi IA.
In conclusione, sebbene Gotham rimanga una piattaforma chiave per il settore della difesa, MetaConstellation rappresenta l’avanguardia dell’approccio di Palantir alla guerra basata sui dati, puntando sull’intelligenza artificiale, l’edge computing e l’integrazione dei dati da sensori variegati per fornire un vantaggio strategico sul campo. È un settore in rapida evoluzione, e Palantir sta investendo significativamente nello sviluppo di queste capacità.
Le piattaforme di Palantir sono considerate all’avanguardia – sia per la guerra che per la sorveglianza e il management (facendo dialogare questi settori) – per diversi motivi, che riguardano sia la loro tecnologia sia il loro impatto operativo in settori critici. Ecco, in sintesi, i principali punti di forza.
1. Integrazione di Dati Eterogenei
- Superamento dei silos di dati: Palantir eccelle nell’integrare dati provenienti da fonti disparate e formati diversi (database, fogli di calcolo, e-mail, immagini, video, sensori, etc.), cosa che la maggior parte dei concorrenti fatica a fare. Questo crea una visione olistica e unificata delle informazioni, fondamentale per analisi complesse.
- Tecnologia proprietaria di “data fusion”: Palantir ha sviluppato tecnologie avanzate per collegare e armonizzare dati, anche in assenza di identificatori comuni, creando una “base di conoscenza” coesa.
2. Analisi Avanzata e Intelligenza Artificiale
- Potenti strumenti di analisi: le piattaforme offrono strumenti di visualizzazione, scoperta di pattern, modellazione predittiva e analisi geospaziale, che vanno ben oltre le capacità delle tradizionali soluzioni di business intelligence.
- Integrazione di IA e Machine Learning: Palantir integra algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale per automatizzare l’analisi, identificare anomalie, prevedere eventi futuri e supportare il processo decisionale.
- MetaConstellation e l’IA a livello edge: con MetaConstellation, Palantir spinge l’IA verso l’edge, permettendo l’analisi in tempo reale di dati provenienti da sensori (come i satelliti) e l’automazione di azioni sul campo, un aspetto cruciale per la difesa e altri settori.
3. Sicurezza e Privacy
- Progettazione orientata alla sicurezza: fin dall’inizio, le piattaforme sono state progettate con un’enfasi sulla sicurezza e il controllo degli accessi ai dati, essenziale per i settori sensibili in cui opera Palantir.
- Gestione granulare dei permessi: offrono capacità avanzate di gestione dei permessi e di audit trail, permettendo di controllare chi accede a quali dati e per quali scopi.
- Esperienza nel settore governativo: la lunga collaborazione con agenzie governative e di intelligence ha permesso a Palantir di sviluppare soluzioni che rispondono ai più alti standard di sicurezza.
4. Impatto Operativo e Decisionale
- Miglioramento della consapevolezza situazionale: fornendo una visione unificata dei dati e strumenti di analisi avanzati, le piattaforme migliorano la comprensione di situazioni complesse e facilitano la presa di decisioni informate. Si tratta di un tema essenziale all’interno come all’esterno delle organizzazioni che usano le piattaforme di Palantir.
- Ottimizzazione dei processi: in ambito aziendale, Foundry aiuta a ottimizzare processi, ridurre costi e migliorare l’efficienza operativa, creando un “gemello digitale” dell’organizzazione.
- Velocità di reazione: la capacità di analizzare dati in tempo reale, in particolare con MetaConstellation, permette di reagire rapidamente a eventi critici, sia in ambito militare che in altri settori.
5. Innovazione Continua
- Investimenti in R&D: Palantir investe costantemente in ricerca e sviluppo, spingendo i confini dell’analisi di big data e dell’intelligenza artificiale.
- Adattamento alle nuove esigenze: Le piattaforme sono in continua evoluzione per rispondere alle emergenti esigenze dei clienti e ai cambiamenti del panorama tecnologico e geopolitico.
Tuttavia, è importante ricordare che il mercato delle piattaforme e della IA è in continua evoluzione e la concorrenza sta crescendo. Il mantenimento di questa posizione di leadership, raggiunta con anni di duro lavoro, dipenderà dalla capacità di Palantir di continuare a innovare e adattarsi alle esigenze di un mondo sempre più data-driven. Se la feroce concorrenza nel settore, e le esigenze stringenti dei committenti che stanno sui mercati o in conflitto (quando non in tutti e due) spingono Palantir a una vera guerra contro i concorrenti – sia commerciale che finanziaria e tecnologica – va detto che è la stessa base materiale di Palantir, i finanziatori, a spingere per questa dimensione di guerra come occasione di crescita e di profitto.
Financial Warfare: gli spiriti animali del capitale che finanzia Palantir
Le azioni Palantir tendono ad attrarre un tipo di investitore con un profilo di rischio medio-alto e un orizzonte temporale di lungo termine, interessato ad aziende tecnologiche in forte crescita con un potenziale dirompente, ma anche con una certa dose di incertezza e volatilità. Profilo di rischio medio-alto, potenziale dirompente delle aziende finanziate, capacità di stare sui mercati incerti e volatili (sui quali si distruggono fortune ma si può anche predare): l’investitore tipo di Palantir, la sua concreta base materiale, ha la capacità strategica e tattica del soggetto da grande guerra finanziaria, quella che agita in mercati sia nelle fasi di rialzo che di ribasso.
Ecco le caratteristiche principali dell’investitore tipo in Palantir.
- Orientato alla crescita: cerca aziende con un alto potenziale di crescita del fatturato e degli utili, anche a scapito della redditività immediata. Palantir, con la sua espansione nel settore commerciale e il suo ruolo in settori critici come la difesa e l’intelligence, si adatta a questo profilo.
- Tollerante al rischio: è consapevole che investire in aziende tecnologiche in fase di espansione comporta un rischio maggiore rispetto ad aziende consolidate e con flussi di cassa stabili. La volatilità del prezzo delle azioni Palantir riflette questa realtà.
- Interessato all’innovazione: è attratto da aziende che operano in settori all’avanguardia, come l’analisi di big data, l’intelligenza artificiale e il cloud computing. Palantir è considerata un leader in questi ambiti.
- Visione di lungo termine:è disposto ad attendere che gli investimenti di Palantir in ricerca e sviluppo e l’espansione della base clienti si traducano in profitti significativi. Non si aspetta un ritorno immediato sull’investimento.
- Attento alle tendenze geopolitiche: capisce l’importanza del ruolo di Palantir nel settore della difesa e dell’intelligence e come le dinamiche geopolitiche possano influenzare la domanda dei suoi prodotti.
- Consapevole delle controversie: è a conoscenza delle controversie che circondano Palantir, relative a questioni di privacy, etica e trasparenza, e le valuta nel contesto delle sue decisioni di investimento.
In aggiunta, si possono identificare due categorie principali di investitori
- Investitori istituzionali: fondi comuni di investimento, hedge fund e fondi pensione che investono in Palantir come parte di un portafoglio diversificato, puntando sulla crescita a lungo termine del settore tecnologico.
- Investitori individuali: Investitori retail con una forte convinzione nel potenziale di Palantir e disposti a sopportare la volatilità del titolo, spesso attratti dalla natura “dirompente” dell’azienda e dal suo ruolo in settori strategici.
In conclusione, l’investitore tipo in Palantir, che ne determina le strategie di comportamento, è un investitore navigato nella guerra finanziaria, che non teme gli effetti collaterali di questa strategia, orientato alla crescita, tollerante al rischio, con una visione di lungo termine e un interesse per l’innovazione tecnologica e le sue capacità distruttive (degli assetti di mercato e sul campo), consapevole delle potenzialità ma anche delle controversie che circondano l’azienda. Quando Palantir si agita lo fa quindi spinto dalla base materiale dei suoi investitori, che richiede guerra e innovazione, oltre che dal mercato e dalle proprie strategie. Ma quali sono le sue strategie?
Le 18 tesi di Palantir aprono la guerra civile nella difesa americana
Come si prepara una rivoluzione o una guerra? Con tesi rese pubbliche che dichiarano come lo scontro sia necessario e giusto in vista di un cambiamento radicale di situazione. Il 31 ottobre 2024, prima che Trump vincesse le elezioni, Palantir, già vicina all’attuale presidente americano, pubblica le 18 tesi per la “Defense Reformation” . A prima vista, nonostante le analisi puntuali sullo stato delle forniture e del metodo di produzione nella difesa americana, sembra un manifesto elettorale prima che una analisi strategica o un prospetto utile per far piacere agli investitori.
Dopo l’elezione di Trump si capisce che Palantir, la controversa azienda di software fondata da Peter Thiel, con le sue “18 Tesi sulla Difesa” non ha solo lanciato una provocazione, ma una vera e propria dichiarazione di guerra all’establishment militare americano. Dietro questa mossa aggressiva si intravede la pressione del capitale di rischio, che ha investito massicciamente in Palantir e ora esige ritorni. Le Tesi, infatti, non sono solo un atto d’accusa contro l’inefficienza e l’obsolescenza del complesso militare-industriale americano, in linea con le accuse di Trump, ma anche un manifesto politico-economico, e di scenario per gli investimenti finanziari, per le soluzioni tecnologiche di Palantir, presentate come l’innovazione killer per processi e prodotti che riguardano il mondo della difesa.
L’azienda promette non solo di essere innovativa ma di portare tutta la difesa in un nuova nuova dimensione: radicalizzazione del ruolo degli algoritmi di intelligenza artificiale in grado di analizzare enormi quantità di dati, della previsione delle mosse del nemico, della ottimizzazione delle operazioni militari e la garanzia della superiorità strategica sulla Cina. Un’offerta quindi politica, economica e tecnologica assieme, sulla spinta di una finanza aggressiva e dirompente, per un Pentagono sempre più affamato di tecnologie innovative, e di certezze sulla superiorità strategica nei confronti della Cina, ma che nasconde insidie inquietanti.
Il Financial Times ha infatti rivelato l’esistenza di un’alleanza tra Palantir, Anduril Industries (specializzata in droni e sistemi autonomi) e SpaceX di Elon Musk, con l’obiettivo di creare un nuovo polo di potere e di contractor nel settore della difesa. Se questa “triade tecnologica” dovesse prevalere, non solo lo scenario tecnologico ma anche lo scenario geopolitico potrebbe cambiare radicalmente. In questo modo Gotham, Foundry e MetaConstellation non solo radicalizzerebbero il loro ruolo nella difesa americana, cambiandola anche brutalmente al suo interno, ma rappresenterebbero, sotto la spinta del capitale finanziario sottostante, il soggetto forte delle mutazioni geopolitiche in atto.
Immaginiamo un conflitto futuro, ad esempio nel Mar Cinese Meridionale o in Medio Oriente. Lo spot di Palantir è questo.
Ma poi c’è la realtà: con il metodo Palantir al comando, la guerra diventa, radicalizzando le tendenze attuali, un’operazione prevalentemente guidata da algoritmi. Droni armati, sistemi di sorveglianza pervasivi e intelligenza artificiale prenderebbero decisioni autonome, con un intervento umano sempre più marginale. Il rischio di escalation incontrollata, di decisioni prese dalla IA che saltano la catena di comando e la politica, e di errori fatali aumenterebbe esponenzialmente.
Inoltre, l’enorme quantità di dati raccolti da Palantir, e assieme algoritmi prodotti, potrebbe essere utilizzata per scopi di controllo sociale, con conseguenze preoccupanti per la privacy e le libertà individuali. Perché Palantir non è solo guerra o logistica ma è anche controllo, predictive policing e tende ad esportare, ben oltre gli Usa, i propri prodotti. Visto anche che l’analisi dei dati e la profilazione degli utenti, col metodo utilizzato negli scenari di guerra, possono essere utilizzate per manipolare l’opinione pubblica, diffondendo globalmente propaganda mirata, disinformazione e fake news è evidente che l’esito della guerra civile nella difesa americana – tecnologica, finanziaria, politica assieme – è destinato ad avere conseguenze globali non solo su guerra e controllo sociale ma anche nel mondo della comunicazione.
La guerra civile nella difesa americana è appena iniziata. Da un lato, i colossi tradizionali come Lockheed Martin e Boeing, dall’altro, la “Silicon Valley della guerra” rappresentata da Palantir e i suoi alleati. In gioco non c’è solo il controllo di un mercato multimiliardario, ma il futuro stesso della guerra e delle società per come le conosciamo. E questo senza entrare nella riposta cinese a questi processi che, comunque vada, influirà in questo genere di guerra civile.
Il capitalismo delle piattaforme per come era stato pensato negli anni ’10 è profondamente mutato. Non solo per l’evoluzione generativa della IA ma anche per il tentativo delle piattaforme di guerra di stabilire l’egemonia su questo genere di capitalismo. Palantir rappresenta, sempre rispetto agli anni ’10, una novità nell’integrazione tra guerra finanziaria e guerra sul campo già evidente in quel periodo. Una novità sinistramente magica se vediamo i progressi fatti nel settore IA in pochi anni e il nome dato ad una azienda che, comunque vada, si sta facendo notare.
Gaza - Chiesto l’arresto del criminale di guerra israeliano Saar Hirshoren
Contemporaneamente, è stata presentata una denuncia completa alla Corte Penale Internazionale (CPI) che prende di mira l’intero battaglione e la sua leadership per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
Argentina: Caso contro Saar Hirshoren
In Argentina, la Hind Rajab Foundation ha presentato una denuncia penale contro Saar Hirshoren, identificato nella regione della Patagonia. Il caso, presentato alla Procura Federale per i Crimini Contro l’Umanità di Buenos Aires, chiede il suo arresto immediato. La denuncia evidenzia:
- Prove video dall’account Instagram di Hirshoren, che lo mostrano mentre partecipa attivamente alla distruzione di infrastrutture civili a Gaza.
- Il suo ruolo nella deliberata demolizione di quartieri, siti culturali e strutture essenziali, violando le Convenzioni di Ginevra e lo Statuto di Roma.
L’Argentina, in quanto firmataria dello Statuto di Roma, è obbligata a indagare e perseguire gli individui accusati di reati così gravi. (per maggiori informazioni sul caso argentino, contattare il nostro consulente legale, il signor Rodolfo Yanzon (Rodolfoyanzon8@gmail.com)
Cile: denuncia di follow-up contro Saar Hirshoren
Dopo aver lasciato l’Argentina, Hirshoren si è recato in Cile, spingendo la Hind Rajab Foundation a presentare una seconda denuncia penale. Presentata ai procuratori di Santiago e Aysén, la denuncia cilena include:
- Prove di geolocalizzazione che confermano la presenza di Hirshoren nella regione del Chile Chico.
- Prove del suo coinvolgimento in crimini di guerra, tra cui demolizioni documentate sui social media e tramite resoconti di testimoni.
- Una richiesta di azioni legali urgenti, tra cui un ordine di arresto e restrizioni di viaggio per impedirgli di fuggire.
L’adesione del Cile allo Statuto di Roma e alla legislazione nazionale (Ley 20.357) autorizza i suoi tribunali a perseguire crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
(Per maggiori informazioni sul caso cileno, contattare il nostro consulente legale, il signor Hugo Gutierrez)
La denuncia della CPI contro il 749° Battaglione di ingegneria da combattimento
Il 24 dicembre 2024, la Hind Rajab Foundation ha presentato una denuncia dettagliata alla CPI, prendendo di mira l’intero 749° Battaglione di ingegneria da combattimento. La denuncia nomina 24 membri chiave del battaglione per il loro ruolo nella distruzione sistematica delle infrastrutture civili a Gaza, tra cui:
- Tenente colonnello Harel Maimon (comandante di battaglione)
- Tenente colonnello Adi Bekore (vice comandante), che ha dichiarato pubblicamente la missione di “radere al suolo Gaza”.
- Oz Veiner (comandante della Compagnia A)
- Yaakov Sattlar (comandante della Compagnia B)
- Daniel Vidaker (comandante della Compagnia C)
- Amit Pinto (comandante della Compagnia D)
- Tal Peretz (comandante D9)
- David Zoldan (ufficiale operativo), che ha celebrato il bombardamento dell’Università di Al-Azhar sui social media.
- Altre figure chiave, tra cui Maya Radoszkowicz, Ori Fadida, Yossi Nahari, Shay Cohen, Omri Heller e Saar Hirshoren.
Il caso CPI delinea violazioni tra cui:
- Genocidio: intento di distruggere la popolazione palestinese a Gaza.
- Crimini contro l’umanità: omicidio di massa, deportazione, tortura e attacchi alla popolazione civile.
- Crimini di guerra: prendere di mira obiettivi civili, causare danni collaterali eccessivi e utilizzare metodi di guerra illegali.
La denuncia CPI richiede mandati di arresto per tutti i membri identificati del battaglione, citando il loro coinvolgimento diretto nella distruzione deliberata di infrastrutture civili e nel prendere di mira i civili.
Prove contro il 749° Battaglione
Le azioni legali in Argentina, Cile e CPI sono supportate da numerose prove, tra cui:
- Post sui social media e video di membri del battaglione che mostrano la distruzione di case civili, scuole e ospedali.
- Ammissioni pubbliche da parte dei leader del battaglione che indicano la loro intenzione di colpire civili e infrastrutture.
- Immagini satellitari e resoconti di organizzazioni internazionali che documentano la portata della distruzione causata dal battaglione.
Un incidente particolarmente eclatante ha coinvolto il bombardamento dell’Università di Al-Azhar nel dicembre 2023, dove l’ufficiale operativo David Zoldan ha deriso l’istruzione superiore di Gaza in video che celebravano l’attacco.
Richiesta di responsabilità
La Hind Rajab Foundation chiede l’arresto immediato di Saar Hirshoren da parte delle autorità in Argentina e Cile, sottolineando l’urgenza di impedirgli di eludere la giustizia.
Contemporaneamente, la Fondazione chiede alla CPI di accelerare le indagini sul 749° Battaglione di Ingegneria da Combattimento e di emettere mandati di arresto per i suoi membri.
Queste azioni sono necessarie per sostenere il diritto internazionale e ritenere i responsabili responsabili dei loro crimini a Gaza.
Questi casi evidenziano l’urgente necessità di cooperazione internazionale per garantire che i responsabili di crimini efferati siano chiamati a rispondere delle loro azioni.
La Fondazione esorta la comunità globale a sostenere questi sforzi e a riaffermare i principi della giustizia internazionale e dello stato di diritto.
Fonte
Ci aspetta un anno di guerre commerciali, senza esclusione di colpi
Contemporaneamente minaccia di introdurre dazi contro l’Unione Europea se non aumenterà i quantitativi di GNL che sta importando dagli Stati Uniti dopo aver rinunciato al gas russo.
Il ricorso ai dazi punitivi e al protezionismo sembrano essere lo strumento con cui l’amministrazione Trump regolerà i propri rapporti nelle relazioni internazionali.
Ma occorre ammettere che questa tendenza a ricorrere a sanzioni, dazi punitivi etc. non è cominciata né comincerà con la nuova amministrazione USA. Il numero di restrizioni ai flussi di beni, servizi e investimenti imposte nel mondo ogni anno è infatti già triplicato rispetto al 2019.
A questi temi è dedicato un capitolo dell’interessante Rapporto sul 2025 elaborato in questi giorni dall’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Trump ha persino minacciato di introdurre dazi del 100% sulle importazioni dai Paesi che stanno riducendo l’uso del dollaro (chiaro il riferimento ai BRICS) e del 200% o più sui veicoli importati dal Messico.
In quest’ultimo caso occorre evidenziare come la revisione dello U.S.-Mexico-Canada Agreement (USMCA), frutto della rinegoziazione del precedente NAFTA proprio durante la prima presidenza Trump, è prevista nel 2026.
Nell’ultimo World Economic Outlook di ottobre, il Fondo monetario internazionale ha prodotto uno scenario che mette seriamente in guardia sui rischi di una guerra commerciale innescata dalla nuova amministrazione Trump.
Nel rapporto vengono avanzati alcuni scenari: a metà 2025 USA, Eurozona e Cina impongono dazi permanenti del 10% sui flussi commerciali tra le tre aree, mentre gli USA e il resto del mondo si impongono a vicenda dazi permanenti del 10%, colpendo un quarto dell’interscambio mondiale di beni e aumentando l’incertezza sulle politiche commerciali future e a cascata sugli investimenti privati.
Ci sono poi le stime della Goldman Sachs, in caso di irrigidimento nelle relazioni con Washington dettato dalla politica commerciale di Trump.
In questo caso l’Eurozona (presa come riferimento al posto dell’UE nello studio) subirebbe una riduzione tra mezzo e un punto percentuale del proprio PIL. Anche se Goldman Sachs anticipa l’effetto dei dazi al 2025, la stima è in linea al sopracitato documento dell’FMI.
Per l’Europa sarebbe un ulteriore colpo al PIL (dopo quello dovuto al crollo delle relazioni economiche ed energetiche con la Russia, ndr), considerando la debole crescita economica e il ritardo di competitività che affliggono le economie europee e la stagnazione tedesca ben rappresentata dalla crisi del suo settore automotive che potrebbe essere messo nel mirino da nuove tariffe.
Secondo il rapporto dell’Ispi sul 2025, Bruxelles si dice pronta a sfoderare sia la carota che il bastone con più determinazione e celerità. Dal canto suo, rispetto al periodo 2017-2020, Trump può giocare sul fatto che ora gli USA – dopo l’interruzione delle forniture della Russia – pesano per quasi un quinto delle importazioni UE di gas naturale.
Non solo. Trump ha recentemente minacciato di ricorrere ai dazi contro i paesi europei se questi non aumenteranno i quantitativi di gas che importano dagli USA (a prezzi assai più elevati di quelli che venivano pagati alla Russia, ndr).
Secondo l’Ispi la seconda presidenza Trump potrebbe far compiere un salto di qualità alla tendenza alle guerre commerciali in atto: dazi a tappeto in nome della sicurezza nazionale, guerra commerciale contro tutto e tutti, disaccoppiamento dalla Cina e addirittura il disimpegno o l’uscita degli USA dalle maggiori organizzazioni internazionali.
Ci aspetta dunque un anno – e probabilmente una fase ancora più lunga – di guerre commerciali e protezionismo a tutto campo insieme ad un impetuoso sviluppo dell’industria e delle spesa militare. Un brivido corre lungo la schiena quando uno guarda alla storia e si domanda: non è cominciata così anche negli anni Trenta del XX Secolo?
Fonte
2025, anno della povertà
Il sistema più semplice e furbo per calare i salari è quello di non adeguarli all’inflazione.
In Italia negli ultimi 3/4 anni abbiamo avuto una inflazione complessiva attorno al 17%, mentre i fondi destinati dal Governo Meloni per il rinnovo dei contratti pubblici e di competenza pubblica coprono incrementi retributivi del 6/7%. Cioè il governo ha programmato la riduzione dei salari del 9/10%.
Lo stesso naturalmente stanno facendo la Confindustria e le principali associazioni imprenditoriali, escluse le banche.
Tutti offrono rinnovi contrattuali che sono lontanissimi dal permettere il recupero dell’aumento dei prezzi, anche per colpa di regole contrattuali inique per i lavoratori, come “Il Patto per la Fabbrica” sottoscritto tra Confindustria e CGIL-CISL-UIL nel 2018.
Quell’accordo di concertazione è l’ultimo di una serie di patti sociali – stipulati dal 1992 in poi tra governo, sistema delle imprese e grandi sindacati confederali – che hanno fatto sì che le retribuzioni italiane fossero le sole tra i paesi OCSE a perdere quasi il 3% di valore negli ultimi trent’anni.
E a fine anno la Federmeccanica ha respinto tutte le richieste salariali per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, proprio adducendo a motivo le regole del Patto per la Fabbrica.
Insomma dopo trent’anni di compressione e riduzione di salari, il sistema economico italiano oggi accelera la loro discesa verso il basso.
Il Governi Meloni però vanta la “riduzione del cuneo fiscale” come misura in controtendenza.
Prima di tutto bisogna ribadire che questa misura, come tutta la politica economica della destra, è in pura continuità con le scelte di fondo del governo Draghi.
In secondo luogo il risultato sulla busta paga di questa operazione è poco più del 3% cioè, anche sommato agli aumenti contrattuali, non recupera la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione.
Infine bisogna sempre ricordare che l’aumento della retribuzione netta per la riduzione del carico fiscale su di essa, è un incremento dei salari APPARENTE.
Le imprese non sganciano un centesimo, anzi risparmiano su aumenti che prima o poi dovrebbero dare. I lavoratori si pagano l’aumento con i loro stessi soldi: è una parte del LORO salario lordo che diventa disponibile in busta paga.
Naturalmente, se questa operazione fosse finanziata tassando i ricchi avrebbe il senso di una redistribuzione fiscale. Invece la riduzione del costo del lavoro viene coperta dai tagli ai servizi pubblici. Cioè i lavoratori si pagano il piccolo aumento della loro retribuzione netta con i loro stessi soldi, per poi subire i maggiori costi dei servizi sociali: una partita tutta in perdita.
Se il salario di chi ha un lavoro relativamente sicuro e fisso è in costante calo, la povertà aggredisce chi va in cassa integrazione o vive di lavori precari.
Il rifiuto da parte del governo di istituire il salario minimo pesa in tutta la sua brutale iniquità di classe. Milioni di lavoratori nei servizi e nell’agricoltura ricevono paghe da fame, inferiori a 6 euro all’ora. Ai cassaintegrati tocca un’indennità equivalente ad una retribuzione netta di 5 euro all’ora.
Chi viene licenziato e ottiene l’indennità di disoccupazione – la NASPI – prende ancora meno e per tempi ridotti.
Infine ci sono quei lavoratori che sono senza retribuzione da mesi e magari lottano per il posto di lavoro, senza che governo e istituzioni facciano davvero nulla; tra tutti ricordiamo gli operai della GKN, da mesi senza salario e senza cassaintegrazione.
In conclusione tutto il lavoro dipendente o è già povero o si sta rapidamente impoverendo.
Le pensioni, da quelle minime a quelle medio alte, subiranno per l’ennesima volta l’erosione del loro valore; per la stragrande maggioranza dei pensionati il 2025 sarà un anno di riduzione del reddito disponibile. E il valore medio della pensione in Italia è poco più di 1000 euro al mese, LORDI perché non bisogna mai dimenticare che i pensionati versano allo stato ogni anno 50 miliardi di tasse.
Ci sono poi gli emarginati e coloro che vivono in miseria. Per costoro il reddito di cittadinanza era il minimo della sopravvivenza e la sua abolizione da parte del Governo Meloni è stato un autentico atto di criminalità sociale.
Secondo il Censis oltre il 27% della popolazione italiana, 16 milioni di persone, sono sotto la soglia di povertà, salvo poi godere di piccoli aiuti pubblici che in parte riducono la miseria.
Queste persone rinunciano a curarsi perché la sanità pubblica è sempre più ridimensionata, mentre non possono permettersi di pagare i costi delle cure private. Lo stesso avviene per l’accesso alla scuola e alla formazione.
Il Governo Meloni vanta 23 milioni di occupati, cifra record anche se drogata da astuzie contabili della statistica. Ma viene volutamente ignorato che, mentre aumenta il numero di chi lavora, diminuisce la massa complessiva dei salari in valore reale.
È un modello ottocentesco di società, dove lavoro e miseria si intrecciano sempre più profondamente. Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.
L’evasione fiscale del mondo delle imprese garantisce profitti anche ai piccoli imprenditori, come dimostrano gli stessi dati ufficiali che vedono gioiellieri, ristoratori, albergatori, guadagnare meno dei loro dipendenti. Fanno impresa per pura generosità...
I 62 miliardari italiani hanno visto crescere fino a 200 miliardi il proprio patrimonio, quasi il 20% in più. E il 60% dei super ricchi sono eredi esentasse. Altro che l’imbroglio del merito... il solo vero merito in Italia è nascere nella famiglia giusta. E gran parte delle famiglie di super ricchi ha all’estero la sede fiscale della propria società.
Tutte le spese sociali sono tagliate per far fronte al patto di austerità che il Governo Meloni ha sottoscritto con la UE, tranne per gli stipendi dei ministri e le spese militari. Sono le sole due voci di bilancio che davvero aumentano più dell’inflazione.
L’Italia sta regredendo di un secolo e mezzo nelle ineguaglianze sociali e nella distribuzione della ricchezza e lo sfruttamento e la povertà di massa dilagano.
È vero che i percorsi che hanno portato a questo disastro sono cominciati da lontano e sono responsabilità di TUTTI i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni. Ed è vero che le politiche di austerità e guerra sono una scelta della UE che oggi tutta l’Europa, salvo la Spagna che tassa i ricchi, sta pagando.
Quando il Governo Meloni afferma che i principali guasti vengono dal passato dice la verità. Ma poi mente spudoratamente quando afferma di fare qualcosa per ridurre questi guasti. Anzi le politiche meloniane a favore dei ricchi, delle multinazionali e della guerra, aggravano e diffondono quei guasti.
Così il 2025 sarà l’anno della povertà, sempre che non si riesca a rovesciare il governo e le politiche italiane ed europee di austerità e guerra.
30/12/2024
La Nato stringe i rapporti con la Mauritania
Passa anche dalla Repubblica Islamica della Mauritania il riposizionamento e rafforzamento della presenza militare NATO, Ue e degli Stati Uniti d’America in Africa occidentale. In occasione della visita di una delegazione di rappresentanti del NATO Defence Capacity Building (DCB) nella capitale Nouakchott (1-6 dicembre 2024), l’alleanza militare del nord-atlantico ha consegnato ai reparti speciali delle forze armate mauritane un imprecisato numero di equipaggiamenti bellici (in particolare sistemi di telecomunicazione e di “difesa” anti-missili balistici e apparecchiature sanitarie).
“I nostri aiuti rafforzano le capacità di difesa e sicurezza della Mauritania e l’implementazione di iniziative chiave a supporto delle Forze operative speciali (SOF), nella sicurezza marittima, l’intelligence, la transizione delle carriere militari, le attività addestrative, nonché per affrontare le sfide legate alle armi leggere e di piccolo calibro”, spiega l’ufficio stampa della NATO. “Fornendo risorse essenziali e competenza e con il coinvolgimento in dialoghi di alto livello, la NATO continua a sostenere la Mauritania nella costruzione di capacità più forti e più resilienti, essenziali per mantenere la stabilità e la sicurezza regionale”.
A Nouakchott la delegazione del NATO Defence Capacity Building ha incontrato il ministro della Difesa, Ould Sidi Hanana, e il comandante SOF, generale El Mokhtar Mennyto, per discutere le future misure di rafforzamento delle forze armate e degli apparati di sicurezza ed “assicurare un continuo supporto e collaborazione tra la NATO e la Mauritania”. (1)
In occasione della missione degli “esperti” NDCB, si è tenuta in acque mauritane un’esercitazione a cui hanno partecipato unità da guerra della Repubblica Islamica e il pattugliatore offshore della Marina militare portoghese “NRP Viana do Castelo”, inviato per l’occasione a Nouakchott.
La cooperazione tra la NATO e la Mauritania ha preso il via nella seconda metà degli anni novanta. La Repubblica è uno dei partner di più antica data dell’Alleanza: è infatti membro del cosiddetto “Dialogo Mediterraneo” dalla sua costituzione (dicembre 1994). Si tratta del foro di confronto e collaborazione politico-militare che la NATO ha promosso per “contribuire alla sicurezza e stabilità” nell’area mediterranea e dell’Africa settentrionale, e per “promuovere buone relazioni e comprensione con i paesi partner e alleati” (attualmente ne fanno parte con la Mauritania, anche Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Marocco e Tunisia).
Dal 2013 la Mauritania è tra i beneficiari del Programma di miglioramento della formazione militare grazie alla quale la NATO fornisce strumenti “su misura” ai paesi partner per sviluppare e riformare le istituzioni preposte all’istruzione e all’addestramento del proprio personale. In occasione del Vertice NATO tenutosi a Madrid nel 2022, i Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza hanno ratificato l’ingresso della Mauritania tra i paesi destinatari dei pacchetti di aiuto nell’ambito della Defence Security Capacity Building, l’iniziativa finalizzata al sostegno delle forze armate partner per “rispondere alle differenti sfide alla sicurezza regionale”. Grazie agli “aiuti” della Defence Security Capacity Building, la NATO addestra le forze armate mauritane per potenziarne gli standard operativi anche in vista della partecipazione a missioni extra-nazionali. (2)
L’ultimo biennio è stato caratterizzato dall’intensificarsi degli incontri e delle relazioni tra i vertici militari mauritani e la NATO. Il 26 giugno 2023, il Comandante dell’Accademia interforze di Nouakchott, il generale Dah Sidi Mohamed El Agheb, è stato ospite del Quartier generale della NATO a Bruxelles. “La regione del Sahel è teatro di sfide complesse ed interconnesse”, ha dichiarato il vicesegretario generale per le operazioni NATO, Thomas Goffus, a conclusione dell’incontro con El Agheb. “La situazione in via di deterioramento nel Sahel è importante per la sicurezza della NATO e la Mauritania, nostro importante partner, gioca un ruolo chiave nella regione”. (3)
Dall’1 al 3 maggio 2024 è stato il responsabile del NATO Military Committee, l’ammiraglio Rob Bauer a recarsi in visita in Mauritania dove ha incontrato, tra gli altri, il Presidente (già Capo di Stato Maggiore della Difesa), generale Moham Ould Ghazouani, il ministro della Difesa Hanena Ould Sidi e il Comandante delle forze aeree, generale Ould Cheikh Ould Boyda.
“L’ammiraglio Rob Bauer ha avuto l’opportunità di visitare il secondo battaglione comando delle Forze speciali nazionali mauritane”, riporta l’ufficio stampa della NATO. “Il Capo del NATO Military Committee ha discusso con la leadership delle forze armate locali l’approccio del paese per affrontare il terrorismo e i crimini transfrontalieri, due minacce interconnesse affrontate anche dalle nazioni alleate. L’Alleanza sta adottando una visione globale contro queste minacce e sta lavorando più strettamente con i partner in tutto il mondo”. (4)
Per riaffermare l’importanza del legame politico-militare NATO-Mauritania, il 28 maggio 2024 il vicesegretario in carica dell’Alleanza, Mircea Geoană, si è incontrato a Bruxelles con il ministro della Difesa della Repubblica Islamica, Hanana Ould Sidi. “La Mauritania è un partner molto apprezzato e la NATO è determinata a rafforzare ulteriormente la partnership e a potenziare le capacita delle sue forze armate nel combattere il terrorismo”, ha assicurato Geoană. (5)
A riprova del ruolo strategico assunto dalla Mauritania nelle campagne occidentali di contrasto al “terrorismo” e all’“estremismo violento” di matrice jihadista va segnalato, in particolare, che Nouakchott è stata prescelta quale sede della Segreteria generale esecutiva e del Sahel Defense College del “G5S”, l’organizzazione politico-militare regionale fondata nel 2014 da cinque Stati del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger), ma che dopo il ritiro unilaterale del Mali, due anni fa, è de facto un “G4S”. Consulenti ed esperti NATO e delle forze armate USA partecipano periodicamente ai vertici e alle attività addestrative promosse dall’istituzione dei paesi del Sahel.
Anche il Comando generale delle forze armate USA per il continente africano (US Africom) pone particolare attenzione alle forze armate dello Stato dell’Africa occidentale. Dal 22 al 24 ottobre 2023 il comandante in capo di US Africom, il generale del Corpo dei Marines Michael Langley, si è recato in vista in Mauritania per “rafforzare la collaborazione nel campo della difesa” e confrontarsi con i leader politici e militari mauritani ed i diplomatici dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America.
“Il Comando generale di US Africom e la Mauritania continuano a lavorare congiuntamente per contrastare l’estremismo violento che sta espandendo la sua influenza per destabilizzare la regione del Sahel, nonché per assicurare una regione più sicura e pacifica”, ha dichiarato il generale Langley. “Le relazioni tra i nostri due paesi servono a proteggere le comunità e a favorire stabilità e opportunità economiche a tutti i Mauritani (…) I programmi di collaborazione hanno rafforzato l’abilità della Mauritania a proteggere i suoi confini e a promuovere lo sviluppo economico e il libero commercio”.
Incontrando il Capo di Stato delle forze armate di Nouakchott, generale Moctar Bollé Chabane, il comandante di US Africom ha assicurato la disponibilità statunitense ad aumentare le esercitazioni e gli addestramenti congiunti (la Mauritania partecipa già ai “tradizionali” war games USA nel continente come Flintlock e Phoenix Express ed ha anche ospitato l’edizione 2020 di Flintlock). Gli Stati Uniti si sono dichiarati pronti ad aumentare anche il numero di ufficiali mauritani da “formare” presso le proprie accademie e scuole militari. (6)
Ingenti aiuti militari sono giunti pure dalla Commissione dell’Unione europea. A fine 2022, nell’ambito dello Strumento europeo per la pace (EPF) volto a “consolidare gli interventi Ue finalizzati a prevenire i conflitti e a rafforzare la sicurezza internazionale”, Bruxelles ha stanziato finanziamenti a favore della Mauritania per 12 milioni di euro per la formazione militare e la fornitura di sistemi d’arma (imbarcazioni leggere, dispositivi di protezione individuale e attrezzature mediche). Nello specifico, è stata data priorità al “miglioramento delle capacità militari” di due battaglioni schierati ai confini con Mali, Sahara occidentale e Algeria. (7)
Sempre nel corso del 2022 l’Aeronautica militare mauritana ha ricevuto in consegna alcuni velivoli biposto G1 SPYL-XL “Aviation” di produzione francese per l’addestramento dei piloti e lo svolgimento di compiti di collegamento. I velivoli, dotati di un’autonomia di volo di 10 ore, sono stati acquistati attraverso l’Istituto francese di gestione per la sicurezza internazionale (THEMIIS) nell’ambito del Progetto di sostegno alla sicurezza e allo sviluppo della Mauritania (PADSM) finanziato dall’Unione europea. (8)
Nell’anno in corso, la Commissione europea ha rafforzato la partnership con le autorità di Nouakchott nel contrasto delle migrazioni, con la scusa del “crescente ruolo di transito” assunto dalla Mauritania nelle rotte tra l’Africa sub sahariana e le isole Canarie (Spagna). Bruxelles punta in particolare ad accrescere le capacità di intervento delle forze di sicurezza e militari mauritane nella “gestione” delle frontiere. A fine febbraio 2024, in occasione della visita in Mauritania della Presidente Ue Ursula von der Leyen e del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, è stato firmato un “accordo migratorio” che prevede lo stanziamento di 210 milioni di euro a favore del paese africano.
Sempre a sostegno delle operazioni contro l’“immigrazione illegale” nella regione del Sahel, a marzo la Commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, e il ministro degli Interni della Mauritania, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, hanno sottoscritto una “Dichiarazione congiunta” per lanciare ufficialmente la partnership sulle migrazioni Ue-mauritana. (9)
Note
1) https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_231781.htm?selectedLocale=en2) https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_132756.htm L’iniziativa denominata Defence and Related Security Capacity Building è stata lanciata in occasione del Vertice NATO in Galles del 2014 ed è diretta a sostenere i paesi partner in Europa orientale e del cosiddetto Fianco Sud dell’Alleanza. Ne fanno attualmente parte oltre alla Mauritania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Giordania, Iraq, Moldavia, Tunisia e Nazioni Unite.
3) https://www.nato.int/cps/sn/natohq/news_216763.htm?selectedLocale=en
4) https://www.nato.int/cps/fr/natohq/news_225242.htm?selectedLocale=en#:~:text=From%201%20to%203%20May,long%2Dstanding%20NATO%20Partner%20Mauritania
5) https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_225813.htm
6) https://www.africom.mil/pressrelease/35341/usafricom-commander-and-senior-enlisted-leader-travel-to-mauritania
7) https://www.africa-express.info/2022/12/07/dallunione-europea-32-milioni-di-euro-a-mauritania-e-mozambico-in-aiuti-militari-per-combattere-il-terrorismo/
8) https://www.defenceweb.co.za/aerospace/aerospace-aerospace/mauritania-operating-g1-aviation-light-aircraft/
9) https://www.infomigrants.net/en/post/58013/mauritania–a-new-irregular-migration-gateway-to-europe
Georgia - Insediamento del nuovo presidente, quali scenari si aprono?
Salomé Zourabishvili, il capo di Stato uscente, ha infatti lasciato il palazzo presidenziale appena prima del giuramento di Kavelashvili. Ma ha anche continuato a ribadire che si considera come “l’unica leader legittima” del paese, in riferimento ai contestati risultati delle votazioni appena svolte.
Il 20 dicembre è stato presentato il rapporto finale dell’OCSE sulla situazione osservata nel giorno delle elezioni. E come già fatto presente nelle note preliminari già rilasciate, “dal punto di vista procedurale, il giorno delle elezioni è stato generalmente gestito in maniera ordinata” anche se ci sono state tensioni e anche casi di intimidazione.
Nulla comunque che renda illegittimo il voto, come sostenuto dalle opposizioni, e difatti la missione dell’Office for Democratic Institutions and Human Rights (ODIHR) dell’OCSE si limita a consigliare alcune misure per rientrare in cosiddetti “standard internazionali“. Ma a vedere alcuni temi, è facile vedere l’ipocrisia.
L’offerta politica è stata amplia e inclusiva, e i candidati hanno potuto fare campagna liberamente, ma viene ad esempio sottolineato come l’orizzonte dei media sia altamente polarizzato… come se in Occidente non lo fosse. E ovviamente viene anche attaccata la legge sulle influenze straniere, oggetto di forti proteste pochi mesi fa.
Anche in questo caso è bene ricordare che la norma, più che all’omologa russa, è simile a quella statunitense o a quella introdotta dalla UE, anch’essa oggetto di ampie critiche da parte delle organizzazioni non governative. E ovviamente, in quest’ultimo caso, rimaste inascoltate.
Non bisogna dimenticare che alla missione dell’ODIHR in Georgia si sono aggregati anche rappresentanti dell’Assemblea parlamentare della NATO e del Parlamento Europeo. Non si può dunque certo dire che fosse una delegazione neutra, se si considera che il nodo centrale delle elezioni è stato proprio il rapporto con Mosca.
Lo stesso giorno della presentazione del rapporto, Zourabishvili ha parlato in audizione davanti alle Commissioni riunite Esteri e Difesa e Politiche del Senato italiano, dopo aver parlato al Parlamento Europeo. I partiti sconfitti a ottobre e la presidente uscente hanno più volte chiesto un intervento delle potenze occidentali, ma per ora la questione rimane in sospeso.
Rimangono però due temi sul piatto che lasciano aperte le strade di un’ulteriore destabilizzazione del paese caucasico. Innanzitutto, il fatto che il consesso parlamentare non è stato ancora riconosciuto dalle opposizioni, e poi il fatto che Zourabishvili, postasi alla loro testa, si considera come unico capo di Stato legittimo.
Questa è una situazione che crea le basi per una sorta di governo alternativo e parallelo, magari “in esilio“, che se riconosciuto significherebbe rompere la continuità istituzionale per ora mantenuta. Insomma, ci sono le condizioni per aprire un disconoscimento totale degli attuali rappresentanti georgiani, se venisse considerato utile fare questo passo.
Ciò potrà avvenire – e questo è il secondo tema – solo se gli imperialisti occidentali valuteranno la propria capacità di influenzare la vita politica ed economica del paese sufficientemente solida, proprio attraverso le organizzazione non governative che sono state oggetto del provvedimento contestato mesi fa.
La situazione per ora rimane in stand by, ma nel precipitare degli eventi a livello mondiale le fondamenta di un ennesimo golpe istituzionale sono state poste. Il clima a Tbilisi va tenuto d’occhio.
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Bildeberg 2025: il lascito della guerra
“Jens Stoltenberg, ex segretario generale della Nato, diventa il co-presidente del Club Bilderberg. Sostituisce l’economista olandese e consigliere di Goldman Sachs Victor Halberstadt, scomparso pochi mesi fa. La notizia, segnala più di altre i tempi di guerra e di tensione che vive il mondo.Ricordiamo di che cosa si tratta per chi avesse eventualmente smarrito memoria.
Dopo dieci anni vissuti alla guida dell’Alleanza Atlantica, in precedenza primo ministro della Norvegia, Stoltenberg sarà anche da febbraio il presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, altro importante simposio su difesa e diplomazia.”
Dal 1954 e una sola volta all’anno, un gruppo ristretto di persone si ritrova per decidere segretamente il futuro politico ed economico dell’umanità. Nessun giornalista ha mai avuto accesso alle riunioni che fino a poco tempo fa si sono svolte presso l’Hotel Bilderberg, in una piccola cittadina olandese.
Molti partecipanti al gruppo Bilderberg sono capi di Stato, ministri del tesoro e altri politici dell’Unione Europea, ma prevalentemente i membri sono esponenti di spicco dell’alta finanza europea e anglo-americana.
Gli organizzatori della conferenza, tuttavia, spiegano questa loro scelta con l’esigenza di garantire ai partecipanti maggior libertà di esprimere la propria opinione senza la preoccupazione che le loro parole possano essere travisate dai media.
Questa nomina sottolinea il vero lascito di questo 2024: è cambiato il concetto di “guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista filosofico, l’evento bellico.
La fase che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato “scontro di civiltà”).
In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella “asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che in un mondo democratizzato “all’occidentale” le guerre sarebbero state impossibili.
Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste.
Sono ormai saltati quei principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle armi di distruzione di massa.
La scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di equilibrio e di egemonia.
Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata anche la distinzione fra guerra e terrorismo, tra civili e militari, nella legittimazione evidente della “pulizia etnica”.
La scena internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di tipo economico come quelli religiosi o identitari.
Quale migliore occasione allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi per puntare al recupero del bipolarismo, presentandosi come il propugnatore di un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza?
Potrebbe esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del Pianeta e che in gioco c’è proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sulla Terra.
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L’eterno ritorno del PD renziano
Perché non ci si può fidare del PD nemmeno sulle novelle istanze sociali che questo partito avanza da quando, caduto il governo Draghi (di cui era parte integrante) è finito all’opposizione?
Tutte domande più che legittime.
E la risposta ve la dà lui: Lorenzo Guerini, più renziano di Renzi stesso e, probabilmente, il più potente dei renziani dentro il Partito Democratico.
Ma come non menzionare, a tal proposito, anche l’ineffabile guerrafondaia Pina Picierno? O Simona Bonafè? Dario Nardella? Giorgio Gori? Simona Malpezzi? Debora Serracchiani?
Tutta bella gente con un grande curriculum alle spalle. Verrebbe da dire: mancano solo Matteo ed Elena. Tempo al tempo, no?
Ma, soprattutto, c’è l’instancabile Stefano Bonaccini, uno dei maggiori sostenitori dell’autonomia differenziata.
E poi la new entry: il nuovo governatore dell’Emilia Romagna, Michele De Pascale, il quale ha detto di volere anche lui un’autonomia differenziata, ma “diversa”.
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Aumenti in arrivo per le bollette di gas e energia
L’aumento è dovuto alle dinamiche dei prezzi del gas sul mercato all’ingrosso sul quale, secondo l’Arera pesano l’instabilità geopolitica e le temperature invernali.
A preoccupare è l’inverno in corso, che si sta rivelando più rigido di quelli degli anni precedenti, ragione per cui i prezzi potrebbero lievitare ancora. Diversamente l’inverno del 2023 aveva registrato temperature sopra la media e, di conseguenza, anche la spesa era stata inferiore a quella del 2022.
Per il 2025 si prevedono invece ulteriori aumenti delle bollette. Secondo alcune previsioni fatte analizzando i prezzi della materia prima e l’andamento degli indici Psv e Pun, nei prossimi 12 mesi il prezzo dell’energia aumenterà di quasi il 30% con un impatto significativo sulle bollette di chi ha un’offerta a prezzo indicizzato.
Le stime affermano che per una famiglia tipo nel mercato libero, l’aumento delle bollette sarà di almeno 272 euro tra luce e gas, con una spesa complessiva che arriverà a 2.841 euro, rispetto agli attuali 2.569 euro (+11%)
Il rincaro più corposo si avrà sulla bolletta del gas per la quale, in una famiglia tipo, la spesa annuale media passerà dagli attuali 1.744 euro l’anno a 1.920 euro (+176 euro). Per quanto riguarda la bolletta dell’energia elettrica, invece, l’incremento viene calcolato intorno ai 96 euro, con una spesa annuale che passerà da 826 euro a 921 euro.
Ad aggravare la situazione intorno al prezzo del gas, ci si è messa anche l’Ucraina che ha disdetto l’accordo commerciale con la Russia per il transito del gas verso l’Europa centrale.
La disdetta dell’accordo è stata confermata anche dal presidente russo Putin, nella conferenza stampa di fine anno: il contratto quinquennale con l’Ucraina scadrà il 31 dicembre e non verrà rinnovato e quindi verrà posta fine all’accordo con la compagnia energetica statale russa Gazprom che consente di esportare gas naturale tramite la rete di gasdotti ucraini verso Slovacchia, Ungheria e altri paesi dell’Europa centrale.
La principale linea di transito rimasta, dopo la chiusura e il sabotaggio del Nord Stream nel 2022, è il gasdotto Urengoy-Pomary-Uzhgorod, che verrà dunque chiuso a fine anno. Questa conduttura trasporta il gas dalla Federazione Russa attraverso l’Ucraina fino alla Slovacchia, dove poi si divide in rami diretti verso la Repubblica Ceca e l’Austria
L’Italia, insieme all’Ungheria, è tra i Paesi che si riforniscono tramite questa rotta. Attualmente l’Ucraina commercializza all’incirca 15 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno a un gruppo di paesi europei. Il mancato rinnovo dell’accordo di transito tra Russia e Ucraina, secondo gli analisti, potrebbe contribuire a un aumento dei prezzi europei del gas.
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Droni italo-turchi Baykar con Piaggio Aerospace
Baykar-Piaggio, sinergia industriale strategica
La scalata di Baykar a Piaggio Aerospace rappresenta non solo un elemento di espansione per l’azienda fondata nel 1984 da Ozdemir Bayraktar e guidata dal 2021 dai figli, il cui cognome dà il nome agli omonimi droni Bayraktar TB1 e TB2 distintisi per il loro ruolo strategico nella guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 e, soprattutto, nella guerra russo-ucraina. E dall’altro può esser un fattore di rilancio per il gruppo italiano dalla storia quasi centenaria, che negli stabilimenti di Genova Sestri Ponente produsse aerei da combattimento già ai tempi della Seconda guerra mondiale, come l’unico bombardiere strategico della Regia Aeronautica, il P.108, entrato in servizio nel 1941. Piaggio Aerospace, negli ultimi anni aveva concentrato la produzione sul P.180 Avanti, aereo da ‘trasporto luxury’ – da 6 a 9 passeggeri – nello stabilimento ligure di Villanova d’Albenga.
Avionica di frontiera
‘Una sinergia italo-turca’ – celebrano gli specialisti – «per costruire una nuova partnership sui droni e le tecnologie per l’avionica di frontiera, dare a Baykar accesso a pregiate tecnologie, metodi di lavoro e know-how occidentale e rilanciare sull’onda lunga delle spese militari in avanzata su scala globale il business di Piaggio», dettaglia si InsideOver Andrea Muratore. O almeno questo sembra essere il piano delle strategie del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) che ha mediato e favorito l’accordo.
Parco droni italiano
Per Roma, anche l’obiettivo di rafforzare il parco droni nazionale, racconta chi sa. Il recente ‘Documento Programmatico Pluriennale’ (Dpp) del ministero della Difesa, che finanzia i piani d’acquisto di armamenti per gli anni a venire, spingeva molto sulla componente aerea tradizionale e navale, ma come riporta Geopolitica.info, «peccava rispetto ad una delle lezioni chiave della guerra in Ucraina, quella dei droni ‘FPV’ (visuale in prima persona), agili e soprattutto ‘relativamente poco costosi’ strumenti militari.
Generali spendaccioni
Di fatto e sino ad oggi le forze armate italiane hanno preferito stanziare ingenti risorse per i più grandi e costosi droni della classe ‘MALE’ (Middle Altitude, Long Endurance). «Una vulnerabilità notevole in un contesto in cui questa tipologia di drone ormai risulta quasi obsoleta in zone di combattimento ad alta intensità come quelle che ci si aspetta per il futuro», riporta da fonti militari sempre Andrea Muratore. Unica eccezione «piccole quantità di droni FPV riservate alle sole forze speciali».
I conti italiani con la Turchia
«Se la vendita dell’era Renzi (della Piaggio Aerospace) fu precipitosa e a-strategica, oggi la Baykar arriva come leader internazionale a cui serve una catena del valore solida e l’alleanza con un’azienda di un Paese di prima fila del campo atlantico per rafforzare la sua credibilità come ‘player’ di primo piano nel mercato globale dei sistemi di difesa». Il mercato delle armi detto con più eleganza.
Mossa geopolitica turca
La scelta dell’acquisizione italiana esibisce una Turchia che oggi, soprattutto alla luce della caduta del regime siriano di Bashar al-Assad, ha visto rafforzarsi sul terreno quella ‘proiezione militare’ che in campo di mezzi e export aveva già preso il volo proprio grazie ai suoi iconici droni. Per l’Italia una conferma del fatto che con la Turchia bisogna, sempre e comunque, fare i conti.
La difesa nazionale perde un pezzo importante
Resta da comprendere come Baykar intenda rilanciare l’azienda italiana: oltre ai prodotti già nel portafoglio di Piaggio, un’ipotesi è che l’azienda turca voglia acquisire le esperienze maturate da Piaggio Aerospace nel settore degli UAV con il P-1HH e utilizzare gli stabilimenti in Liguria per costituire un hub europeo per la produzione e manutenzione/revisione dei propri UAV e motori già venduti o di prossima vendita ai clienti europei.
Fonte
29/12/2024
Lo spartiacque
La scusa ufficiale del regime fascista e sionista è che medici, giornalisti, malati, donne e bambini siano terroristi o complici dei terroristi e che ospedali , scuole, moschee, abitazioni, siano covi di Hamas. Che evidentemente, nonostante un anno di immani massacri, Netanyahu non è ancora riuscito a sconfiggere.
Ma la realtà è la verità sono semplicemente altre: Israele sta compiendo un genocidio non per effetto estremo della sua guerra alla Resistenza Palestinese, ma come scelta consapevole e programmata.
Israele uccide medici, giornalisti, insegnanti proprio perché sono medici, giornalisti, insegnanti, cioè sono l’élite e la cultura di un popolo che si vuole sterminare. Per i palestinesi c’è solo un’alternativa: o abbandonare la terra dove hanno sempre vissuto, o morire. Uomini, donne, bambini tutti colpiti dal genocidio con il fine della pulizia etnica.
Questo oggi ammette anche un intellettuale ebreo, Amos Goldberg, che su Il Fatto Quotidiano dichiara che quello israeliano è un genocidio voluto.
La fame, l’assenza di cure, la distruzione di ogni sede civile, la riduzione delle persone a ombre vaganti nel nulla, l’uccisione voluta dei bambini, sono la prova di tutto questo. A cui si aggiungono le motivazioni suprematiste e razziste con cui governanti e militari accompagnano i loro crimini.
Quello che sta compiendo Israele è un genocidio nel senso più completo, anche giuridico, della parola. E Israele può compiere impunita questo crimine contro l’umanità per due ragioni.
Perché, come dice Goldberg, il complesso di colpa occidentale, anzi europeo per lo sterminio nazista degli ebrei, viene ampiamente usato per giustificare il genocidio dei palestinesi. Nessuna accusa oggi è così falsa e in malafede, come quella di antisemitismo rivolta verso chi sostenga il diritto alla libertà e alla stessa vita del popolo palestinese.
In secondo luogo Israele può violare ogni legge internazionale e umana perché nei fatti è il cinquantunesimo stato degli Stati Uniti d’America. Che usano tutto il loro potere militare e tutto il loro dominio economico su alleati e servi per affermare ed estendere il dominio coloniale di Israele in Medio Oriente. Che è tutt’uno con quello degli USA.
L’ipocrisia europea e la guerra imperiale degli USA sono quindi le basi che permettono e giustificano il genocidio in Palestina.
I politici, i giornalisti, gli intellettuali che negano la realtà e ancora giustificano Israele nel nome della democrazia e della libertà sono tutti complici, a questo punto consapevoli e in malafede, del genocidio a Gaza e in Palestina. Chi ha paura di schierarsi e sottovoce ti dice che magari hai ragione, ma che non si può esagerare nella critica a Israele, merita ogni disprezzo.
Il genocidio in Palestina è uno spartiacque: chi lo nasconde, giustifica, o addirittura sostiene sta dall’altra parte e, comunque si presenti o si collochi, è nemico della libertà e dei diritti umani e dei popoli. Nemico tanto spregevole se poi ogni giorno trombona sulla democrazia e sul progresso. È la scorta politica e mediatica al genocidio.
La Palestina è il primo spartiacque politico, civile e morale di oggi, o si sta di là o si sta di qua, in mezzo solo il fango dell’ignavia e dell’indifferenza.
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I soldati del «dittatore Kim» in Russia già dal 2022? C’è da crederci...
I media ucraini e sudcoreani hanno pubblicato una foto che avrebbe dovuto mostrare il primo prigioniero nordcoreano catturato dalle forze di Kiev nella regione di Kursk.
A dir poco curioso il fatto, testimoniato da Ukraina.ru, per cui la stessa foto fosse già apparsa online nel 2022. Così che si è dovuti ricorrere a un “correttivo” e, a distanza di ventiquattr’ore, l’agenzia sudcoreana Yonhap, citando fonti di intelligence di Seoul, ha assicurato che l’uomo ritratto nella foto era morto per le ferite riportate.
E, ci tiene a specificare il Corriere, è «morto in ospedale», testimonianza concreta dello spirito “umanistico” dei soldati di Kiev, tutt’altro ceppo che non quei selvaggi discendenti di Rjurik, che abbattono direttamente sul posto i prigionieri feriti... par di vederli.
Dunque: niente testimone e non ci sarà più modo di assicurarsi della faccenda di prima mano. Peccato. Peccato soprattutto per le “fonti” sicure del Corriere della Sera; tanto più che nemmeno Kiev ha confermato ufficialmente la cattura o la morte di nessun militare (o civile) nordcoreano.
Non rimane quindi che basarsi sulle assicurazioni di Vladimir Zelenskij, che lo scorso 14 dicembre, scrivendo in lingua inglese sul suo canale Telegram, assicurava il mondo (e il Corriere) che «i russi hanno iniziato a utilizzare i soldati nordcoreani nelle loro offensive: in numero significativo», tanto che «ci sono già perdite notevoli in questa categoria».
Ovviamente, per pietà cristiana, il nazigolpista-capo evitava di pubblicare anche una sola foto dei presunti soldati nordcoreani uccisi; la caritatevole commiserazione ha impedito al “banderista pacifista” (solo nel 2019 e solo per racimolare voti) di mostrare i caduti nordcoreani, coi «volti bruciati per impedirne il riconoscimento» (Corriere). Tant’è.
Il 17 ottobre, Zelenskij aveva persino indicato in diecimila uomini il numero “esatto” di soldati nordcoreani che, a suo dire, dovevano combattere in Ucraina al fianco delle forze russe e, dopo di lui, il Segretario generale della NATO Mark Rutte aveva specificato che i militari del «dittatore Kim» venivano dislocati nella regione di Kursk per aiutare l’esercito russo a liberarne il territorio e che la cosa doveva «cessare immediatamente». Pena: cosa?
Come corollario, a inizio novembre, Kiev e Seoul accusavano Pyongyang di avere, a loro dire, inviato truppe in alcuni poligoni di addestramento nell’Estremo Oriente russo – Vladivostok, Ussurijsk, Khabarovsk e Blagoveshchensk – per poi essere trasferite nella zona di operazioni. Manco a dirlo, nessuna prova veniva presentata a sostegno di quelle affermazioni.
A questo punto, corre l’obbligo di informare il Corriere della Sera, che il capo del Pentagono, Lloyd Austin, non ha trovato soldati nordcoreani né in Estremo Oriente, né nella zona di operazioni militari e ha specificato di non poter confermare le informazioni di Kiev e Seoul.
Più clemente (nei confronti degli italici pennivendoli) il Segretario di stato, Anthony Blinken che, pur non avendo visto nordcoreani, aveva detto di aspettarseli da un momento all’altro.
Più caustico (e, per parte nostra, siamo propensi a prestargli fede) era parso lo scorso 28 ottobre il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, in occasione dei lanci di missili occidentali sulle regioni russe, secondo cui le isterie occidentali sul sostegno della RPDC alla Russia non sono altro che un «tentativo di giustificare retroattivamente» la presenza dei militari occidentali in Ucraina.
Tutto ciò, aveva detto Lavrov «è parte della guerra ibrida di NATO e UE contro il nostro Paese», dal momento che «senza l’aiuto di specialisti occidentali, senza dati di intelligence spaziale, di cui gli ucraini certamente non dispongono, senza specialisti nella programmazione delle missioni di volo, le truppe di Kiev non possono usare alcuna attrezzatura missilistica».
Ora che, a distanza di un paio di mesi, anche alcuni media occidentali, come Le Monde e Times, parlino apertamente di piani franco-britannici e polacchi per l’invio di mercenari (militari ufficialmente messi in congedo) ai confini ucraini, che dovrebbero entrare in campo già nelle prime settimane del 2025, ci permettiamo di avvertire i redattori del Corriere che, se intendono degnamente silenziare il contributo euro-atlantico in uomini alla “causa ucraina”, allora la canea sui «fantaccini» nordcoreani dovrà tornare a farsi più ululante; non due semplici righe, en passant, tra rimbrotti al «vice zar» Dmitrij Medvedev, ammonimenti sul «solito bluff di Putin» e lagnanze all’indirizzo del premier slovacco Robert Fitso per il suo tradimento “europeista”
Se bruciare i volti «per impedirne il riconoscimento» sembra pratica crudele e, per ciò stesso, perfettamente attribuibile, nella visione delle italiche redazioni, a quei semi-barbari che popolano le regioni iperboree a oriente del Tanai e fino ai margini estremo-orientali delle “terre conosciute”, quali sotterfugi si applicheranno ai civilissimi mercenari celti, franchi, burgundi del XXI secolo «per impedirne» l’identificazione, una volta caduti prigionieri dei feroci opricniki al servizio del novello “Zar”?
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Cosa è una “zona-cuscinetto”?
Se una zona cuscinetto viene occupata militarmente e colonizzata da uno dei paesi, e in essa vi vengono inviati propri cittadini, cessa di essere zona cuscinetto e diventa territorio occupato.
E questo è ciò che è avvenuto alle Alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele nel 1967 ufficialmente per ricavarne una zona che fungesse da cuscinetto, in realtà per inglobare nello stato coloniale altri 400 km di terre arabe oltre i 1.200 totali rappresentati dalle Alture, in conformità alla dichiarazione di uno dei caporioni del sionismo: i confini di Israele sono determinati da dove potranno arrivare le orme dei propri soldati.
Dal 1967 ad oggi , nelle Alture sono stati creati circa 30 insediamenti, per una popolazione colonica di oltre 25.000 unità, in palese violazione della legge internazionale, che vieta il trasferimento di propri cittadini in aree occupate e che non ha mai riconosciuto la mossa espansionistica di Israele.
Ma, come sappiamo, i predoni coloniali amano sfidare la Comunità Internazionale [l’Onu, ndr] perché indefettibilmente protetti dalla potenza imperiale: all’inizio di dicembre la zona cuscinetto è stata anch’essa invasa e occupata dai militari israeliani nonostante le proteste di Egitto e Giordania, e lo stato sionista ha unilateralmente reiterato l’annessione delle Alture e della buffer-zone, dichiarandole territorio israeliano per tutti i secoli a venire.
“Eternamente”, ha fatto sapere. Ha molta fiducia nella sua sopravvivenza a lungo termine, a quanto pare. E con dei vicini del genere, ne ha ben donde.
È interessante notare come i colloqui bilaterali tra Siria e Israele per la restituzione del Golan in cambio di una possibile normalizzazione da negoziare nell’ambito di un generale contenimento dell’aggressività espansionistica israeliana – il cardine della politica estera dell’amministrazione Obama, secondo le pie illusioni dell’establishment americano del tempo – non decollarono mai perché minati sul nascere da una provvidenziale ‘guerra civile’ che scosse la Siria a partire dal 2011.
Il “caso” ama Israele, evidentemente. Ma io non credo nel caso, e ancora meno credo negli Stati Uniti come mediatori in un qualsiasi processo di pace che coinvolga Israele.
L’avvento della nuova presidenza Trump – per chi non lo sapesse fu lui il primo a riconoscere l’annessione unilaterale del Golan, riferendosi sempre all’area siriana come al “nord di Israele” – e il provvidenziale scenario che si è, sempre casualmente, prospettato in Siria (la nuova dirigenza ha immediatamente fatto sapere di non essere interessata a eventuali contenziosi con Israele, nonostante gli oltre 470 attacchi missilistici subìti nelle ultime settimane) rappresentano occasioni incredibilmente favorevoli alle mire espansionistiche dello stato coloniale.
Che ovviamente si è lanciato a capofitto nella nuova guerra di conquista e consolidamento, molto ambito in questo caso: il Golan, regione fertilissima e ricca di acque, già garantisce a Israele oltre un terzo del suo fabbisogno idrico. Risorse sottratte ai legittimi proprietari e accaparrate con il furto e la prepotenza militare, come sempre.
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Che fine hanno fatto i fatti?
Anche il Tg3, scende dello 0,44% e perde 7.522 spettatori. Sembra poco, tuttavia risulterebbe che Rai 3 perda complessivamente molti telespettatori. Quanti?
Lo chiediamo a ChatGpt che cosi risponde:
“Non dispongo di dati aggiornati in tempo reale, compresi quelli sui telespettatori di Rai 3. Tuttavia, la perdita di telespettatori è un fenomeno che può verificarsi per vari motivi, come la concorrenza di altre reti, il cambiamento delle abitudini di visione, o la popolarità dei contenuti offerti. Ti consiglio di controllare fonti affidabili come articoli di notizie o rapporti di analisi sui media per avere informazioni aggiornate e precise.”
Ecco. Hai bisogno di fatti e ricevi commenti, addirittura consigli. È questa sarebbe intelligenza artificiale? O forse è solo artificiosa, per non dire arrogante. Insomma, sembrerebbe intelligenza col nemico, cioè la disinformazione.
Come quella che ci ha offerto, per esempio, Il Mattino di Napoli, rilanciato da Google, che scrive: “Il Tg1 diretto da Gian Marco Chiocci resta il telegiornale più seguito in Italia nel 2024”. Ci siamo scordati quei 163 mila telespettatori persi?
Cose che succedono quando il direttore (Roberto Napolitano) vuole compiacere l’editore (Gaetano Caltagirone) che a sua volta non vuole interferenze con Telemeloni.
Chissà perché poi i quotidiani perdono lettori, proprio come i telegiornali del servizio pubblico. Comunque sia, non provate nemmeno a chiederlo all’AI.
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La liberazione di Cecilia Sala diventa una partita a tre
Non c’è solo l’interlocuzione tra Italia e Iran, c’è anche l’ingerenza degli Stati Uniti, il che spiega la cautela e il nervosismo della Farnesina nella gestione di una partita delicata, nella quale il desiderio di riportare a casa la giornalista potrebbe entrare in contraddizione con i vincoli della pesante alleanza con gli USA.
Gli Stati Uniti, infatti, appena la vicenda dell’arresto di Cecilia Sala è diventata pubblica si sono affrettati a richiedere l’estradizione dall’Italia di Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano arrestato il 16 dicembre scorso all’aeroporto di Malpensa dalla Digos su richiesta degli USA. Le autorità statunitensi si sono mosse con grande e insolita rapidità per inviare all’Italia la richiesta di estradizione dell’iraniano. Avrebbero avuto tempo fino al 28 gennaio, ma hanno scelto di farlo il 28 dicembre, un mese prima.
Non solo. C’è un altro particolare che sta emergendo. Era infatti il 13 dicembre quando gli Stati Uniti hanno notificato all’Italia un mandato d’arresto ai fini dell’estradizione. In quella data Mohammad Abedini Najafabadi, non era ancora in Italia. Tre giorni dopo, al suo arrivo a Malpensa l’ordine di arresto è stato eseguito. Secondo l’Ansa, l’indagine avviata dai magistrati milanesi su modalità e tempistiche dell’arresto “potrebbe riguardare anche i tempi stretti tra l’emissione del mandato di arresto ai fini di estradizione e il fermo dell’uomo”.
Insomma nell’attività diplomatica dell’Italia per riportare a casa Cecilia Sala , magari scambiandola con Najafabadi, c’è la pesante ipoteca degli Stati Uniti che lo vorrebbero invece portare nelle carceri USA.
Tra l’esigenza di liberare la giornalista e i diktat del potente alleato, il governo italiano potrebbe trovarsi con margini di manovra strettissima nella sua trattativa con il governo iraniano.
Mohammad Abedini Najafabadi, si trova attualmente detenuto nel carcere di Opera ed è accusato di aver violato le leggi americane sull’esportazione di componenti elettronici sofisticati dagli Usa all’Iran e per aver fornito materiale a un’organizzazione terroristica straniera.
La Corte d’Appello di Milano adesso deve valutare se sussistono le condizioni per accogliere o meno la richiesta di Washington. Nel caso in cui venga dato il via libera all’estradizione, il provvedimento dovrà avere la firma del ministero della Giustizia, il quale avrà al massimo 10 giorni di tempo per completare la pratica e rendere effettiva la sentenza.
La sorte dell’iraniano arrestato in Italia si lega a doppio filo con quella di Cecilia Sala in Iran. Molti osservatori considerano plausibile la possibilità che la giornalista italiana possa essere stata arrestata come forma di pressione sulle autorità italiane e statunitensi ed ottenere uno scambio con la liberazione di Mohammad Abedini Najafabadi.
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Israele ha finanziato dodici gruppi siriani “ribelli”
Secondo un articolo pubblicato dalla spia israeliana su Foreign Policy, è emerso che già nel 2018 Israele era segretamente coinvolto nella fornitura di armi e sostegno finanziario ad almeno 12 gruppi ribelli nel sud della Siria per contrastare i tentativi delle forze della resistenza di stabilire una presenza vicino al confine della Palestina occupata.
Secondo il rapporto, Elisabetta Tsurkov ha affermato che Israele non solo ha armato i ribelli, ma ha anche pagato loro uno stipendio mensile e ha ricevuto fondi extra, che hanno utilizzato per acquistare armi dal mercato nero siriano.
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28/12/2024
Con la Turchia a Damasco, per Israele c’è un problema in più
Quando infili un bastone in un nido di serpenti, tutto si mette in moto e molto difficilmente l’autore dell'azione può tenere sotto controllo il caos che ne deriva.
Vediamo in questi giorni che in Siria, conquistata in un batter d’occhio dal proxy turco Al Jolani, alla guida di una sezione mediorientale di Al Qaeda – formazione nutrita inizialmente da Usa e Arabia Saudita in funzione antisovietica – inizia a prender forma il nuovo equilibrio di poteri, anche se crescono i conflitti all’interno del paese (gli alawiti, fuggito Assad, provano a resistere nelle loro storiche roccaforti, mentre i cristiani provano a marcare la loro presenza e i curdi a mantenere i loro territori).
Nel frattempo, a sud Israele occupa ben più del solo Golan e bombarda ogni deposito militare del disciolto esercito siriano, nel tentativo di ridurre al minimo le potenzialità militari di chiunque emerga nel prossimo futuro come nuovo padrone di ciò che resta della Siria.
Ovvio, in questo contesto, che Israele e gli Usa appaiano come i vincitori del risiko mediorientale.
C’è, tuttavia, un però. Non sono questi gli unici protagonisti di peso sulla pelle dei popoli palestinese, siriano e libanese. E il puzzle si complica parecchio guardando quel che accade al di fuori dei riflettori miopi dell’informazione occidentale.
Per esempio. Nel governo di Al Jolani ha inaspettatamente trovato posto anche una donna. E quando se ne accorgeranno i fanfalucchi della stampa mainstream probabilmente apprezzeranno la mossa, dipingendola come un furbo tentativo del nuovo potere di scrollarsi di dosso l’immagine del jihadista trinariciuto in stile talebano, che effettivamente gli calza come un pennello.
A guidare il ministero degli affari femminili è stata però chiamata Ayse Seyidoglu, una funzionaria di alto livello ad Ankara ma con doppia cittadinanza. Un modo non equivoco di far vedere chi è che ora comanda a Damasco.
Lo stesso Jolani, dopo un incontro con il capo del MIT (l’agenzia di intelligence turca), ha poi ospitato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, già direttore del MIT.
Durante l’incontro, Jolani ha accompagnato Fidan in un giro per Damasco, visitando i luoghi principali e sorseggiando caffè insieme dalla cima del Monte Qasioun, con vista sulla capitale.
Al di là degli aspetti folkloristici (agli occhi di un occidentale), si tratta di un omaggio a chi ha voluto e reso possibile il cambio di regime in Siria.
Secondo diversi rapporti la Turchia starebbe peraltro consolidando la propria presenza inviando consiglieri militari per addestrare il nuovo esercito siriano presso le accademie di Aleppo e Damasco (come scrive la testata turca ClashReport).
Inoltre, si moltiplicano le voci circa un possibile dispiegamento di un’unità dell’esercito turco a Homs per addestrare operatori della difesa aerea. E non ci sono molti soggetti esterni che stiano ancora bombardando la Siria.
Una conferma arriva sul piano strettamente politico. Bilal Erdogan, figlio del presidente turco, appare in un video in cui invita a una grande manifestazione pro-Palestina sul ponte di Galata a Istanbul per il 1° gennaio.
Nulla di nuovo, era accaduto anche lo scorso anno. E tutti gli osservatori, anche interni, attribuiscono la sconfitta di Erdogan alle ultime elezioni amministrative proprio allo scarso impegno concreto a favore della Palestina.
Ovvio, insomma, che ora cerchi di cavalcare la sensibilità dei musulmani su questo fronte, strumentalizzando cinicamente le sofferenze del popolo palestinese.
La differenza sta tutta nel nuovo slogan adottato per la manifestazione che sarà ancora una volta prevedibilmente enorme:
“Ieri Santa Sofia, oggi la Moschea degli Omayyadi (Damasco), domani Al-Aqsa (Gerusalemme)”.
Questa frase, riportata anche su manifesti ufficiali dell’evento, segnala la crescente retorica nazionalista verso la “riconquista” di Gerusalemme.
Un’ambizione neo-ottomana che, per quanto propagandistica possa essere, non può lasciare sereno il governo genocida e suprematista di Tel Aviv. Ancora non ha finito di “eliminare” (linguaggio usato da Netanyahu) Hamas ed Hezbollah, ha appena aperto la “pratica” con lo Yemen, ha nel mirino il ben più corposo ed indigesto boccone iraniano... che già gli si presenta sui confini (che – unico stato al mondo – Israele non ha mai voluto né fissare né riconoscere) un altro e pesantissimo potenziale avversario.
Stiamo parlando di un nazionalismo militaresco e nostalgico, memore dell’“impero” che ancora all’inizio del Novecento comprendeva Siria, Iraq, la Palestina e quindi anche l’attuale Israele, l’Egitto, la Libia e l’Arabia, parte dell’Algeria, la Tunisia, i Balcani, ecc.
Altro che un Vecchio Testamento di 3.000 anni fa, di dubbia origine e molto elastica interpretazione...
Soprattutto stiamo parlando di un paese industrializzato (come lo è anche l’Iran, del resto), pesantemente armato e per di più anche membro della Nato. Il che pone parecchi problemi a tutti (Israele e Usa, per non dire dell’Europa polverizzata attuale), all’interno stesso dell’alleanza che stupidamente ancora immagina di poter comandare sul resto del mondo.
Con il crescente controllo turco in Siria tramite il proxy qaedista (che fin qui si è sempre guardato bene dall’infastidire in qualsiasi modo Tel Aviv), Israele potrebbe insomma trovarsi presto a fronteggiare una nuova pressione diretta ai suoi confini. Del resto è fatale che due nazionalismi votati ad allargare la propria area di controllo esclusivo si guardino in cagnesco quando arrivano a contatto...
Da qui in poi si aprono tutti gli scenari possibili. È plausibile infatti che la Turchia sia costretta o tentata di rafforzare i legami con Russia e Iran come contromisure. Come è possibile anche, al contrario, che gli Usa riescano ancora una volta ad agire come regolatori ex cathedra di tensioni ed interessi divergenti all’interno del “proprio campo di influenza”.
La Russia, dal canto suo, è invece già in procinto di firmare un ampio accordo di partenariato strategico con l’Iran il 17 gennaio, simile a quello recentemente stipulato con la Corea del Nord, e dopo averne firmato un altro più limitato proprio con Tehran.
La notizia è stata pubblicata da Newsweek, che vi vede un tentativo dei due paesi di “unire le forze” in risposta al loro – molto immaginario – “isolamento sulla scena mondiale.” In realtà, guardando un mappamondo, si vede l’esatto opposto, anche in termini di dimensioni delle popolazioni...
A fine ottobre, il Ministro degli Esteri russo Lavrov aveva dichiarato che l’accordo con l’Iran sarebbe stato pronto per la firma e avrebbe “formalizzato l’impegno delle parti a una stretta cooperazione in materia di difesa, e a un’interazione volta a promuovere la pace e la sicurezza regionale e globale”.
Il nuovo accordo bilaterale dovrebbe sostituire quello strategico ventennale firmato tra i due paesi nel 2001 e rinnovato nel 2020. Esso includerà promesse di cooperazione nei settori dell’energia, della produzione, dei trasporti e dell’agricoltura.
Il Presidente Pezeshkian si recherà personalmente a Mosca per firmarlo nella data prevista.
Si comprende quindi anche la fretta con cui Israele passa da un fronte all’altro, senza un attimo di respiro e senza un retroterra adeguato. Sta infatti provando ad indebolire l’Iran il più possibile, anche colpendo brutalmente lo Yemen negli ultimi giorni, nella speranza che Trump dia il suo benestare per un attacco alle strutture nucleari iraniane dopo il suo insediamento.
Una volta che l’alleanza tra Tehran e Mosca avesse assunto caratteristiche in qualche misura simili all’art. 5 della Nato, infatti, una mossa del genere sarebbe molto più rischiosa (Israele, del resto, non potrebbe invocare quell’articolo, non facendone ufficialmente parte).
Tanto più se un membro della Nato con il peso politico-militare di Ankara fosse interessato a lasciare Tel Aviv in mezzo al caos che essa stessa ha creato.
Il 2025 non sarà un buon anno, dicevamo.